di Matteo Angioli
«Per dieci anni non avete voluto lavorare per il dopo-Saddam, per realizzare la difesa della vita e del diritto in Iraq e nel Medio Oriente, e adesso ci troviamo, grazie a voi, a discutere del dopo-guerra. La guerra è il regalo che l’Europa legalitaria, la vostra Europa, ci fa». Marco Pannella si rivolse così al Parlamento europeo che, appiattito su sterili posizioni pacifiste, aveva snobbato la sua proposta di esilio per Saddam Hussein e di affidamento dell’Iraq ad un’amministrazione provvisoria sotto egida Onu. Era il 20 marzo 2003, il giorno dell’attacco all’Iraq.
Due giorni fa Sir John Chilcot, presidente della commissione indipendente d’inchiesta sul coinvolgimento britannico nella guerra in Iraq del 2003, illustrando le conclusioni dell’indagine, ha detto: «Abbiamo concluso che il Regno Unito ha deciso di aderire all’invasione dell’Iraq prima che le opzioni pacifiche per il disarmo erano state esaurite. In quel momento l’azione militare non era l’unica opzione rimasta». Che di alternative pacifiche ce ne fossero ancora, noi Radicali ne eravamo convinti proprio a partire da quella per l’affermazione del diritto, una volta ottenuto l’esilio del dittatore. Che tale obiettivo non fosse fantascienza lo confermò un summit della Lega araba il primo marzo 2003, ma anche Clare Short, ex ministro per lo Sviluppo Internazionale del governo Blair nell’audizione da Chilcot. Ma tale progetto non combaciava con il programma e il tabellino di marcia di Bush, al quale Blair aveva promesso sostegno «in ogni caso».
La promessa è contenuta in una nota inviata da Blair a Bush il 28 luglio 2002, desecretata da Chilcot. E questo è un primo risultato. È un impegno preso informalmente, in pieno stile blairiano, che l’ex primo ministro ha ritenuto di non dover condividere con il parlamento minando così alla base il dibattito dei mesi precedenti alla guerra.
Il secondo risultato è che l’inchiesta Chilcot non si è rivelata un insabbiamento. È fondamentale che emergano ufficialmente informazioni che qualcuno può ritenere scontate perché, nella miglior tradizione empirica, i britannici adesso dovranno capire se vi siano le basi perché i responsabili rispondano nelle sedi appropriate di comportamenti illegali. Tecnicamente Chilcot non ha formulato nessuna accusa, né a istituzioni né ad individui. La sua commissione non era chiamata a decidere della legalità o illegalità della guerra. Il suo compito era quello di “trarre una lezione” per far sì che il Regno Unito non commetta più errori che sono costati la vita a 179 militari britannici e a migliaia di iracheni. Tuttavia una delle parole ricorrenti nei giudizi di analisti e media britannici è «devastante».
Il Partito Radicale ha seguito fin dal suo insediamento, nel luglio 2009, l’inchiesta Chilcot e con Marco Pannella abbiamo visitato più volte deputati e Lord di tutto il panorama politico britannico per sostenere il lavoro dell’inchiesta. Questo lavoro, anche di ricerca, è sfociato oggi nell’iniziativa per la transizione verso lo stato di diritto e il diritto alla conoscenza da riconoscere innanzitutto in sede Onu. Perché le Nazioni Unite? Perché come disse Robin Cook, ministro degli esteri nel primo mandato di Blair e all’epoca dell’attacco ministro per i Rapporti col Parlamento nel giorno delle sue dimissioni, il 17 marzo 2003: «I nostri interessi sono meglio protetti non da un’azione unilaterale , ma da un comune accordo multilaterale e un ordine mondiale governato da regole. Eppure oggi le nostre partnership internazionali più importanti sono indebolite: l’Unione Europea è divisa; il Consiglio di Sicurezza è in fase di stallo. Sono pesanti perdite per una guerra il cui primo colpo deve ancora essere sparato».
Il 13 maggio abbiamo organizzato una tavola rotonda all’Onu a Ginevra per denunciare l’erosione che lo stato di diritto sta subendo in molte parti del mondo. Durante l’incontro promosso assieme alla rappresentanza permanente italiana, dove sono intervenuti Marocco, Irlanda, Canada e Messico, e alla presenza di 30 delegazioni di stati membri, rappresentante permanente irlandese Patricia O’Brien ha ricordato che lo stato di diritto è il principio per cui gli individui e lo Stato sono soggetti a leggi che valgano per tutti, approvate in modo indipendente, promulgate pubblicamente, e in conformità con le norme e gli standard dei diritti umani. Ad essa dobbiamo aggiungere Louise Arbour, ex Alto Commissario Onu ai Diritti Umani, che ricevendo un premio a Taiwan il 21 giugno 2016 ha puntualizzato che «dobbiamo fare attenzione quando si parla di stato di diritto perché c’è un rischio. A molti regimi autoritari piace lo stato di diritto, perché per come lo intendono loro lo stato di diritto è l’applicazione della legge, il far rispettare la legge. Si dotano di tanti strumenti legali da far rigorosamente rispettare. Questo non è stato di diritto. Lo stato di diritto consiste essenzialmente nell’avere leggi giuste, giustamente applicate. E le leggi giuste sono quelle che proteggono gli interessi delle minoranze, anche nei sistemi democratici».
Questo è ciò che ci motiva a continuare l’opera di Marco Pannella, iniziata con il tentativo di scongiurare la guerra in Iraq per affermare diritto e libertà. Questa battaglia oggi prosegue anche grazie all’opera di conoscenza e di responsabilizzazione senza precedenti che Chilcot offre al Regno Unito e non solo. Cerchiamo di non dilapidarla.
Fonte: Il manifesto
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