di Conn Hallinan
Apparentemente la Brexit del 23 giugno e le elezioni spagnole del 26 giugno non sono comparabili. Dopo una campagna disgustosa, piena di razzismo e islamofobia, i britannici – o, meglio, gli inglesi e i gallesi – hanno fatto un salto nel vuoto e votato per l’uscita dall’Unione Europea (UE). Gli elettori spagnoli, dal canto loro, hanno rifiutato il cambiamento e appoggiato un partito di destra che incarna le politiche dell’organizzazione del commercio che ha sede a Bruxelles. Ma nel profondo le linee di faglia dei due paesi convergono. Per la prima volta da quando Margaret Thatcher e Ronald Reagan inaugurarono una varietà di capitalismo del libero mercato e globalizzazione che si appropriò di gran parte del mondo negli anni ’80 quel modello è sotto assedio.
La strategia economica della tassazione regressiva, delle privatizzazioni diffuse e della deregolamentazione ha generato una ricchezza enorme per i pochi, ma un crescente impoverimento dei molti. L’un per cento al vertice possiede oggi più del 50 per cento della ricchezza mondiale.
La strategia economica della tassazione regressiva, delle privatizzazioni diffuse e della deregolamentazione ha generato una ricchezza enorme per i pochi, ma un crescente impoverimento dei molti. L’un per cento al vertice possiede oggi più del 50 per cento della ricchezza mondiale.
Il voto britannico può essere stato concentrato sull’immigrazione e la paura dell’”altro” – turchi, siriani, greci, polacchi, eccetera – ma tale xenofobia nasce dalla rabbia e dalla disperazione di persone che sono state emarginate o lasciate indietro dalla globalizzazione della forza lavoro che ha sistematicamente svuotato piccole comunità e distrutto posti di lavoro remunerati decentemente e provvidenze.
“I cittadini della Gran Bretagna non hanno perso il controllo del loro destino trasferendolo alla UE”, ha scritto Richard Eskow della Campagna per il Futuro degli Stati Uniti; “L’hanno perso poichè i leader del loro paese – così come quelli della maggior parte delle democrazie occidentali – sono sempre più alla mercé di interessi industriali e finanziari”.
Anche se la maggior parte dei media prevalenti ha descritto le elezioni spagnole come una “vittoria” del Partito Popolare (PP) del primo ministro ad interim Mariano Rajoy e una sconfitta della sinistra, si è trattato più di un rimpasto che di una grande svolta a destra e, se Rajoy riuscirà a mettere insieme un governo, probabilmente sarà un governo fragile e di breve durata.
E’ stata una nottataccia per i sondaggisti di entrambi i paesi. I sondaggi britannici prevedevano una sconfitta di stretta misura della Brexit e quelli spagnoli proiettavano un grande successo della sinistra spagnola, in particolare di Unidos Podemos (UP), una nuova alleanza tra Podemos e il partito comunista/verde Izquierda Unida.
Invece la Brexit ha vinto facilmente e UP ha perso un milione di voti rispetto alle ultime elezioni, finendo con lo stesso numero di seggi che aveva nel vecchio parlamento. Per contro il Partito Popolare ha aggiunto 14 seggi, anche se ha mancato di parecchio la maggioranza.
Un importante motivo del risultato spagnolo è stata la Brexit che ha intorbidato i mercati di tutto il mondo ma ha avuto un effetto particolarmente spettacolare sulla Spagna. L’indice azionario Ibex è precipitato di più del 12 per cento e le azioni principali (blue chips) hanno subito una batosta, perdendo circa 70 miliardi di dollari. E’ stata, secondo il maggiore giornale finanziario della Spagna, “la peggiore seduta mai vista”. Rajoy – così come il Partito Socialista (PS) – ha inondato i media di discorsi catastrofici a proposito della stabilità e la cosa in parte ha funzionato.
Il Partito Popolare ha pescato otto dei suoi 14 nuovi seggi dal Partito Ciudadanos di centrodestra e probabilmente ha convinto alcuni elettori di UP a passare all’istituzionale PS.
Ma l’affermazione di Rajoy che “Abbiamo vinto le elezioni. Pretendiamo il diritto di governare” si allarga un po’ troppo. Il PP ha 137 seggi e ha bisogno di 176 seggi per raggiungere la maggioranza dei 350 seggi del parlamento. Il primo ministro dice di avere in programma di unirsi a Ciudadanos, ma poiché tale partito ha perso seggi alle elezioni, una simile alleanza farebbe comunque mancare sette seggi al PP. Un’offerta di una “grande alleanza” con il PS non pare portare da nessuna parte. “Non appoggeremo l’investitura di Rajoy, né ci asterremo”, ha detto il portavoce del Partito Socialista Antonio Hernando. Un’astensione consentirebbe al PP di formare un governo.
Il che non significa che Rajoy non possa formare un governo. Ci sono alcuni deputati indipendenti del Paese Basco e delle Isole Canarie che potrebbero far superare l’asticella a Rajoy, ma sarebbe il primo governo di coalizione della Spagna, e fragile, quanto a questo.
Parte di tale fragilità deriva da uno scandalo a proposito di una email tra Rajoy e Jean-Claude Juncker, capo della Commissione Europea, fatto trapelare ai media. La Commissione fa parte della “troika”, con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea, che decide in larga misura la politica economica della UE.
Nel corso delle elezioni Rajoy aveva promesso di tagliare le tasse di moderare le misure di austerità imposte dalla troika che hanno fatto salire il tasso nazionale di disoccupazione della Spagna al 22 per cento e a un catastrofico 45 per cento tra i giovani. Ma in una email confidenziale a Juncker il primo ministro aveva promesso che “nella seconda metà del 2016, una volta insediato un nuovo governo, saremo pronti a intraprendere ulteriori misure per conseguire gli obiettivi del deficit”.
In una parola, Rajoy aveva mentito agli elettori. Se il PP avesse conquistato la maggioranza assoluta ciò non avrebbe costituito un problema, ma un governo di coalizione è un’altra faccenda. Ciudadanos e gli indipendenti saranno disposti ad associarsi a tale inganno e ad assumersi il rischio che l’elettorato li punisca, considerato che non è probabile che un governo simile duri quattro anni?
I sostenitori di Unidos Podemos sono rimasti profondamente delusi dal risultato anche se UP ha ottenuto il grosso del voto giovanile e ha trionfato in Catalogna, la regione più ricca della Spagna, e nel Paese Basco. Non è chiaro quale impatto avrà lo scarso piazzamento dell’UP sulle divisioni all’interno dell’alleanza, ma le predizioni di una scomparsa dell’organizzazione sono premature. “Rappresentiamo il futuro”, ha detto il leader del partito, Pablo Iglesias, dopo il voto.
C’è una possibile via al potere per la sinistra, anche se passa attraverso il Partito Socialista. Il PS è sceso da 90 e 85 seggi, con il peggior risultato della sua storia, ma se si unisce a UP controllerebbe 156 seggi. Se una simile coalizione includesse i catalani si arriverebbe a 173 seggi e l’alleanza potrebbe probabilmente raccogliere qualche indipendente per raggiungere la maggioranza. E’ esattamente quello che ha fatto la sinistra in Portogallo dopo le ultime elezioni, concordando di accantonare per il momento le differenze.
Il problema è che il PS si rifiuta di spezzare il pane con i catalani perché i separatisti dominano la delegazione regionale e il Partito Socialista si oppone a permettere che la Catalogna indica un referendum sull’indipendenza. Anche Podemos si oppone al separatismo catalano, ma appoggia il diritto dei catalani di votare in merito.
Rajoy può costruire un governo, ma sarà un governo che appoggerà il vicolo cieco delle politiche di austerità che hanno gravato la maggior parte dei membri della UE di tassi di crescita bassi o piatta, di elevata disoccupazione e di una disuguaglianza economica crescente. Il sostegno alla UE è a minimi storici, anche tra i membri centrali dell’organizzazione, Francia e Germania.
La crisi generata dal modello del libero mercato non è certo ristretta all’Europa. Gran parte del sostegno di cui gode Donald Trump gli deriva dalla stessa schiera di scontenti che ha generato la Brexit e anche se “Il Donald” è giù nei sondaggi, lo erano anche la Brexit e il Partito Popolare spagnolo.
I prossimi anni saranno pieni di opportunità e anche di pericoli. Le forze contro l’austerità in Spagna, Italia, Grecia, Portogallo e Irlanda si stanno organizzando e cominciando a coordinare la resistenza alla “troika”. Ma lo stesso stanno facendo anche i partiti della destra: il Fronte Nazionale francese, il Jobbik ungherese, l’Alba Dorata greca, il Partito dell’Indipendenza del Regno Unito in Gran Bretagna, il Partito della Libertà austriaco, il Partito del Popolo in Danimarca e il Partito Democratico svedese.
Invece di rivedere le politiche che hanno seminato tanta miseria in tutto il continente, le élite europee sono state rapide nell’incolpare della Brexit elettori “stupidi” e “razzisti”. “Stiamo assistendo all’implosione dell’ordine economico e culturale postbellico che ha dominato la zona euro-americana per più di sei decenni”, scrive Andrew O’Helir di Salon. “Chiudere gli occhi e sperare che non accada non è probabile produca risultati.”
La maggioranza della Gran Bretagna ha detto “basta” e anche se la destra spagnola ha indotto mediante la paura gli elettori a ritrarsi da un grande cambiamento di corso, quegli elettori scopriranno presto che ciò che è in serbo per loro è ancora altra austerità.
“Dobbiamo por fine all’austerità per por fine a questa disaffezione e a questa crisi esistenziale del progetto europeo”, ha affermato una dichiarazione dell’UP dopo le elezioni. “Dobbiamo democratizzare il processo decisionale, garantire diritti sociali e rispetto dei diritti umani”.
“L’Unione Europea è oggi ufficialmente una casa divisa. Non è chiaro quanto a lungo possa durare.”
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Dispatches from the Edge
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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