di Patrick Cockburn
Grida di guerra e sonori applausi da parte degli establishment politici e dai media loro sostenitori, hanno accolto l’attacco del presidente Trump con i missili in Siria e il lancio della più grossa bomba non nucleare del mondo sull’Afghanistan e l’invio di un’unità militare navale diretta in Corea del Nord. Questo spruzzo di azioni di aggressione nella settimana scorsa ha tanto a che fare con la politica interna americana quanto qualsiasi nuovo sviluppo nel resto del mondo. Trump ha avuto necessità di sdrammatizzare l’accusa di essere troppo vicino al Presidente Putin e troppo tollerante nei confronti di un alleato dei russi come Bashar al-Assad.
Il ricorso all’azione militare era in gran parte per attenersi al vecchio detto del Pentagono che “la politica di difesa termina sulla battigia”, intendendo dire che è la politica all’interno, non all’esterno degli Stati Uniti, che decide realmente le cose.
Il ricorso all’azione militare era in gran parte per attenersi al vecchio detto del Pentagono che “la politica di difesa termina sulla battigia”, intendendo dire che è la politica all’interno, non all’esterno degli Stati Uniti, che decide realmente le cose.
Qualunque siano i motivi precisi di Trump, la sua improvvisa passione per l’uso della forza armata, dimostra che quello che il Presidente Obama criticava come “il manuale di Washington”, è di nuovo in funzione come guida per la condotta della politica estera americana. “E’ un manuale che viene fuori dall’establishment della politica estera,” ha detto Obama in un’intervista concessa l’anno scorso a Jeffrey Goldberg, giornalista della rivista mensile The Atlantic. “E il manuale prescrive reazioni a eventi diversi, e queste reazioni tendono a essere reazioni con l’uso delle armi.”
L’attacco con il gas velenoso su Khan Sheikhoun che ha ucciso 87 persone , e il lancio, come rappresaglia, di 59 missili su una base aerea siriana, è stata l’occasione, ma non la causa del voltafaccia nella politica estera di Trump. In precedenza , aveva sfidato la convinzione comune dei poteri costituiti negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Francia riguardo a numerosi problemi, come, per esempio, i rapporti tra Russia, Siria, Cina, la Nato e l’EU.
C’era qualcosa di comico nello sdegno espresso da coloro che si autoproclamano esperti, per le nuove iniziative di Trump. Le forze anti-Trump hanno interpretato qualsiasi contatto, comunque passeggero, tra qualsiasi membro russo e qualsiasi membro della squadra di Trump, passata e presente, come un segnale di possibile slealtà in un modo che avrebbe fatto sospirare per l’invidia il Senatore McCarthy.
Per quanto possano apparire ingenue alcune dichiarazioni di Trump, altre erano più realistiche di qualsiasi cosa detta da Hillary Clinton o dal Senatore John McCain.
In Siria, per esempio, il problema principale per gli Stati Uniti e i loro alleati è, ed è stato per lungo tempo che, sebbene a loro piacerebbe molto liberarsi di Assad, l’unica alternativa sembra essere l’anarchia o il potenziamento dell’Isis e dei cloni di al-Qaida. La politica della Clinton, fino a quando ne ha avuta una, era quella di fingere che già esisteva o che poteva essere creata una “terza forza” in Siria che poteva combattere e in sostanza rimpiazzare sia l’Isis che Assad. Questo è il tipo di fantasticheria che di frequente è moneta corrente tra i gruppi di esperti e gli esperti impegnati che spesso sono generali in pensione o diplomatici che lavorano come commentatori televisivi.
Il riassunto di Trump di che cosa accadeva in Siria che ha espresso durante la campagna elettorale, era di gran lunga più realistico. Ha detto che il suo atteggiamento era che “si sta combattendo la Siria, la Siria sta combattendo l’Isis, e ci si deve liberare dell’Isis. La Russia è ora totalmente allineata con la Siria e ora abbiamo l’Iran che sta diventando potente a causa di noi che siamo allineati con la Siria…Ora stiamo sostenendo i ribelli contro la Siria, e non abbiamo idea di chi siano queste persone.”
Al mondo non esiste nulla di così tanto spaventoso o crudele quanto un ordine prestabilito che è soggetto a una critica che mette in dubbio le sue convinzioni fondamentali. Da questo nasce l’imbarazzante sollievo dimostrato da così tanti leader mondiali, accademici, specialisti e commentatori sui media per la notizia che la direzione e la gestione della politica estera statunitense sta tornando alle sue vecchie norme. Il loro ottimismo forse è prematuro, ma chiaramente accetterebbero un’amministrazione Trump da cui venga estirpata qualsiasi intenzione estremista.
In tutto questo si ignora il fatto che le opzioni militarizzate che “il manuale di Washington” preferisce e che Obama arrivò a disprezzare, hanno prodotto poco tranne che disastri nell’era seguita all’11 settembre ed è probabile che li provochino di nuovo. Quasi ogni cosa sostenuta dall’establishment della politica estera di Washington fin dall’inizio della guerra in Afghanistan in 2001, in Iraq in 2003, in Libia e in Siria in 2011 e in Yemen nel 2015, hanno creato o esacerbato i conflitti. Notate che nessuna di queste guerre è finita o mostra segni di farlo.
Obama è stato capace di vedere che cosa andava storto, anche se in generale reagiva con stoica rassegnazione invece che tentare di cambiare il corso degli eventi. Però la sua analisi delle debolezze dell’establishment della politica estera degli Stati Uniti e delle sue politiche, è piena di affascinanti intuizioni che sono rilevanti per la politica più convenzionale in cui sembra che Donald Trump si stia imbarcando. Goldberg dice che Obama “ contestava, spesso duramente, il ruolo che gli alleati arabi sunniti dell’America svolgono nel fomentare il terrorismo anti-americano. Era chiaramente irritato che l’ortodossia della politica estera lo costringesse a trattare come alleato l’Arabia Saudita.” Aveva analoghi timori circa i legami degli Stati Uniti con il Pakistan.
I canali televisivi e gli autori di editoriali che trattano la competenza dei gruppi di esperti di Washington con tale ossequiosa riverenza , dovrebbero riflettere sul punto di vista che la Casa Bianca di Obama aveva su queste istituzioni. Goldberg, per un lungo periodo ha parlato con Obama e con i suoi collaboratori, riferisce: “Un’opinione ampiamente espressa all’interno della Casa Bianca, è che la maggior parte dei preminenti gruppi di esperti di politica estera che ci sono a Washington, sta eseguendo gli ordini dei loro finanziatori arabi e favorevoli a Israele.” Ho sentito un funzionario dell’amministrazione definire Massachusetts Avenue, sede di molti di questi gruppi, “territorio occupato dagli Arabi.”
Il fatto notevole è che nessuno degli establishment della politica estera pensa di aver fatto qualcosa di molto sbagliato in Medio Oriente fin dall’11 settembre. Se i governi che consigliano o ai quali appartengono volessero realmente mettere fine alle 8 o più guerre che si stanno facendo nella grande fascia di territorio dal Pakistan alla Nigeria, avrebbero fatto più sforzi in questo senso.
La politica estera di Trump è stata sempre un misto contraddittorio di sciovinismo e isolazionismo, di volontà di fare grande di nuovo l’America e di tenersi fuori dalle guerre degli altri. In questo però, l’elemento isolazionista sembra che stia finendo, come è dimostrato, la settimana scorsa, dalle azioni degli Stati Uniti in Siria, Afghanistan e verso le Corea del Nord, insieme all’atteggiamento più aggressivo verso la Russia.
Questo vuol dire attenersi alle prescrizioni del “programma”, ma è più pericoloso di prima a causa della tendenza dell’amministrazione Trump di essere precipitosa particolarmente verso l’Iran. Il sollievo nelle capitali straniere che molta dell’autorità è nelle mani di generali esperti, potrebbe essere trasferito. Nessuno di questi militari ha avuto così successo o è stato così lungimirante in Iraq e in Afghanistan quanto i loro ammiratori ora proclamano e nessuno ha una tendenza naturale a risolvere i problemi con la forza.
L’unico vero modo di evitare un altro massiccio eccidio, come quello delle 87 persone uccise dalle armi chimiche a Khan Sheikhoun il 4 aprile o le 278 uccise dalle bombe a Mosul il 17 marzo, è di porre fine a queste guerre. Le misure che non ottengono questo, ma che si propongono di dissuadere coloro che le perpetrano o di limitarne i danni, sono pura ipocrisia.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: The Independent
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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