di Alessandro Portelli
Io non credo che possiamo essere contenti di quello che sta succedendo a Dallas in queste ore. In primo luogo, perché ci sono dei morti, e questo non è mai fonte di gioia. In secondo luogo perché sul piano della lotta armata, a vincere saranno inevitabilmente gli altri, difficilmente vinceremo, e ci saranno altri morti. Non è questione di retorica della non-violenza: le sue vittorie il movimento di liberazione afroamericano le ha conquistate con altri mezzi, con la mobilitazione di massa, e non è chiaro quali saranno gli effetti della strage di Dallas su questo piano.
Ma credo che, come sempre accade, dobbiamo leggere gesti estremi e disperati come questo come sintomo e segno di qualcosa di più ampio, più profondo, e più nostro. Diceva Langston Hughes, il grande poeta afroamericano: “Che ne è di un sogno differito? Si inacidisce come un acino d’uva al sole, o s’infetta come una piaga e marcisce?… Forse si affloscia come un grosso peso. Oppure esplode?” In questa America che ti permette di ricercare e inseguire la felicità ma ti impedisce di raggiungerla, il fuggiasco sogno afroamericano dell’uguaglianza diventa sempre più differito e frustrante quando sembra più vicino.
Malcolm X diceva: “the ballot or the bullet”, la scheda o il fucile. Gli afroamericani la scheda l’hanno usata, e hanno eletto Barak Obama. Il sogno sembrava a portata di mano, abbiamo letto editoriali sulla fine del razzismo, e invece è stato solo un nuovo inizio: l’abisso che per quattro secoli ha separato bianchi e neri, il vuoto su cui si strutturava l’America, è parso per un attimo ridursi, ma avvicinamento non ha creato armonia, bensì attrito, e l’attrito sanguina.
Sanguina anche perché dall’altra parte – dalla parte di istituzioni intrise la vittoria afroamericana con la scheda ha subito additato a un’opinione pubblica spaventata e a istituzioni intrise di razzismo la strada del fucile. E le pallottole hanno continuato a volare, come fanno da secoli di schiavitù, linciaggi, segregazione, razzismo.
Il sogno sembrava a portata di mano, ed è sfuggito di nuovo. Che cosa è allora questa promessa sempre rinnovata e sempre mancata? E’ una menzogna, che inacidisce e marcisce il sogno e produce disincanto, sfiducia, crisi della partecipazione e della democrazia? O una maledizione, che produce rabbia e paura e infine, in gesti come quello di ieri a Dallas, esplode? Direi che l’uno è il segno dell’altro: l’esplosione minoritaria e disperata è lo specchio della delusione e della rabbia impotente della maggioranza in una democrazia che ha fallito il suo compito.
Fonte: Il manifesto
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