di Sandro Moiso
Grazie alla ristampa dei tre testi di Walt Whitman operata, nel corso degli ultimi anni, da Mattioli 1885 oggi diventa forse più facile giungere a fissare i momenti attraverso i quali il mito nazionale di quella che si avviava a diventare la più grande potenza mondiale esistita fino ad oggi è stato formulato. E individuare con certezza uno degli inventori, magari involontario, di una narrazione che sarebbe diventata dominante per un’intera nazione e per la cultura politica (e non solo) di una buona parte dell’Ottocento e del Novecento.
Walt Whitman (1813 – 1892), progressista, democratico e omosessuale, è da considerare non solo come uno dei padri della poesia americana moderna, ma anche dell’ “american dream”, mentre la sua raccolta di poesie Leaves of Grass, rivista e ripubblicata dall’autore in ben nove differenti edizioni tra il 1855 e il 1892, ha costituito una sorta di autentico faro per il rinnovamento della poesia moderna tout court. Almeno fino a tutta la prima metà del ‘900.
In Italia, attraverso la tesi di laurea di Cesare Pavese, segnò l’inizio di un tormentato rapporto tra la cultura accademica tradizionale e la scoperta della letteratura americana, fino ad allora ritenuta barbara, portata avanti proprio da Pavese ed Elio Vittorini.1
Cresciuta dalle iniziali dodici sino al mezzo migliaio di poesie e poesie in prosa contenute nelle ultime edizioni, l’opera non suscitò soltanto interesse o contrarietà per l’abbandono delle forme metriche tradizionali e l’uso di un linguaggio spesso preso dal parlato quotidiano e dallo slang, ma anche una tenace opposizione da parte di chi coglieva nella sua ricerca poetica elementi di oscenità e immoralità, fino alla proibizione, ad opera di un procuratore di Boston, della sua pubblicazione in occasione della sua settima edizione nel 1881 .
Come molti altri scrittori americani della sua epoca,2 Whitman fu prima giornalista e poi scrittore. Anzi, ancor prima tipografo poiché, a causa delle difficili condizioni economiche della famiglia di origine che gli avevano impedito di seguire un regolare percorso educativo, di fatto imparò a scrivere proprio attraverso l’uso dei caratteri tipografici. La sua lingua e le sue idee si sarebbero espresse e manifestate così sui giornali a diffusione popolare ancor prima che nelle poesie o nelle prose che avrebbe in seguito scritto oppure nelle conferenze, su argomenti quali il sesso, il linguaggio e sulle caratteristiche che dovrebbe avere una democrazia ideale, che sarebbe poi stato invitato a tenere .
Proprio questa sua formazione da irregolare lo avrebbe portato a riflettere sulla lingua americana, su ciò che avrebbe dovuto essere e ciò che avrebbe potuto esprimere. Nella testimonianza di Horace Traubel, amico intimo di Whitman e autore di una biografia in nove volumi dell’autore americano, riportata nel Sillabario, il poeta ebbe modo di affermare: “Quest’argomento del linguaggio mi interessa…m’interessa molto…Non m’è mai uscito dalla testa. A volte mi viene da pensare che le foglie non siano altro che un esperimento di carattere linguistico…Insomma , che si sia trattato soltanto di un tentativo…offrire allo spirito, al corpo, all’individuo, nuove parole, nuove potenzialità del linguaggio…una sorta di estensione americana e cosmopolita della libera espressione […] Il nuovo mondo, i tempi nuovi, i nuovi popoli, le nuove opinioni, le nuove prospettive, necessitano di una lingua appropriata – sì, e ciò che è più importante è che noi questa lingua alla fine l’avremo”3
Gli scritti di Withman raccolti nel saggio sulla lingua americana appartengono a quello che molti considerano il periodo più fertile per la sua opera, quello compreso tra il 1850 e la Guerra di Secessione. “In America è necessario un enorme numero di nuove parole per incarnare i nuovi fatti politici, […] i discorsi politici fatti a braccio – le modalità della propaganda elettorale – il modo di rivolgersi al popolo – stabilire tutto ciò che deve essere espresso nei modi adatti alla vita e alle esperienze degli abitanti dell’Indiana, del Michigan, del Vermont, degli uomini del Maine”4
Per il poeta americano l’infanzia costituiva il riflesso in ogni singolo essere umano dell’infanzia dell’umanità e l’infanzia della nazione americana sembrava dover ripercorrere, ai suoi occhi, tutti i processi di apprendimento che si sviluppano nell’individuo durante la sua crescita. In primo luogo quello dell’apprendimento e sviluppo del linguaggio. L’infanzia dell’America diventa dunque l’infanzia di un nuovo mondo. Immagine dalla forte valenza mitopoietica che diventerà dominante in quasi tutti i discorsi sul ruolo degli Stati Uniti nella storia del mondo. Una nazione nuova, schietta, democratica.
“Mi piacciono le parole svelte, durature, feroci […] Pensate forse che le libertà e la forza muscolare di questi Stati debbano avere solo a che fare con delicate parole da signore? Con parole in guanti bianchi dei gentiluomini? Cattivi Presidenti, cattivi giudici, cattivi clienti, cattivi direttori dei giornali, proprietari di schiavi e le interminabili schiere degli intrallazzatori politici del Nord (ladri, traditori, corrotti), monopolisti, infedeli, castrati, impotenti, invertiti, froci, ecclesiastici, uomini che non amano le donne, donne che non amano gli uomini, deplorano in continuazione l’uso delle parolacce forti, taglienti, espressive. Per gli istinti virili del popolo invece saranno sempre le benvenute”. 5
Tutto il discorso dell’America come nazione cui cultura, lingua e tradizione appartengono al Popolo è riassunto in queste parole, che espandono ulteriormente il significato di quel “We the People…” che costituisce il preambolo della Costituzione americana. “Il carattere forgia le parole […] Noi dobbiamo legittimare la nostra eredità, – dobbiamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, anche fra un migliaio di anni, in quanto discendiamo dagli Inglesi di un migliaio di anni fa: la geografia americana – l’abbondanza e la varietà dei grandi popoli dell’Unione – le migliaia di insediamenti – le coste – il Nord canadese – il Sud messicano – la California e l’Oregon – i grandi laghi- le montagne – l’Arizona – le praterie – gli immensi fiumi”.6
Tutto è grande, potente, immenso nella visione di Withman che sembra voler ripercorrere a livello linguistico la dichiarazione di Monroe del 1823.7 Una visione che precorre dal punto di vista dei contenuti tanta letteratura americana fino a Kerouac e, da un altro, l’espansione imperiale ben oltre i confini del Nuovo Mondo. Autentica dimostrazione del fatto che, troppo spesso, la strada per l’inferno è lastricata di buone, talvolta ottime, intenzioni.
Così fu proprio nei drammatici Taccuini della guerra di secessione che Whitman giunse a delineare con più precisione e determinazione ciò che costituiva per lui il carattere e la grandezza della nazione americana. “Quattro anni in cui sono concentrati secoli di passioni ancestrali, immagini di prima categoria, tempeste di vita e di morte – una miniera inesauribile di vite e di morti, che riempiranno la storia, il teatro, la letteratura e persino la filosofia dei secoli a venire – anzi, un’autentica colonna vertebrale della poesia e dell’arte (anche di carattere personale) per tutta l’America futura (molto più possente, secondo me, per le penne che saranno in grado di cimentarsi con esse dell’assedio di Troia di Omero e delle guerre francesi di Shakespeare) […] Nei miei ricordi di quel periodo, e attraverso oceani immensi e vortici torbidi e cupi, sempre più chiara emerge la risolutezza, la severità e l’austera saldezza della maggior parte dei normali Americani, l’animo teso ad uno scopo preciso, anche se spezzato e travolto da chissà quale spaventosa tempesta. La gente comune che si è distinta in migliaia di episodi di un grande e straordinario eroismo, che non hanno mai cessato di ripetersi“.8
Attraverso le pagine di taccuino e le descrizioni terribili degli ospedali da campo visitati dal poeta nel corso della guerra, sorge l’immagine di una nazione guerriera, non importa su quale fronte schierata. Una nazione che sa soffrire per raggiungere uno scopo, un popolo che si fa nazione al di là degli interessi egoistici e meschini dei politici o dei proprietari corrotti. Un’immagine che rivela come il Populismo, quasi sempre, finisca col coincidere con il Nazionalismo e che l’unica differenziazione possibile sia costituita dal fatto che mentre per una Nazione ancora in via di formazione o di liberazione dal dominio di una potenza straniera può coincidere con il Patriottismo, una volta che questa si sia formata ed affermata in quanto Stato il significato ultimo di populismo non può essere altro che sinonimo di aggressività, razzismo, egoismo e militarismo. Con buona pace di tutti coloro che oggi cercano di interpretare in chiave classista i fenomeni politici di carattere populista e si stupiscono delle presunte giravolte di Donald Trump.
Il background è comune e Whitman ha almeno il pregio di rivelarcelo con centocinquant’anni di anticipo.
“Dio e Popolo” affermava il nazional-populista risorgimentale Giuseppe Mazzini. “Dal Popolo deriva tutto, compresa, e soprattutto, la lingua” avrebbe potuto affermare Whitman, con la pletora di successivi imitatori che potrebbero andare dai democratici desiderosi di sottomettere i territori messicani nella prima della metà dell’Ottocento fino ai liberatori dalle tirannie delle campagne mediatiche del XX e XXI secolo. Su, su fino a noi, fino a Bruce Springsteen e Donald Trump.
“E’ la fondazione mitologica di questo sistema di valori e la loro pretesa universalità […] è la pretesa universalità della cultura di fondazione e formazione a lungo egemonica che questa democrazia nazionale esprime, riflettendone il carattere parziale, classista , razzista, sessista, al fondo molto violento”9 che la lettura di Whitman ci aiuta a comprendere. Comprendere per destrutturare un immaginario culturale e , soprattutto, politico che è servito a dare senso, scopo e giustificazione ad un modo di produzione e ad un imperialismo assolutamente privi di raziocinio ed umanità.
Ma quel Popolo e quella Nazione hanno bisogno di uno spazio territoriale in cui poter pienamente insediarsiarsi. Un paesaggio che ne rifletta, allo stesso tempo, l’immagine e la potenza ed ecco allora che l’occasione di un viaggio, o di più viaggi, all’Ovest può costituire il momento per la sua definizione; come avviene nella raccolta di scritti Nel West e altri viaggi.
Tutto negli Stati Uniti è grande , immenso, nuovo, eroico. Dalle praterie alle ferrovie, dai fiumi ai vagoni letto e dalle città alle loro folle.
“Dopo un’assenza di molti anni […] eccomi nuovamente qui, pieno di curiosità, a riprendere contatto con le folle e le strade che conosco così bene: con Broadway, con i ferry, con la parte occidentale della città e la democratica Bowery. E ritrovo i modi e l’aspetto della gente che s’incontra in questi luoghi, ma anche intorno ai moli. O nel perpetuo viavai di vetture a cavallo, o nei battelli gremiti di turisti, a Wall Street e Nassau Street di giorno o nei locali di divertimento di notte: un qualcosa di vorticoso, rigurgitante e fluido come le acque che lo circondano, un’umanità sterminata in tutti i suoi stadi, e poi ancora Brooklyn. […] Non c’è bisogno di scendere nei dettagli: basti dire che (pur con le dovute riserve per le ombre e le venature marginali di città da un milione di anime). Dovendo sintetizzare le mie impressioni su queste immense città, sulle loro qualità umane, le ho trovate confortanti, persino eroiche, al di là di ogni definizione. Espressioni vivaci, figure generalmente ben proporzionate in buona salute, occhi limpidi e diretti, la singolare combinazione di reticenza e disinvoltura con un’indole simpatica e socievole; in prevalenza una gamma conforme di modi, gusti, intelligenze, certo più di quanto non si trovi in qualsiasi altro luogo del mondo; e una palpabile fioritura di quel solidale cameratismo cui io guardo come al più sottile e tenace dei collanti futuri per questa variegata Unione: aspetti che non solo si colgono qui, in questi imponenti canali di umanità, ma che costituiscono ovunque la regola e la media. Oggi potrei dire – incurante dei cinici e pessimisti, ma nella piena consapevolezza delle loro ragioni – che un approfondito studio di valutazione sull’attuale popolazione newyorkese sarebbe la prova più concreta finora disponibile per dimostrare la buona riuscita della Democrazia”10
Per mezzo di questi taccuini, due dei quali11 poi inseriti da Whitman nella sua unica opera di carattere autobiografico,12 è possibile tracciare il divenire della letteratura americana moderna e non solo. Dall’incipit “I Sing the Body Electric…” della sua poesia più famosa fino al Futurismo sgraziato di Marinetti e al sutra di Denver di Jack Kerouac. Ma è anche possibile individuare i caratteri del populismo interclassista di Trump e dei suoi seguaci europei, oppure, ancora più semplicemente dell’Eroe Americano schietto, diretto e limpido che ha conquistato il mondo attraverso i volti di tanti divi di Hollywood, le portaerei e i marines.
Benissimo ha fatto, quindi, la casa editrice Mattioli 1885 riproponendoli e cogliendone, allo stesso tempo, l’attualità. Sia per il letterato che per lo storico oppure per tutti coloro che possono essere interessati ad una comprensione e ad una critica dell’immaginario che sostiene e giustifica ancora buona parte della società che ci circonda. E domina.
“E l’America non è più America, non più un mondo nuovo: è tutta la Terra” (Elio Vittorini – Americana)
- Nota come Dottrina Monroe fu elaborata dal Presidente John Quincy Adams e pronunciata da James Monroe al messaggio annuale al Congresso il 2 dicembre 1823. Costituisce, insieme alla teoria del Manifest Destiny, usata principalmente dai democratici di Andrew Jackson negli anni ’40 dell’Ottocento per promuovere l’annessione di buona parte di quelli che oggi sono gli Stati Uniti Occidentali, la base ideologica del diritto degli Stati Uniti ad occuparsi di tutto il continente americano. A Nord così come a Sud, escludendo qualsiasi ulteriore intervento europeo sul Nuovo Continente.
Fonte: Carmilla online
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