di Alberto Sofia
Sarà pure un vizio italico, quello dei ritardi cronici e dei rinvii, con l’incubo del flop internazionale. O un copione che si ripete identico, per ogni “grande evento” da organizzare, con le opere da assegnare in “somma urgenza“, le inevitabili ombre sui cantieri, i “soliti noti” a puntare la torta degli appalti. Quel che è certo è che nemmeno al G7 di Taormina del 26 e 27 maggio si cambierà abitudine. Stessa corsa, stessi errori: quando manca poco più di un mese al summit dei grandi della Terra, la “Perla dello Ionio” è ancora un gran cantiere, tra disagi, confusione, promesse e annunci traditi. In fondo, era già chiaro tre mesi fa come sarebbe finita: tutto fermo, nemmeno un euro speso, nessun lavoro ancora partito. Oggi si lavora per evitare in extremis la “figuraccia” temuta dal sindaco del centro siciliano, Eligio Giardina. Ma, almeno per ora, c’è ben poco da esultare.
Lavori in ritardo, promesse tradite “Cosa resterà alla fine di questo G7? Poco o nulla”. In città c’è chi ormai è disilluso. Eppure, soltanto pochi mesi fa, era l’allora premier Matteo Renzi, ancora saldo a Palazzo Chigi, a rivendicare di aver scelto Taormina come risposta a chi dipingeva la Sicilia soltanto come “terra di mafia“. Parole ripetute come un mantra dall’ormai ex premier, allora in piena campagna referendaria, prima di essere travolto dalle urne del 4 dicembre. Ottobre, però, era ancora tempo di slogan: “La prima opera per Taormina? Sarà il grande ritorno d’immagine, con la cartolina dei sette capi di Stato e di governo, che accoglieremo nel Teatro greco-romano. Certo, poi faremo tutto quello che serve: infrastrutture, l’eliporto…”, prometteva, presentando il logo dell’evento dal gioiello siciliano. La realtà, al contrario, è che a Taormina rischia di non restare davvero nulla. I due eliporti? Piste temporanee, appena utili per far atterrare i capi di Stato e governo, per poi venire smantellate. Il Palacongressi degli anni ’70 e mai ultimato? Niente da fare, nemmeno questa volta otterrà quell’agibilità definitiva rincorsa e sbandierata da sette sindaci, amministrazione dopo amministrazione, come ricorda una paradossale targa nel palazzo. E la famosa villa Comunale, in parte franata e transennata? Al momento, è ancora tutto fermo, con tanto di scontro tra sindaco e Soprintendenza. Resterà appena la manutenzione nelle strade d’accesso al centro siciliano. E i lavori nel simbolo della città, quel Teatro greco che i Vigili del fuoco (“usati come carpentieri e manovali“, denunciano i sindacati, ndr) stanno ripulendo dall’incuria, dalle sterpaglie e dagli arbusti che stavano logorando mura e gradinate. Quasi nell’indifferenza generale.
Il Palacongressi incompiuto Eppure, stavolta nulla impediva di far partire i cantieri in tempo. Così come presentare progetti, programmare eventi collegati al G7, al contrario assenti o quasi. Oltre ad evitare la solita corsa all’ultimo secondo utile. Anche perché Renzi già a giugno 2016 aveva annunciato che il summit mondiale si sarebbe svolto a Taormina. Peccato che la batosta elettorale abbia – di fatto – oscurato il G7, con lo stesso commissario del governo, Riccardo Carpino, nominato alla vigilia di Natale e operativo solo dai primi giorni del nuovo anno. E la Regione del presidente Rosario Crocetta? “Assente pure lei, il presidente è venuto soltanto a fare passerella in città”, c’è chi accusa, da destra a sinistra. Ma non c’è nemmeno tempo per recriminare sulle inefficienze, con il G7 alle porte: “Faremo tutto in tempo. Certo, c’è una normale preoccupazione per i lavori ancora in corso. La responsabilità per i ritardi? Colpa del terremoto in Centro-Italia e di quello politico post-referendum“, si difende ora il sindaco di Taormina Eligio Giardina, accusato di “immobilismo” dalle opposizioni in Consiglio comunale, oltre che dalle associazioni locali, Legambiente compresa. Soprattutto sul caso Palacongressi. “L’amministrazione non ha adottato un progetto definitivo, così si avrà soltanto un’agibilità parziale. Qualche intervento ai muri esterni e interni, alla climatizzazione, alle sedie, poco più”, attaccano dal Pd. I lavori dovevano partire a gennaio, ma sono stati avviati solo dopo Pasqua. “Siamo un comune in pre dissesto, non abbiamo la disponibilità finanziaria per dotarci di progetti definitivi. Ma sarà un bel passo in avanti”, replica il sindaco. Ma non è tutto. A causa dei ritardi potrebbero restare inutilizzati parte degli investimenti messi a disposizione dalla presidenza del Consiglio dei ministri (circa 45 milioni di euro, 25 dei quali destinati a servizi gestiti da Consip, il resto destinato alle infrastrutture necessarie all’evento). Ma Giardina ora non è più allarmato come mesi fa: “Ripeto, grazie a Carpino abbiamo recuperato il tempo perso, ci faremo trovare pronti. Non siamo quelli con la “coppola”, possiamo competere..”, è convinto. Eppure, proprio lo stereotipo della coppola era stato usato, con tanto di gaffe, dal governo per un’immagine spot del G7, prima che venisse ritirata tra le polemiche. Non certo quel ritorno d’immagine che Taormina auspicava. Resta il summit all’orizzonte, con quella “cartolina” dei 7 grandi pronta a entrare nella storia. “Ne valeva la pena?”, c’è chi si interroga nel mercato cittadino, stizzito per le strade chiuse, le misure di sicurezza, i cantieri che a poche settimane dal via sono tutt’altro che a buon punto.
La “scalata” dei presidenti Non sarà il caso delle elipiste, ormai quasi pronte. Ma non senza ombre. Sono due, con vista sulla baia di Taormina: la prima sarà utilizzata in via esclusiva dall’amministrazione americana di Donald Trump, l’altra dai restanti capi di Stato e governo, compresi Paolo Gentiloni e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Non sarà semplice, però. Perché dagli eliporti, distanti tra loro meno di un chilometro, fino al centro di Taormina le auto presidenziali dovranno inerpicarsi tra strade strettissime, larghe al massimo due metri, piene di curve. Vecchie trazzere, al momento ancora poco asfaltate, con il cemento ormai eroso e le sterpaglie a dominare il paesaggio delle “terrazze sul mare”. Di fatto, sarà quasi un’impresa. “Sbagliato costruirla lì, la città aveva bisogno di un’eliporto per l’ospedale, non di opere smantellate dopo il G7”, ha protestato pure Legambiente. In realtà, l’amministrazione comunale punta a lasciarne in vita una – dopo una contestata deroga al piano regolatore – , vicina alla piscina comunale. “Qual è il progetto? Quello di un eliporto commerciale? Una nuova speculazione?”, ha attaccato Annamaria Nössing, presidente del circolo ambientalista locale, critica anche per il rischio idrogeologico nell’area, già soggetta a frane e smottamenti. Oltre che per l’espianto nell’area di ulivi secolari. Il futuro, però, è ancora un rebus. Di certo, c’è il costo dell’opera: circa due milioni e mezzo di euro. Per due giorni appena, se le elipiste saranno smontate: tutt’altro che un affare.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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