di Franco Astengo
Il termine populista è diventato di gran moda nel lessico politico europeo coinvolgendo nella definizione diversi movimenti e leader che agiscono in varie situazioni rese molto complicate dal procedere di eventi drammatici legati in gran parte agli effetti della fase conclusiva del tipo di gestione globale del ciclo capitalistico avviato fin dagli anni’90 del XX secolo con la caduta della dimensione bipolare dell’assetto planetario. E’ necessario, da questo punto di vista, andare avanti nell’analisi, per tentare una definizione meno sommaria del fenomeno.
Si cercherà di farlo in quest’occasione riferendoci essenzialmente alla possibilità di un lavoro di comparazione tra le diverse forme di populismo o presunto tale e soggettività presenti nel sistema politico italiano, tenendo ben in conto anche le diverse espressioni di “tentazione populista” che pare attraversino residui soggetti già appartenenti alla storia della sinistra italiana o singoli intellettuali un tempo definibili come “d’area”.
Sul piano generale basterà ricordare come il populismo si caratterizza per un’ostilità marcata nei confronti delle élite, dei corpi intermedi accusati di corruzione, di tradimento del popolo e del loro mandato di rappresentanti.
Per i populisti i partiti hanno dimenticato la loro ragion d’essere, cioè rappresentare e difendere il popolo.
I movimenti populisti si propongono di rimettere al centro della scena politica il “popolo vero” quello che soffre a causa della cattiva gestione da parte della “casta” che pensa soltanto agli interessi dei privilegiati.
I populisti non sopportano la rappresentanza e puntano a incarnare i valori, i pensieri, le aspirazioni del popolo in un “Uomo della Provvidenza” che diventa l’unico portavoce dei senza voce.
La comunità viene così considerata omogenea, organica, esclusiva spesso basata sui tratti tradizionali attribuiti alla nazione: suolo, sangue, lingua, religione, esaltanti anche con tratti di pura retorica.
La lotta politica ritorna così a una sorta di primitivismo tribale, come ci dimostra l’attualità della situazione politica europea.
Nel sistema politico italiano, seguendo lo schema che ormai si può definire classico tracciato da Yves Many e Yves Surel “Populismo e Democrazia” Bologna, Il Mulino 2000, si possono rintracciare tre tipi di presenza populista:
1) La prima è quella che riguarda la cosiddetta eticizzazione del popolo. Si promuove, cioè, un’identità collettiva che corrisponde al “popolo”, variamente inteso e raffigurato come portatore esclusivo di dignità etica, posto a fondamento della legittimità politica. E’ questo il populismo rappresentato dalla Lega Nord nella sua recente versione “nazionalista”. Si spiega così anche la naturalità dell’alleanza con Fratelli d’Italia;
2) L’anti – elitismo, nutrito della protesta indirizzata contro i vertici delle istituzioni che non di rado sfocia in pulsioni anti – establishment. In questo caso la valorizzazione del popolo si accompagna sistematicamente (magari in una forma esclusiva di dialogo “in rete”) con la svalutazione dei ceti dirigenti, non solo in politica, ma anche rispetto all’intellettualità, all’economia, alla burocrazia. I connotati più evidenti, in questo caso, sono quelli della “reazione” e della “negatività”. Sono questi i tratti salienti che hanno accompagnato l’ascesa del M5S che adesso, però, si trova nella difficile e complessa situazione di dover avviare, sul piano teorico, un ciclo diverso considerata l’assunzione di responsabilità di gestione in Enti e istituzioni di grande importanza come, ad esempio, il Comune di Roma;
3) Infine l’antagonismo verso le istituzioni, per cui gli attori populisti rigettano e tentano di sfuggire alle mediazioni di ordine strutturale e procedurale. Questo carattere discende da due aspetti principali: per un verso il populismo postula e applica il contatto diretto tra il Capo e i seguaci; dall’altro la personalizzazione del comando politico che riveste così una salienza cruciale quasi salvifica. In quest’ambito si ravvede la natura del PdR (Partito Democratico di Renzi, secondo la felice definizione di Ilvo Diamanti) che poggia su primarie e referendum che si vorrebbero plebiscitari. Il tratto più fastidioso per una seria coscienza civile dal quale si è dedotto il mutamento in senso populista del PD è dovuto a un nazionalismo espresso davvero con motivazioni culturali di bassa lega retorica e a un fastidiosissimo “culto della personalità” con tanto di contorno di “giglio magico”. Altrettanto evidente nel PdR è la tendenza alla valorizzazione di chi non è allineato al punto di farne un avversario da demonizzare e da scartare dal consesso degli eletti (concetto espresso attraverso la definizione di “rottamazione”). Appare chiara, attraverso questo tipo di analisi, anche la natura del dissenso insuperabile tra la maggioranza del PD e la minoranza di sinistra. Minoranza di sinistra ormai inaffidabile, però, proprio per aver “accompagnato” per troppo tempo questa pericolosa deriva e aver smarrito così una qualsiasi prospettiva di proposta politica autonoma.
Così riassunto lo stato di cose in atto, nel sistema politico italiano, si può ben affermare che i tre soggetti principali Lega Nord, M5S, PdR fanno parte in maniera omogenea dell’area populista, sia pure con legami diversi alla realtà sociale e soprattutto a soggetti economici e culturali di riferimento (alcuni dei quali si propongono semplicemente con il chiaro intento di sfruttare opportunisticamente la situazione per mero scopo di sopravvivenza, a questo proposito si può pensare al sistema bancario).
Ne sorte, dal punto di vista della sinistra, un’esigenza di chiarezza sul piano dell’estraneità assoluta dal punto di vista della collocazione teorica e della pratica politica.
Non può esistere, su queste basi, alcun “populismo di sinistra”.
Nasce così l’esigenza di una ricostruzione autonoma di una sinistra collocata sul piano della progettualità e dell’alter natività sistemica posta in relazione alla qualità delle contraddizioni che attraversano la società moderna, quelle già definite come materialiste e quelle definite come post – materialiste.
Quanti hanno appartenuto alla storia dei comunisti e dei socialisti hanno l’obbligo di aprire una riflessione vera su questi punti partendo da una considerazione di fondo: Sul piano teorico la nostra riflessione si è bloccata nel momento in cui, all’interno delle società “affluenti”, non si è riusciti a sciogliere il nodo della connessione, all’interno della definizione di una prospettiva teorica e di un progetto di mutamento dell’esistente, tra la “contraddizione principale” relativa allo sfruttamento e le cosiddette “contraddizioni post-materialiste” legate all’ambiente, alla differenza di genere, alla fortissima innovazione prodotta nel campo comunicativo che è stata in grado di produrre mutamenti profondi negli stili di vita a livello di grandi masse.
Ambiente, differenza di genere, comunicazione sono alcuni dei terreni indicati soltanto per fare alcuni esempi tra i tanti possibili in questo senso.
Non deve essere commesso l’errore di omologarsi alle tendenze populiste in atto, perché si tratterebbe soltanto di abbandonarsi a quella visione per l’appunto definibile come populista che, alla fine, consegnerebbe tutto il movimento di possibile contestazione sociale che pure esiste o all’indifferenza o all’eterno ritorno di un possibile dominio del “sempre uguale”.
Fonte: controlacrisi.org
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