di Ernesto Ferrante
Possono affittarsi l’utero di una “madre portante” di un paese più povero del nostro, unirsi “civilmente” con il collega di cantiere o di reparto e vincere addirittura l’epica battaglia contro l’olio di palma ma devono pisciarsi addosso e continuare a cadere dai solai, ad essere schiacciati come mosche sotto pietre e ferro, svenire per la fatica o perdere arti. Sono i lavoratori di quest’Italia virtuosa solo nelle agiografie firmate da gazzettieri e cantastorie. Qualche giorno fa, un operaio edile è stato schiacciato dal monumento funebre che stava costruendo nel cimitero di Teverola, in Provincia di Caserta. Dinamiche da Egitto al tempo dei Faraoni, eppure siamo nel 2017.
Il paese dello Statuto dei Lavoratori è diventato il Bengodi del caporalato. Di lavoro si crepa. Gli incidenti mortali nei luoghi di lavoro sono in aumento. I dati relativi ai primi due mesi di quest’anno, diffusi dalla CGIA di Mestre, sono impietosi.
Se nello stesso periodo del 2016 erano stati registrati 95 casi, tra gennaio e febbraio 2017 sono decedute 127 persone (+33,7 per cento).
Indubbiamente hanno inciso anche i due eventi “eccezionali”del crollo dell’albergo di Rigopiano e lo schianto dell’elicottero del 118 avvenuto nei pressi di Campo Felice ma ad esser tanti sono i casi “ordinari”.
Oltre ai morti sul lavoro, sono in crescita anche gli infortuni: sempre nei primi 2 mesi di quest’anno sono stati denunciati 98.275 eventi: 1.834 in più (+1,9 per cento) rispetto allo stesso periodo del 2016 (report mensile Inail del 21 marzo). Su base annua, i morti sono 1000 e gli infortuni quasi 700mila.
Morti, infortuni, mutilazioni ma anche vessazioni ed umiliazioni. Come alla Sevel di Atessa, il più grande stabilimento in Italia del gruppo FCA (ex-Fiat), dove un operaio è svenuto dopo un infortunio. I colleghi hanno provato a soccorrerlo ma sono stati subito ripresi dal capo reparto, che ha intimato loro di tornare immediatamente al lavoro. Sempre alla Sevel, qualche mese fa, un lavoratore era stato costretto ad urinarsi addosso per non rallentare la produzione.
Subappalti, flessibilità, burocrazia a vantaggio della parte più forte, precarietà, troppi timbri e pochi controlli reali. La “profanazione” del lavoro è avvenuta con lo scardinamento ed il progressivo svuotamento di diritti, norme e statuti.
Il Jobs Act, con i suoi disastrosi effetti, è stato il punto d’arrivo di un percorso iniziato con il “pacchetto Treu”, il chiavistello forgiato sotto il governo Prodi con cui è stata aperta la porta a doppia banda dell’ordinamento del lavoro.
In questo giorno, dedicato da chi può al relax e al divertimento, chi non può lavora (nei locali, negli alberghi, nei centri commerciali, in fabbrica) o è già in viaggio alla volta di qualche cantiere.
Confidando nella buona sorte, sperando che il superiore sia di buon cuore. Nell’era della flessibilità e della competitività, anche far pipì è diventato un lusso.
Fonte: L'Opinione pubblica
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