di Maria Nannini
Il Mutuo soccorso si manifesta sotto varie forme: in caso di lutto, i membri si impegnano a sostenere la famiglia colpita sia attraverso contributi monetari, per coprire le spese del funerale, sia attraverso contributi in natura, per necessità di trasporto, cibo e bevande, allestimento della cerimonia. Alcuni gruppi decidono di estendere il supporto anche ai casi di malattia, contribuendo alle spese sanitarie e aiutando la famiglia per gli alimenti e per i lavori agricoli nel momento in cui viene a mancare il lavoro della persona malata.
Nel 2011 Medici con l’Africa Cuamm lanciò il progetto quinquennale Prima le Mamme e i Bambini – Accesso gratuito al parto sicuro e cura del neonato, con vari interventi finalizzati a rendere accessibili le cure per madri e neonati e, di conseguenza, consolidare i sistemi sanitari e migliorare le condizioni di salute della popolazione. Il progetto riguardava gli ospedali distrettuali di Aber in Uganda, Chiulo in Angola, Tosamaganga in Tanzania, Wolisso in Etiopia e relativi centri di salute periferici, per una popolazione complessiva di circa 1.300.000 abitanti.
Durante la mia ultima esperienza in Uganda, nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2016, ho lavorato con il team locale di Medici con l’Africa Cuamm nel distretto rurale di Oyam, dove si trova l’ospedale di Aber. Questo territorio conta circa 400.000 abitanti e presenta, rispetto ai paralleli processi di sviluppo a livello nazionale, un generale ritardo, in gran parte dovuto agli oltre 25 anni di conflitto e insicurezza che hanno costretto la popolazione nei campi profughi. Agricoltura e pastorizia di sussistenza rappresentano ancora le principali attività socio-economiche e le criticità del contesto si riflettono su un debole profilo sanitario.
Al termine del programma 2012-2017, è stato deciso di rinnovare l’impegno per mamme e bambini con una nuova fase del progetto, che estende il focus sui primi 5 anni di vita del bambino; in preparazione a tale passaggio, il mio lavoro si è concentrato su una raccolta dati per introdurre uno schema di assicurazione sanitaria comunitaria, Community Health Insurance (CHI), da realizzare in una zona pilota del distretto. Tale progetto mira a garantire, tramite la raccolta e la gestione di regolari contributi da parte della popolazione, un miglioramento nell’accesso ai servizi sanitari locali, attualmente ostacolato dall’imprevedibilità delle spese dirette delle famiglie (out of pocket). CHI rappresenta uno strumento di finanziamento innovativo nei paesi in via di sviluppo, volto a proteggere le famiglie dalle cosiddette “spese sanitarie catastrofiche” e, in tal modo, estendere la copertura dei servizi sanitari in un contesto rurale povero[1]. “Nuovo” per gran parte dei paesi africani, ma sperimentato fin dall’Ottocento in Europa (vedi Casse di Mutuo soccorso).
Nel promuovere tale schema Medici con l’Africa Cuamm si impegna in un’ottica di sostenibilità per il futuro, sfruttando le risorse, sia umane sia finanziarie, esistenti all’interno della comunità ed incoraggiando soluzioni locali e appropriate per migliorare l’accesso ai servizi sanitari.
Accanto al lavoro di potenziamento della qualità delle cure, sul lato dell’offerta, viene data attenzione anche agli ostacoli esistenti sul lato della domanda, rappresentati principalmente da barriere finanziarie (spese out of pocket imprevedibili) e geografiche (distanza e trasporto). L’intervento CHI è infatti pensato in continuazione all’utilizzo di incentivi, quali Transport Voucher e Baby Kit, volti ad incoraggiare l’accesso ai servizi di maternità.
Al fine di elaborare un’analisi di fattibilità del progetto CHI, è stato studiato il terreno di partenza esistente all’interno della comunità attraverso varie metodologie di ricerca, sia quantitative che qualitative: un’indagine su un campione di di 180 famiglie, intervistate tramite un questionario; focus group discussions con rappresentanti della comunità locali; interviste rivolte alle principali autorità politiche e tecniche a livello di distretto, oltre che ai maggiori health provider (ospedale distrettuale e centri di salute periferici); interviste ai leader dei gruppi di solidarietà.
I risultati della ricerca
Dalla ricerca è emerso che l’accesso alle cure viene chiaramente avvertito come priorità da parte di tutta la popolazione; ogni famiglia appare ben consapevole delle spese catastrofiche legate a malattia e gravidanza. Tali costi, durante la stagione di raccolta nei campi, vengono coperti con la vendita dei prodotti agricoli; tuttavia, quando il periodo dell’anno non rende possibili simili soluzioni, diventa necessario vendere altri beni essenziali, come animali o appezzamenti di terra, per far fronte ad un trasporto in ospedale o ad un ricovero d’emergenza.
La malattia impoverisce e l’accesso alle cure diviene ancora più difficile: il circolo vizioso allarga il gap tra comunità e sistema sanitario, poiché la persona malata non viene portata al centro di salute fin quando le condizioni non si aggravano, e il ritardo rende le spese di cura sempre più pesanti.Allo stesso modo le malattie croniche, presenti nel 40% delle famiglie (si tratta principalmente di AIDS, ulcere, epilessia, ipertensione), vengono trattate quasi esclusivamente al verificarsi di una crisi acuta. La questione del trasporto, con strade difficili, distanze lunghe e costi troppo alti, rappresenta un’ulteriore difficoltà per l’accesso alla rete sanitaria. Infine, le debolezze sul lato dell’offerta influiscono pesantemente sulla copertura dei servizi; anche durante l’attuale epidemia di malaria, che interessa tutte le famiglie, la disponibilità di medicinali ai centri di salute non è immediata, e spesso i costosi rivenditori privati rappresentano l’unica soluzione.
Il questionario mette in luce, ancora una volta, le categorie più esposte e fragili davanti ai problemi di salute: i bambini, specialmente quelli sotto i 5 anni, le donne incinte e le persone con malattie croniche rappresentano i casi più frequenti. Alla luce di queste difficili condizioni di partenza, emerge l’altra faccia della medaglia: la comunità è ben disposta a contribuire per uno schema di Community Health Insurance, proprio perché consapevole degli ostacoli dovuti alle imprevedibili e costose spese sanitarie.
La scoperta dei gruppi di solidarietà
Inoltre, troviamo un altro risultato incoraggiante: il 75% delle famiglie dichiara di essere parte di almeno un gruppo di solidarietà già esistente. Molto spesso, infatti, i membri della comunità si stringono in associazioni volontarie, a livello di villaggio, che svolgono varie attività funzionali allo stile di vita della popolazione contadina. Mediante piccoli contributi, i risparmi di ogni famiglia vengono raccolti in un fondo comune; questo viene utilizzato per concedere prestiti durante l’anno e ridistribuito ai membri al termine del periodo stabilito, tenendo conto delle varie quote e degli interessi maturati.
Inoltre, all’interno dei gruppi la componente di mutuo soccorso si manifesta sotto varie forme: in caso di lutto, i membri si impegnano a sostenere la famiglia colpita sia attraverso contributi monetari, per coprire le spese del funerale, sia attraverso contributi in natura, per necessità di trasporto, cibo e bevande, allestimento della cerimonia. Alcuni gruppi decidono di estendere il supporto anche ai casi di malattia, contribuendo alle spese sanitarie e aiutando la famiglia per gli alimenti e per i lavori agricoli nel momento in cui viene a mancare il lavoro della persona malata.
Si tratta di strategie locali di risk sharing, che seguono principi di solidarietà e reciprocità. I gruppi sono normalmente registrati presso gli uffici del distretto, e dispongono di una propria documentazione scritta, composta da una costituzione, che definisce in forma di articoli le attività, gli obiettivi e le norme concordate dai membri, il registro di contabilità, usato per trascrivere i contributi monetari, e i libretti individuali dei membri. Presentano inoltre una definita struttura di leadership, con un direttore generale, un segretario e un cassiere, i cui ruoli vengono assegnati annualmente tramite elezioni.
Il numero dei membri è variabile, con i gruppi più piccoli di 15-20 persone e associazioni più grandi che arrivano a contare anche varie centinaia di membri. La relativa maggioranza delle donne rispetto agli uomini rimane comunque una costante, in una percentuale intorno al 70%. La fascia di età dei membri è invece eterogenea, con giovani, adulti e anziani che aderiscono allo stesso gruppo.
All’interno di ogni circolo, comunque, valgono principi di democrazia diretta: le decisioni vengono normalmente prese per maggioranza o, più frequentemente, dopo aver raggiunto un consenso tra tutti i membri. I contributi monetari, raccolti regolarmente con cadenza settimanale o mensile, vengono custoditi all’interno di scatole metalliche chiuse con lucchetto. Mentre il cassiere custodisce la cassetta, le chiavi del lucchetto vengono trattenute da altri membri del gruppo, così come i registri della contabilità. Tali meccanismi sono mirati ad evitare casi di corruzione all’interno del gruppo: tutto il materiale viene ricomposto (cassetta, chiavi e registri) al momento della riunione, durante la quale la raccolta e la conta dei fondi avviene in presenza dell’intera assemblea. Data la stagionalità di reddito delle famiglie, legata ai periodi del raccolto, alcuni gruppi si impegnano in vere e proprie strategie di sviluppo; viene stabilito, ad esempio, di ridistribuire i fondi ai membri durante i mesi più difficili, o adottata la pratica di utilizzare tali risparmi per acquistare in ogni famiglia una capra, importante fonte di ricchezza. Ogni associazione presenta caratteristiche e strategie specifiche; tuttavia, lo spirito di solidarietà accomuna i circa 500 gruppi che abbiamo identificato all’interno della zona pilota del distretto: si tratta di una rete sociale ben radicata.
La prima impressione, incontrando un tipo di organizzazione così diffusa in un contesto povero, è di totale stupore. Tuttavia, queste forme di ingegno e unione possono essere interpretate come la naturale e razionale risposta che la comunità ha cercato entro un contesto così difficile, dove i legami comunitari vanno a sostituire una protezione sociale inesistente e servizi formali di credito e assicurativi inaccessibili. I nomi assegnati dagli stessi membri ai gruppi esprimono molto bene tale principio: “Can Mito Note”, “Can Omia Diro”, “Can Mii Tam”, “Note Ber”, “Oroc Pacu”, “Para Nyim”, “Gen Anyim” significano letteralmente “la povertà ha bisogno di unione”, “la povertà ci ha reso saggi”, “ “la povertà è una buona maestra di vita”, “l’unione fa la forza”, “miglioriamo le nostre vite”, “pensiamo al futuro”, “abbiamo speranza”.
In conclusione, l’analisi dei dati raccolti, sia qualitativi sia quantitativi, permetterà di delineare lo schema di Community Health Insurance, che potrebbe svilupparsi attraverso la struttura esistente dei gruppi di solidarietà; il modello di pagamento anticipato per un pacchetto di servizi sanitari potrebbe essere inserito nel sistema di raccolta e gestione dei contributi versati all’interno di ogni gruppo. Una riflessione che abbiamo spesso condiviso con le tante persone incontrate, riguarda proprio questa logica di inclusione entro un’organizzazione già attiva: i contributi solidali e il sostegno che attualmente il gruppo dimostra ai singoli in caso di morte e funerale potrebbero essere estesi al momento della malattia e della gravidanza, per prevenire spese catastrofiche ed aiutare la famiglia durante periodi difficili della vita.
Data la volontà e la spinta da parte della comunità a realizzare una simile soluzione, il ruolo di Medici conl’Africa Cuamm riguarderà la progettazione, la formazione e l’assistenza tecnica per il funzionamento di tale paradigma. Quest’ultimo viene inteso proprio come strumento innovativo e sostenibile per migliorare l’accesso alle cure da parte della popolazione, riducendo il gap esistente tra comunità e sistema sanitario attraverso soluzioni locali.
Bibliografia
Criel B, Atim C, Basaza R, Blaise P, Waelkens MP. Community health insurance (CHI) in sub-Saharan Africa: Researching the context. Tropical Medicine and International Health 2004; 9(10), 1041–43.
Fonte: saluteinternazionale.info
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