di Il Simplicissimus
Dopo l’orrore per l’omicidio razzista a Fermo, arriva la repulsione per le vomitevoli giustificazioni degli xenofobi, per Salvini il quale magnanimamente ci fa sapere che ” il ragazzo nigeriano non doveva morire” ma… già quell’eterno ma dei cretini e dei balordi prestati alla politica, che in questo caso si concreta con la solita litania sull’immigrazione che alla fine avrebbe armato la mano del fascio tifoso. Insomma Emmanuel si sarebbe praticamente suicidato solo venendo in Italia, sfifando così la roulette russa dei più bassi istinti delle curve. Ma ancora di più mi lascia desolato l’ennesima denuncia del “razzismo strisciante” che si sostanzia nell’eufemistico “ultrà” con cui viene definito l’assassino come se avesse fatto esplodere un mortaretto in campo.
Altro che strisciante, talmente palese e malintenzionato che il Senato si oppose al processo per istigazione razziale contro Calderoli che aveva dato dell’orango alla Kyenge.
Altro che strisciante, talmente palese e malintenzionato che il Senato si oppose al processo per istigazione razziale contro Calderoli che aveva dato dell’orango alla Kyenge.
Mi ferisce questa ipocrisia densa come catrame, ma anche la panoplia di condanne che va dalla sinistra radicale all’efferato renzismo che hanno tutte una radice esclusivamente morale, come se il razzismo fosse una variabile indipendente del sistema in cui viviamo, una scelta esclusivamente individuale, mentre esso nelle varie forme in cui s’incarna è un portato titpico del capitalismo borghese come si è andato configurando negli ultimi tre secoli e nei precedenti due di progressiva presa di potere. Nel mondo antico esisteva lo schiavismo, ma non il razismo in quanto tale e ne fa fede Roma con il suo crogiolo di etnie; nel medioevo esistevano le servitù della gleba, il lavoro forzato, ma nessuno faceva questione di pelle quanto di status e di volontà divina. E lo stesso accadeva nel mondo Arabo e mussulmano dove spesso la tratta dei bianchi (quello delle bianche è una leggenda) ottenuta con incusrsioni sulle coste italiane o spagnole, si risolveva a volte nella creazione di corpi militari a difesa del potere come testimoniano i giannizzeri del sultano tutti di origine bianca o egiziana. E’ invece con la crescita delle borghesie cittadine e l’espansione delle colonie americane che con altalenante sostengo della Chiesa e dei maggiori ordini religiosi si comincia a pensare che esistono “omuncoli” la cui consistenza umana è tale da destinarli a divenire schiavi”. Tali omuncoli erano ovviamente indios e neri, così che nel Setteccento – oltre ai lumi – era in piedi anche il più efferato e inumano sistema schiavistico mai creatosi nella storia proprio perché al lavoro forzato si era sovrapposto come sua giustificazione il razzismo.
Le ragioni di questa mutazione erano ovvie: siccome si dovevano strappare ai nativi due interi continenti, conveniva impiantare una teoria della razza che risolvesse gli scrupoli religiosi e che desse alla borghesia buttatasi con avidità oltre mare una patente di sfruttamento disumano a prescindere dal diritto feudale. E la cosa è andata avanti in Nordamerica fino a oltre metà dell’Ottocento, si è estinta man mano con la nascita della produzione industriale per la quale occorrono consumatori, non solo schiavi, ma è rimasta come base non sempre esplicita, ma reale del diritto coloniale. In effetti il capitalismo occidentale è cresciuto e si è strutturato nei suoi topoi grazie allo sfruttamento intensivo del resto del pianeta ed è proprio questa idea che è stata inculcata in sinergia con l’ancestrale diffidenza riguardo al forestiero, specie se l’estraneità è palese. La lotta tra poveri è stata fomentata a favore del profitto, si è data allo sfruttato bianco la compensazione di sentirsi comunque “superiore” e così adesso il nero che viene da noi e pretende di lavorare alle stesse condizioni degli altri diventa un assurdo nelle teste più deboli: da una parte con la sua stessa esistenza di uomo e non più di nero o giallo o scuro nordafricano, cioè di inferiore, minaccia le basi del diritto di rapina codificato da secoli, dall’altro fa temere che quello stesso diritto finisca per non poter più essere esercitato.
Ma non basta: poiché il capitalismo stesso ha bisogno di sfruttati e quello finanziario teorizza la povertà e la mancanza di diritti come motore dell’economia, ecco che in qualche angolo oscuro delle menti occidentali esiste la paura che non sia più lo straniero a pagare il conto maggiore, che anche il bianco sia costretto ad abbronzarsi. L’odio divampa perché nell’immigrato si vede oscuramente il proprio futuro a cui non si è in grado opporsi in modo consapevole, razionale ed efficace, diventa un feticcio, una reificazione da colpire perché magicamente scompaia l’angoscia su se stessi. D’altro canto il capitalismo è divenuto fortemente antirazzista, almeno in superficie, per la medesima ragione: perché non si creda che si possa essere sfruttati fino all’osso solo perché si ha la carnagione più chiara. Quei tempi sono finiti, ci dicono, prevaratevi anche voi a essere neri o indios. Perciò l’antirazzismo di sistema, su base esclusivamente morale, non mi lascia nè appagato, nè tranquillo: perché colpisce un pregiudizio, non i motivi per cui quel pregiudizio esiste.
Fonte: Il Simplicissimus
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