di Vincenzo Vita
Per due terzi la relazione annuale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, tenuta alla Camera dei deputati dal presidente Cardani, è risultata condivisibile nelle intenzioni, se non proprio parola per parola. Prende le mosse giustamente dai potenziali effetti del Brexit sull’Europa tecnologica. È doveroso andare avanti, non fermarsi. Le notizie sull’«ecosistema digitale italiano» sono tutt’altro che confortanti. Anzi. In un ipotetico campionato europeo non si entrerebbe neppure nei gironi di qualificazione, essendo posizionati nel 2015 al 25° posto, risalendo di una (!) postazione rispetto all’anno precedente. Stazionaria la situazione nell’armonizzazione dello spettro radioelettrico, dove siamo ventesimi.
Maggiori consumatori di reti mobili rispetto a quelle fisse, i numeri sugli accessi alla banda ultralarga sono ancora molto bassi (5,4% di abbonati sulla popolazione contro il 30% dell’Unione europea) e inquietante è la maglia nera nella gara a chi naviga in Internet di meno, ben il 28% dei cittadini sul 16% europeo. Il Bel Paese va un po’ meglio nei social network e vince – invece – in musica, video e giochi.
Maggiori consumatori di reti mobili rispetto a quelle fisse, i numeri sugli accessi alla banda ultralarga sono ancora molto bassi (5,4% di abbonati sulla popolazione contro il 30% dell’Unione europea) e inquietante è la maglia nera nella gara a chi naviga in Internet di meno, ben il 28% dei cittadini sul 16% europeo. Il Bel Paese va un po’ meglio nei social network e vince – invece – in musica, video e giochi.
Il piano del governo per portare la banda nelle cosiddette aree a fallimento di mercato (che terminologia orrenda) è una medicina, che attenua ma non risolve la malattia, la quale attiene alla scarsa opera di alfabetizzazione (che fa la Rai?) e alla farraginosità della digitalizzazione in atto nella pubblica amministrazione, spesso un problema in più, non in meno.
I ricavi del settore dei media calano dell’1,2%, con una certa tenuta di radio e televisione, una forte discesa dell’editoria (-7,5%) e una timida crescita di Internet (+5,2%), anche in termini pubblicitari. Insomma, l’era delle multi piattaforme stenta e il futuro è incerto, basandosi sul “Testo unico” officiato dall’allora ministro Gasparri nel 2005. Meriterebbe approfondimenti la parte sulle poste, da cui comunque si capisce che le crepe non mancano. No comment sul copyright on line, conquista esibita con voluttà.
E qui veniamo al terzo finale della relazione, davvero deludente. «…Per i quotidiani e la radio si riscontrano minori livelli di concentrazione…». Accidenti, dopo la vicenda «Repubblica-Espresso-Stampa-giornali locali», che deve succedere ancora per lanciare un allarme, così come con “Mondazzoli”?
E sullo sfondo c’è pure la storia del Corriere della sera. Nella radiofonia, che dire dello shopping del gruppo Mediaset? Tuttavia, come la signora Longari, nella battuta divenuta virale a dispetto della verità storica di Rischiatutto – la caduta sull’uccello – , Cardani cade pesantemente sulla par condicio. Intendiamoci, ognuno la pensi come vuole. Non è lecito, però, che il massimo sacerdote in materia sostenga che si tratti di una legge «vecchia», che non piace a nessuno, né a destra né a sinistra. Mettiamo il caso. E allora non spettava proprio al presidente dell’organismo dotato di compiti di alta amministrazione e di “magistratura” in materia di tutela del pluralismo di intervenire con indirizzi impegnatici, segnalazioni alle camere?
Nell’impegnato saluto introduttivo la presidente Boldrini ha parlato, tra l’altro, con efficacia del delicato referendum costituzionale: la par condicio è già oggi, non solo nel mese finale. Ecco, la disinformazione e la strafottente campagna del «Sì» hanno violato tutto. Proprio da qui si capirà se l’Agcom è credibile o meno. Altro che regolazione soft, come recita il rapporto. Faccia l’Autorità, questa volta.
Fonte: Il manifesto
Originale: http://ilmanifesto.info/par-condicio-subito/
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