di Fulvio Scaglione
Puoi girarla come ti pare ma la sostanza è questa: chi vuole diffondere la democrazia ama la guerra. Basta vedere quel che succede al povero Donald Trump. L’establishment democratico e parte di quello repubblicano, uniti nella pratica dell’unica politica estera che gli Usa abbiano da decenni, ovvero la cosiddetta “esportazione della democrazia”, gli hanno messo i ceppi ai piedi. Il primo con la storia dei rapporti illeciti con la Russia di Vladimir Putin, che ha precipitato Trump, presidente democraticamente e regolarmente eletto, in una condizione quasi eversiva.
Un po’ come se da noi i servizi segreti e i carabinieri cominciassero a indagare sul presidente Mattarella e lo comunicassero al Parlamento e ai cittadini tutti, andando in Tv e facendosi intervistare dai giornali. Il secondo facendogli capire che nemmeno la quota repubblicana di voti è garantita. Caso tipico la mancata abrogazione dell’Obamacare, la riforma del sistema sanitario voluta da Barack Obama e diventata legge nel 2010: al momento di votare, il Partito repubblicano (che ha sempre detestato la riforma ed è maggioranza al Congresso) si è tirato indietro, lasciando Trump col cerino acceso in mano.
Ora, Trump forse è politicamente sprovveduto ma fesso proprio no. Ha capito la lezione e si è messo con la prua al vento. Ha approfittato del presunto attacco chimico di Bashar al-Assad per lanciare un po’ di missili sulla Siria e fare la voce grossa con la Russia. Poi ha usato una delle 16 superbombe da 9.800 chili dell’arsenale Usa per colpire i ribelli in Afghanistan. Infine ha mosso la flotta contro la Corea del Nord e ha spedito il suo vice, Mike Pence, in Corea del Sud a far capire che gli Usa sono più che pronti all’intervento armato. Cioè a una delle vecchie care “guerre preventive” così proficue negli anni di George Bush junior.
In tutto questo, com’è ovvio, c’è molto teatro. L’attacco missilistico contro la base dell’aviazione siriana è stato portato dopo aver avvertito i russi, ha fatto pochi danni e quasi metà dei missili è finita fuori bersaglio. Ed è certo che la marina Usa non è così facilona. La superbomba è esplosa in Afghanistan ammazzando un po’ di ribelli ma non ha cambiato di una virgola lo stato delle cose. Da anni talebani & C. allargano la propria zona d’influenza e il Governo legittimo ormai controlla la capitale Kabul e poco altro. La situazione è sempre più critica, gli americani non riescono ad andarsene e nel 2016, come ci dice l’Unicef, in Afghanistan c’è stato il record di vittime civili dal 2001. Però, certo, la superbomba ha fatto un sacco di scena.
E poi c’è la Corea del Nord. Trump avrà davvero il coraggio di tentare un colpo militare nel cortile di casa della Cina? O, anche qui, la finzione supera la realtà e quello di Trump è solo una specie di “facite ‘a faccia feroce” a uso e consumo dell’opinione pubblica interna?
In ogni caso, Trump ha raggiunto il proprio scopo. Facendo rullare i tamburi della guerra è diventato, di colpo, simpatico a tutti. Ai neocon repubblicani che di bombe e guerre campano da sempre. E ai neocon democratici che, come si diceva, pur di portare la democrazia non badano al numero delle vittime. L’esempio tipico è il recente editoriale di Thomas L. Friedman, tre volte Premio Pulitzer, pubblicato dal New York Times. Perché mai gli Usa dovrebbero combattere l’Isis, si chiede Friedman, a noi che ci frega? Tiriamoci indietro e lasciamo che l’Isis si scontri coi russi e con Assad, così Assad cadrà e finalmente avremo più democrazia. Certo, Friedman non si è accorto che per due anni e mezzo Obama ha fatto proprio questo, con i suoi finti bombardamenti sulla sabbia. Ma lasciamo perdere. L’idea dell’editorialista non è male, peccato che nel frattempo l’Isis ammazzi un sacco di civili siriani e iracheni che non c’entrano niente, più di 30 mila nel solo 2015. Ma appunto, che volete che sia a fronte della prospettiva di diffondere la democrazia? Che volete che importi al New York Times, che fino a un mese fa ci spiegava che con Trump si era entrati in una nuova era fascista? Dopo tutto, sono solo siriani e iracheni, no?
Giornali e Tv esultano, finalmente è tornata l’America che fa il gendarme del mondo e insegna a tutti l’educazione. Il Trump rovina famiglie, il Presidente isolazionista, nazionalista e islamofobo che stava portando il mondo alla rovina è scomparso, per lasciare il posto a un leader che si fa carico dei problemi planetari. Certo, potremmo essere alla vigilia della terza guerra mondiale, o almeno di un colossale contrasto tra Usa, Russia e Cina, ma che fa?
Il muslim ban? Dimenticato. Il muro al confine col Messico? Poca roba. La denuncia dei trattati commerciali internazionali? Chi se ne importa. Tutto ciò che tre settimane fa era angoscia collettiva oggi è quisquilia, pinzillacchera. E chi, come il sottoscritto, aveva il sospetto che tutte quelle marce e quei cortei anti-Trump fossero un po’ meno spontanei e un po’ più organizzati (a pagamento) di quel che si diceva, e veniva per questo trattato da complottista dalle fighette della sinistra button down, registra oggi la totale assenza di marce e cortei di fronte a un’iniziativa bellica che potrebbe far sembrare quelle di Bush e di Obama un giochetto da ragazzi.
Quindi non c’è verso: più si ama la democrazia, tanto da volerla portare agli altri, più si ama la guerra. Trump l’ha capito e si regola di conseguenza. La vera superbomba, lui, l’ha sganciata sulla testa di chi ancora crede alle favole.
Fonte: Linkiesta
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