di Jean Pierre Page
Da decine di anni la questione si riassume nella ripetizione lancinante di scadenze elettorali dove si deve scegliere tra il candidato del Partito Socialista, il candidato della destra o dell'estrema destra. Il fine resta sempre lo stesso, si sa: chi metterà meglio in atto il programma del Capitale? Questo vicolo cieco ha generato tra i lavoratori una perdita di fiducia, una insoddisfazione, uno scoraggiamento. La mano del capitale è diventata più pesante al punto che si può parlare di una regressione sociale senza precedenti, di un regresso di civiltà.
Questa condivisione dei ruoli tra “le élites al potere di destra come di sinistra” ha funzionato fino ad oggi in una “consanguineità di classe”.
Oggi è in questione. Quello che era vissuto come un orizzonte, come un muro insuperabile, a causa della globalizzazione, ha cominciato a mostrare delle crepe! La coscienza si fa strada, una convinzione largamente condivisa è che “non funziona più”, il sistema è senza respiro, è in crisi profonda.
Una cosa è certa, la fuga in avanti di ciò a cui si assiste provocherà sempre più ingiustizia sociale, più ricchezze accumulate nelle mani di alcuni, più violenza e guerra. Si possono girare i fatti come si vuole, si possono interpretare, una realtà concreta e incontestabile si impone a tutti, basta vedere le conseguenze del fallimento dell'Unione Europea, o l'estrema tensione internazionale per convincersi.
Viviamo la fine di un'epoca, è urgente tenerne conto. Come diceva Antonio Gramsci: “Il vecchio mondo muore, il nuovo tarda ad apparire, e in questo interregno nascono mostri”.
Ho la debolezza di credere che come abbiamo visto altrove i popoli in maniera cosciente o in maniera confusa o a volte in tutte e due hanno voglia di dire “Basta!”. Non bisogna imparare nuovamente a dire No, prima di dire Sì ad altre cose?
Per parte mia quello che cambia radicalmente in queste elezioni presidenziali e in maniera imprevista è che il popolo prende coscienza che le cose sono legate e che la loro condizione di vita e di lavoro ne dipende. Si parla nuovamente di classi sociali, di modo di produzione, di proprietà, di giustizia sociale, di condivisione della ricchezza, di ambiente come della nostra ricchezza comune, di pace, di uscita dalla Nato, di una critica radicale delle finalità stesse dell'Unione Europea, di uguaglianza, di solidarietà, di libertà. In queste circostanze può crescere l'idea di una rottura con l'ordine di cose esistenti, con la crisi capitalista, con la causa delle disuguaglianze in Francia, in Europa e nel mondo! È un cambiamento qualitativo che non va sottostimato!
Certamente non è una rivoluzione, ma è già più di una ribellione contro le idee stabilite! Questo cambiamento sebbene modesto è reale, palpabile, visibile! Non si sopportano più i diktat dall'alto, le decisioni prese al nostro posto, l'idea stessa di sovranità popolare, d'indipendenza, di libera scelta, calpestate o considerate come obsolete. Si vuole dire la propria parola, questa scelta può diventare una forza materiale se ce ne appropriamo, è di questo che si tratta anche in questa elezione presidenziale.
La primavera di rabbia del 2016 (le manifestazioni contro la riforma del lavoro NdT) non ne aveva già dato un assaggio? Aveva mostrato un movimento molto più profondo di quello che non apparisse. La combattività, l'entusiasmo che si trova nei comizi di Jean-Luc Mélenchon non sono che il prolungamento di quello che abbiamo conosciuto nell'ultimo anno. Tornerà la speranza?
Se, come penso, così è, allora bisogna sostenerlo, fare in modo che sempre più persone si riapproprino della politica. Bisogna incoraggiarle ad andare a fondo alle cose. Questo va fatto con assoluta lucidità, con gli occhi aperti.
Bisogna ammettere che le esigenze si incontrano con le posizioni, gli argomenti, i discorsi tenuti e difesi da Jean-Luc Mélenchon.
Dovremmo fare gli schizzinosi, come suggeriscono alcuni? Non dobbiamo piuttosto fare la scelta di incoraggiare il movimento popolare, alimentare la sua combattività e la sua riflessione, coltivare in esso l'idea che è la forza che tutto può quando è unita, che si vuole fare sentire e prendere le cose nelle sue mani? Bisogna per questo cogliere l'occasione, “ la storia non serve lo stesso piatto due volte”!
Mi si risponderà senza dubbio: “D'accordo, ma si può fare meglio, o comunque questo non basta”. Guardiamo le cose in faccia per quello che sono e non per come le immaginiamo.
Da decine di anni, la “sinistra” tra cui la direzione del Pcf, ha deciso volontariamente di ignorare la critica sulle cause della crisi del sistema capitalistico, sul significato delle lotte di classe, in altri termini sul contenuto da dare a una strategia anticapitalista e antimperialista. Come stupirsi che ci sia un prezzo da pagare alle abdicazioni e alle rinunce, agli arretramenti dello spirito critico, alla perdita di riferimenti di classe. La natura odia il vuoto. È stupefacente d'altra parte osservare che gli stessi che ritengono che Mélenchon non si spinga troppo avanti chiedono che questo si annulli dietro il candidato socialista.
Alla fine è confortante vedere che le cose cambiano, che i giovani si impegnano in numero sempre maggiore, che le persone riprendono speranza. È senza dubbio per questo che agli occhi di molti commentatori questo “disordine” è inquietante. Pensano che non si saprà disturbare il buon ordine delle cose.
È vero che non abbiamo visto un clima simile da molto tempo! Senza dubbio perché riappare lo “spettro”, con il suo coltello tra i denti. Ci viene annunciato pari pari uno tsunami economico, finanziario e sociale, la rivoluzione e pure la guerra civile e persino l'adesione della Francia all'Alba, questa creatura sovversiva di Hugo Chavez e di Fidel Castro in America Latina. Certuni annunciano la loro intenzione di lasciare la Francia se Jean-Luc Mélenchon viene eletto. La paura, l'angoscia, sono per alcuni un tarlo. E non si fermerà.
Tutto questo conferma che la lotta di classe non è uno stato d'animo, che la contraddizione capitale/lavoro deve essere risolta in un modo o nell'altro. Per questo non ci lamenteremo che un candidato ne parli: Jean-Luc Mélenchon. Non bisogna solo parlarne, propone quello che noi ci auguriamo, è più di un inizio. Non ci accontenteremo, certo! Perché questo dovrebbe essere un problema e condurci a un sostegno in dosi omeopatiche?
Una cosa è sicura, non impegnarsi a fondo sarà giudicato severamente dal popolo, in particolare dai lavoratori, che si aspettano altre cose che le “geremiadi”. Come nei grandi movimenti sociali, bisogna fidarsi della lungimiranza di quelli che agiscono. È quindi importante che la candidatura di Jean-Luc Mélenchon possa incarnare, sebbene con tutti i limiti, un'alternativa. Perché è di questo che si tratta!
Come lui propone, io penso che annullare la legge El Khomri (la riforma del lavoro NdT), combattere l'”uberizzazione”, rilanciare il lavoro e il consumo popolare, difendere e valorizzare la produzione francese, finirla radicalmente con il debito, uscire dalla Nato, mettere fine alla monarchia presidenziale, mettere in chiaro le cose sull'Europa, agire per la pace è andare nella giusta direzione. È il mezzo per ridare un senso ai valori e all'azione collettiva che un grande popolo come il nostro ha costruito attraverso le sue rivoluzioni, i suoi movimenti sociali, le sue resistenze, le sue lotte internazionaliste per la sovranità e l'indipendenza nazionale.
Bisogna quindi incoraggiare il movimento popolare a fare dei passi in avanti. Non è che l'inizio, ma sarà il modo migliore per esso di continuare a accumulare dei progressi tangibili appoggiandosi sui suoi nuovi punti d'appoggio al fine di continuare la lotta trasformatrice ed emancipatrice.
Bisognerà inventarsi nuove forme di potere politico, di autogestione, di controllo operaio. Non possono esserci processi di trasformazione senza una vasta sperimentazione sociale e politica, tanto prima che dopo il cambiamento.
Ecco perché al di là dei risultati si tratterà di costruire e di moltiplicare le resti, i contro poteri di fronte alle istituzioni sovranazionali, politiche, economiche e finanziarie, alle potenze egemoniche, per imporre i rapporti di forza di cui il movimento popolare, i lavoratori hanno bisogno.
Ecco le ragioni per cui dopo una lunga riflessione e rifiutando qualsiasi idea di uomini della provvidenza, o di delega dei poteri, voterò per la candidatura di Jean-Luc Mélenchon.
Viviamo un periodo inedito di lotta di classe nazionale e internazionale, tutta la questione è ora di sapere se noi saremo capaci di ergerci all'altezza delle esigenze.
Traduzione di Lorenzo Battisti
Fonte: Marx21.it
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