di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa e Stefano Sylos Labini
Le regole su cui si fonda l’euro impediscono di attuare politiche economiche espansive per rilanciare l’economia italiana. Per questo dobbiamo uscire dalla trappola che ci sta facendo affondare, senza fare affidamento su un cambio di rotta a livello UE, di cui non si vedono i presupposti politici. D’altra parte, l’uscita “secca” dall’euro è operativamente molto complessa da attuare e, soprattutto, non appare plausibile che si formi, nel breve-medio termine, la maggioranza parlamentare necessaria per metterla in atto. Inoltre, è possibile che durante il periodo di uscita il nostro Paese possa essere attaccato dalla speculazione finanziaria e si mettano in moto fughe di capitali e corse agli sportelli bancari che farebbero peggiorare ulteriormente le condizioni dell’economia.
Riteniamo pertanto che l’unico strumento per uscire dalla trappola sia ciò che altrove abbiamo chiamato Moneta Fiscale[1]: uno strumento monetario a circolazione interna, complementare all’euro, che qui rivisitiamo tenendo conto di nostre recenti riflessioni e rispondendo ai rilievi critici di vari osservatori.
Crediamo che con la Moneta Fiscale il nostro Paese possa recuperare capacità di manovra per promuovere l’espansione dell’economia e dell’occupazione, evitando d’indebitarsi ulteriormente. Nel tempo la Moneta Fiscale potrebbe anche costituire uno schema permanente all’interno dell’euro, adottabile dall’Italia e da altri membri dell’Eurozona in crisi per compensare in misura adeguata le gravi carenze di un’architettura – quella dell’euro – profondamente sbagliata e non sorretta dal necessario spirito cooperativistico tra popoli. Nello scenario più negativo, la Moneta Fiscale potrebbe sostituire l’euro, creando le condizioni per un’uscita “morbida” dalla moneta unica qualora ciò si ritenesse utile o necessario.
Cos’è la Moneta Fiscale?
Definiamo la Moneta Fiscale come un ampio insieme cui appartiene
qualunque titolo, pubblico o privato, che lo Stato s’impegna ad accettare per l’adempimento di obbligazioni fiscali (in particolare, tasse e imposte). L’assolvimento di tale adempimento può avvenire sia attraverso la riduzione degli importi dovuti (la Moneta Fiscale dà diritto a ottenere sconti fiscali) sia attraverso l’effettivo trasferimento di valore (la Moneta Fiscale è accettata dallo Stato come vero e proprio mezzo di pagamento). La Moneta Fiscale non rappresenta moneta legale né lo Stato s’impegna a convertirla in moneta legale. Tuttavia essa è negoziabile, trasferibile e scambiabile sul mercato tra soggetti terzi volontariamente disposti ad accettarla contro cessione di beni, servizi, titoli o ogni altra forma di valore[2].
Questa definizione sottende varie possibili forme: dai certificati di credito fiscale da utilizzare come quasi-moneta, originariamente proposti da Marco Cattaneo[3] e da noi rielaborati, alla valuta fiscale di Gennaro Zezza e colleghi[4], concepita per effettuare veri e propri pagamenti al fisco, ai tax-backed bonds di Philip Pilkington e Warren Mosler[5], uno strumento di debito convertibile in vero e proprio mezzo di pagamento allorché il debitore sovrano non sia più in grado di servire il proprio debito, ai diversi tipi di valuta parallela proposte nel caso della Grecia[6]. Forme diverse che tutte condividono l’impegno dello Stato a riconoscerne il valore e che permettono di trasformare gettito fiscale futuro in capacità di spesa immediata.
Riteniamo che, tra tutte le forme di Moneta Fiscale sin qui proposte, quella più efficace – l’unica compatibile con i trattati, le normative e i vincoli fiscali UE – rimanga il Certificato di Credito Fiscale (CCF)[7], il cui funzionamento di seguito richiamiamo, arricchito con modalità operative che ne aumentano l’efficacia.
A cosa serve la Moneta Fiscale?
I CCF sono strumenti finanziari che danno diritto a ridurre pagamenti altrimenti dovuti alla pubblica amministrazione (per tasse, imposte, contributi sociali o pensionistici, etc.). È importante sottolineare che, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, con i CCF non si “pagano” le tasse[8], ma si acquisisce un diritto a pagarne meno, a partire da una certa data futura.
I CCF, dunque, non richiedono una doppia contabilità di Stato (come invece impone ogni tipo di Moneta Fiscale utilizzabile per pagare le tasse), l’euro rimane lo strumento per il regolamento delle obbligazioni fiscali e, soprattutto, non creano per lo Stato alcun deficit corrente di euro.
Come vedremo, però, i CCF sono immediatamente spendibili in consumi e investimenti da chi ne viene in possesso. La spesa stimolerà nuovo output e occupazione, prima che i CCF siano utilizzati per ottenere gli sconti fiscali in essi incorporati, e ciò genererà il gettito fiscale necessario per compensare le minori entrate future dovute ai suddetti sconti fiscali.
Ma andiamo con ordine.
Lo Stato italiano può emettere CCF per effettuare azioni di espansione e supporto dell’economia nazionale attraverso:
integrazione di redditi da lavoro e di assegni pensionistici;
miglioramento del cuneo fiscale a vantaggio delle aziende;
interventi di spesa sociale, quali reddito di cittadinanza e di inclusione;
sostegno agli investimenti pubblici.
I CCF emessi a favore di famiglie, lavoratori e aziende sono assegnati gratuitamente, in modo aggiuntivo e non sostitutivo rispetto all’euro. Il criterio prevalente per l’assegnazione a famiglie e lavoratori è quello di favorire categorie sociali a più alta propensione di spesa. Chi riceve CCF, dunque, può spenderli immediatamente per acquistare beni e servizi. Le assegnazioni alle imprese, d’altra parte, permettono di recuperare competitività abbassando il costo del lavoro; ciò consente aumenti dell’export e sostituzione di import. In più, è possibile finanziare l’espansione della spesa pubblica – lavori e servizi pubblici – corrispondendo pagamenti con CCF che imprese e lavoratori decidono di accettare in luogo degli euro.
I CCF emessi e assegnati danno diritto a beneficiare di sconti fiscali a partire da due anni dopo la data di emissione. Tale differimento temporale consente alla spesa sostenuta dai CCF di sprigionare crescita attraverso l’espansione della domanda e di generare nuove entrate fiscali prima che si verifichi l’effetto di riduzione degli incassi dovuto all’utilizzo finale dei CCF.
Rappresentando un diritto certo a un beneficio fiscale futuro, i CCF hanno valore fin dal momento della loro assegnazione. Il valore del CCF è pari all’importo dello sconto fiscale a termine, al netto di un modesto tasso di attualizzazione. Il riconoscimento di un tasso d’interesse a chi possiede CCF può portarne il valore alla parità con l’euro. In altri termini, se si percepisce il rischio che il valore di mercato del CCF sia inferiore alla parità con l’euro e che tale scostamento sia ampio e variabile, il riconoscimento di un adeguato interesse a chi possiede CCF eliminerà tale rischio. D’altra parte, un immediato riadeguamento del tasso d’interesse garantisce che il CCF non diventi appetibile a tal punto da essere tesaurizzato anziché speso. Il punto è che lo Stato ha pienamente modo di assicurare un valore stabile al CCF, tale da sostenerne la sua funzione di mezzo di scambio e pagamento, senza in alcun modo obbligarne l’impiego.
Come si scambia la Moneta Fiscale?
Il CCF si scambia su un’unica piattaforma elettronica nazionale dove risiedono i conti di tutti gli operatori economici residenti nel Paese (individui, imprese, associazioni, banche e altre istituzioni finanziarie e non, lo Stato), disponibili per effettuare transazioni in CCF e accessibili per mezzo di carte di debito, via telefono cellulare o attraverso internet. Quando lo Stato assegna CCF a individui o imprese, ne accredita i rispettivi conti. I pagamenti e i trasferimenti di CCF hanno luogo attraverso l’addebito dei conti dei soggetti paganti e il contestuale accredito dei conti dei soggetti beneficiari, e il CCF diventa la moneta di regolamento delle transazioni eseguite sulla piattaforma. La gestione elettronica delle informazioni consente d’identificare ciascun CCF per data di emissione; pertanto, al momento dell’utilizzo dei CCF, il trasferimento avviene in sequenza temporale dal CCF più datato a quello più recente. I conti segnalano in automatico ai titolari le disponibilità di CCF utilizzabili per sconti fiscali.
Sulla base di accordi volontariamente sottoscritti fra Stato, imprese, lavoratori, categorie di esercenti, agenti della distribuzione e aziende di pubblica utilità, o di prassi operative che si ritiene opportuno e conveniente adottare, gli operatori economici accettano pagamenti in CCF. Seppur non obbligatoria, questa accettazione diffusa e fiduciaria dello strumento è attivamente promossa dallo Stato, affinché lo strumento dispieghi al massimo le proprie potenzialità.
Nulla vieta, peraltro, che il CCF sia trattato non soltanto come strumento di pagamento, ma anche come asset finanziario. Chiunque – dal singolo cittadino, alla banca, all’investitore istituzionale – può acquistarlo o venderlo attraverso la piattaforma unica scambiandolo direttamente o indirettamente con altri titoli e attività, per finalità di profitto, e utilizzarlo infine per ottenere sconti fiscali.
Tuttavia, ciò che la piattaforma unica rende possibile è il superamento della necessità (da noi stessi ipotizzata nelle prime versioni del progetto) di scambiare il CCF in euro prima di poterlo spendere. Tale previsione comportava un significativo ruolo degli intermediari finanziari, che avrebbe reso operativamente complessa e più incerta l’utilizzabilità dello strumento. La piattaforma unica consente al CCF di operare come una vera e propria moneta attraverso semplici transazioni tra conti, tutti contenuti nei “libri” di una medesima struttura: i titoli fiscali possono funzionare come una moneta a circolazione interna complementare all’euro. Più precisamente, sulla base dei predetti accordi, le imprese possono acquistare merci e servizi pagando le altre imprese con la moneta fiscale e possono corrispondere parte dei salari con i CCF in luogo di euro.
Obiezioni e confutazioni
La nostra proposta ha sollevato interrogativi e critiche, che qui affrontiamo.
Obiezione 1: i CCF violano i trattati che disciplinano il funzionamento della moneta unica europea.
Confutazione: l’accettazione dei CCF è completamente volontaria. Pertanto, non c’è alcuna violazione del monopolio di emissione monetaria della BCE, la quale rimane l’unico soggetto emittente di moneta ad accettazione obbligatoria in tutti i 19 paesi dell’Eurozona.
Obiezione 2: i CCF violano i trattati che disciplinano la governance economica dell’Eurosistema e i relativi regolamenti attuativi.
Confutazione: trattati e regolamenti sono finalizzati a limitare i deficit di bilancio pubblico e la governance dell’Eurosistema è stata così impostata per evitare potenziali dissesti derivanti dalla crescita dell’indebitamento pubblico in uno o più stati membri. Ma i CCF non comportano alcun impegno di rimborso: l’emittente non può essere costretto al default. I CCF, di conseguenza, non sono debito. D’altra parte, i regolamenti Eurostat[9] precisano senza ambiguità che un non-payable tax credit – un titolo che, identicamente al CCF, dà diritto a ridurre pagamenti futuri verso la pubblica amministrazione, ma non a ricevere un rimborso cash – non deve essere computato nel debito.
Obiezione 3: se anche i CCF non sono debito al momento dell’emissione, incrementeranno il debito al momento dell’utilizzo.
Confutazione: i CCF hanno valore autonomo fin dal momento dell’emissione. Chi li riceve beneficia quindi di un immediato arricchimento patrimoniale e aumenta la propria capacità di spesa. In condizioni di economia depressa, l’effetto espansivo di un’immissione di potere d’acquisto nell’economia è particolarmente elevato (moltiplicatore del reddito superiore all’unità). Peraltro, se i CCF sono emessi con dilazione temporale di utilizzo (per beneficiare degli sconti fiscali), ad esempio, di due anni, anche un moltiplicatore inferiore all’unità è sufficiente per garantire l’equilibrio tra il maggior gettito lordo prodotto dall’espansione economica e la riduzione di gettito prodotta dagli sconti.
Obiezione 4: in ogni caso, si viola il principio costituzionale che prevede l’indicazione di coperture specifiche per ogni nuova spesa pubblica, o per ogni riduzione di entrata fiscale.
Confutazione: il principio viene totalmente rispettato se vengono previste coperture con attuazione differita al momento in cui i CCF diventano utilizzabili per sconti fiscali. Per esempio, se si emettono nel 2018 CCF per 30 miliardi con scadenza di utilizzo al 2020, si identificano coperture con (eventuale) attuazione nel 2020. Nel caso limite in cui chi riceve CCF non li utilizzi per finanziare spesa ma li restituisca allo Stato soltanto nel 2020 per ottenere sconti fiscali, si fa “partita patta”: riduzione di gettito da un lato, coperture che scattano per pari importo dall’altro.
Obiezione 5: cittadini, aziende, operatori finanziari potrebbero non accettare il CCF perché non hanno fiducia nel valore del titolo e nell’impegno dello Stato ad accettarlo come sconto fiscale.
Confutazione: il CCF incorpora un diritto illimitato nel tempo, a partire da una data futura. Sotto questo aspetto è più sicuro di un titolo di Stato emesso dalla Repubblica italiana con impegno al rimborso in euro: la Repubblica italiana potrebbe non disporre degli euro per rimborsare un BTP, ma non potrà mai essere forzata a disconoscere l’impegno ad accettare il CCF per ridurre pagamenti di imposte o tasse. Il CCF quindi è più sicuro di un titolo di debito.
Obiezione 6: l’emissione di una rilevante quantità di CCF metterà in agitazione i mercati finanziari.
Confutazione: al contrario, è altamente probabile che li tranquillizzi. Oggi l’impegno dell’Italia a portare in pareggio il saldo tra entrate e uscite pubbliche in euro è molto arduo da raggiungere, e nella misura in cui ci si prova rischia di aggravare le pesanti condizioni di depressione di cui l’economia italiana soffre ormai da anni. Il progetto Moneta Fiscale crea invece i presupposti per raggiungere l’equilibrio del saldo avviando contemporaneamente un processo di forte e rapido recupero dell’economia, senza peraltro effetti negativi neanche nello scenario più pessimistico (vedi punto 4).
Obiezione 7: la ripresa economica, in regime di cambi fissi, implica un peggioramento dei saldi commerciali esteri.
Confutazione: questo effetto è evitabile erogando una parte dei CCF emessi alle aziende, in funzione dei costi di lavoro da esse sostenuti (una stima plausibile può essere il 25% del totale, che all’incirca è l’incidenza sul PIL sia dell’export che dell’import). Questo crea un immediato recupero di competitività e consente di avviare una rilevante ripresa economica senza peggiorare la bilancia commerciale. Va comunque ricordato che l’Italia non parte da una situazione di squilibrio nei flussi commerciali esteri, e neanche di pareggio, ma di forte attivo (45 miliardi di saldo positivo delle partite correnti nel 2016).
Conclusione
Riteniamo che la Moneta Fiscale possa costituire una “terza via” tra le politiche di austerità e l’uscita dall’euro. Si tratta di una strada che il nostro Paese potrebbe perseguire in tempi rapidi e in modo autonomo per dare una spinta consistente alla ripresa dell’economia. Non possiamo tollerare che passi altro tempo mentre continuano a peggiorare le condizioni delle fasce sociali e delle aree territoriali più svantaggiate.
Il nostro auspicio è che su questa proposta possa convergere la maggioranza dei partiti e dei movimenti politici, perché mettere in piedi una doppia circolazione monetaria richiede un ampio consenso e il coinvolgimento delle forze economiche.
Riferimenti Bibliografici
Bossone, B., and M. Cattaneo (2015a), A parallel currency for Greece: Part I, VoxEu, 25 May.
Bossone, B., and M. Cattaneo (2015b), A parallel currency for Greece: Part II, VoxEu, 26 May.
Bossone, B and M. Cattaneo (2016a), ‘Helicopter tax credits’ to accelerate economic recovery in Italy (and other Eurozone countries), VoxEu, 4 January.
Bossone, B. and M. Cattaneo (2016b), “Fiscal Money” to End the Unending Crisis, EuNews, 16 Novembre.
Bossone, B., M. Cattaneo, L. Gallino, Enrico Grazzini, e S. Sylos Labini (a cura di) (2015), Per una nuova moneta fiscale: uscire dall’austerità senza spaccare l’euro, e-book MicroMega, 15 giugno.
Cattaneo M., e G. Zibordi (2014), Una soluzione per l’Euro: 200 Miliardi per rimettere in moto l’economia, Hoepli.
Eurostat (2014), Treatment of Deferreed Tax Assets (DTAs) and Recording of Tax Credits Related to DTAS in ESA2010, 29 August.
Pilkington, P., and W. Mosler (2012), Tax-backed Bonds: A National Solution to the European Debt Crisis, Policy Note 2012/4, Annandale-on-Hudson, N.Y.: Levy Economics Institute of Bard College.
Amato, M., L. Fantacci, D. B. Papadimitriou, e G. Zezza (2016), Going Forward from B to A? Proposals for the Eurozone Crisis, Levy Economics Institute of Bard College, May.
[1] Si veda Bossone et al (2015).
[2] Si veda Bossone and Cattaneo (2016a).
[3] Si veda Cattaneo e Zibordi (2014).
[4] Si veda Amato et al. (2016).
[5] Si veda Pilkington and Mosler (2012).
[6] Si veda Bossone and Cattaneo (2015a,b).
[7] Si veda Bossone and Cattaneo (2016b).
[8] Il punto è che tali “pagamenti” comportano quello che in Ragioneria si chiama un “inventario permanente” dei titoli in circolazione, di cui si rilevano, con una contabilità speciale, i fondi e i flussi disponibili per l’azienda che li detiene (in questo caso, lo Stato), mentre il CCF è “one shot”: il titolo, una volta usato per la compensazione con il debito tributario o contributivo, si estingue.
[9] Si veda Eurostat (2014).
Fonte: economiaepolitica.it
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