di Riccardo Fanciullacci
1. Quella che segue è una ricerca, ossia innanzitutto un movimento, che si inoltra all’interno di un’idea, l’idea di elaborare un modello di teoria critica che abbia al centro il binomio alienazione/disalienazione, e lo fa per individuare i presupposti, le virtualità e i limiti di questa idea. Come ogni movimento, anche questo richiede un punto di partenza.Un buon punto di partenza, potremmo trovarlo nel seguente fatto. Da qualche anno, alcuni di coloro che si preoccupano per le sorti della critica sociale hanno ritenuto di dover tornare sul concetto di alienazione che, nel frattempo, era stato accantonato. Chi sono costoro, cioè quelli che in generale coltivano la preoccupazione per la critica? La risposta a questa domanda non può essere data per scontata, soprattutto là dove ci si appresta a fare un qualche spazio al pensiero di Marx: fa, infatti, parte dei suoi gesti fondamentali, quello attraverso cui ha preso le distanze dalla “critica critica”, cioè dal lavoro critico, da quel lavoro che non è altro che critica e dalla criticacome unico lavoro.
Qual è la realtà sociale del fare critica e soprattutto del fare “teoria critica”? Di che tipo di fenomeno sociale si tratta? Quali sono le sue condizioni di emergenza e quali quelle della sua efficacia? Ecco alcune delle domande a cui porta un trattamento materialista della teoria critica, una preoccupazione materialista per la critica sociale, ossia, poi, un impegno in una critica sociale materialista. Nella fattispecie, si tratterebbe di chiedersi quale sia il contesto pratico entro cui prende senso la preoccupazione per il concetto di alienazione, se ad esempio faccia parte di un’attività accademica tendenzialmente autoreferenziale anche quando evoca il suo “fuori” per mostrarsi in quello radicata, se non addirittura da quello provocata e resa urgente.
Qual è la realtà sociale del fare critica e soprattutto del fare “teoria critica”? Di che tipo di fenomeno sociale si tratta? Quali sono le sue condizioni di emergenza e quali quelle della sua efficacia? Ecco alcune delle domande a cui porta un trattamento materialista della teoria critica, una preoccupazione materialista per la critica sociale, ossia, poi, un impegno in una critica sociale materialista. Nella fattispecie, si tratterebbe di chiedersi quale sia il contesto pratico entro cui prende senso la preoccupazione per il concetto di alienazione, se ad esempio faccia parte di un’attività accademica tendenzialmente autoreferenziale anche quando evoca il suo “fuori” per mostrarsi in quello radicata, se non addirittura da quello provocata e resa urgente.
Non svilupperò questa interrogazione, ma un’altra più limitata che è importante non confondere con la prima. Mi chiederò innanzitutto perché coloro che ritornano sul concetto di alienazione ritengono di doverlo fare. È una domanda sulla causa, o sulla motivazione, raccontata. Ebbene, tale motivazione è che quel concetto deve tornare a disposizione perché è indispensabile per svolgere con efficacia il compito della critica sociale. Tale critica, si dice, deve poter parlare anche di alienazione, deve divenire in grado di diagnosticare alcuni fenomeni come effetti di un’alienazione soggiacente.
Questa è la sfida raccolta da coloro che di recente hanno riaperto il dibattito sull’alienazione. Conviene averla presente fin dall’inizio giacché indica qual è la misura su cui questi stessi chiedono che siano valutate le loro proposte: non la semplice consistenza logica, ma anche l’efficacia e l’importanza in relazione al compito critico.
Fonte: Etica & Politica
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