di Alessandro Avvisato
Comnque vada, sembra difficile che il governo del contafrottole di Rignano “mangi il panettone”. O perlomeno che superi quella data in pienezza di sentimenti. Il voto delle amministrative, col passare dei giorni, ha assunto le caratteristiche di un anticipo rispetto ad ottobre, quando nel “referenzum” da lui stesso trasformato in un plebiscito personale si giocherà soprattutto la Costituzione formale dell’Italia prossima ventura: un paese in crisi e con molte disfunzioni, come ora, o uno che ha fatto un deciso passo avanti nel precipizio, svenduto a chi vuole comprarselo e fuori dalla democrazia parlamentare borghese del Novecento?
Nonostante questa scadenza “epocale”, nel Palazzo abitato da nanerottoli tutto va come ai vecchi tempi della Democrazia Cristiana, quando – qualsiasi cosa avvenisse qui – comunque ci pensavano gli americani e la Nato a tenere il paese sui binari.
I tempi sono cambiati. Gli americani stanno lentamente disimpegnandosi, o hanno meno forza per decidere da soli. Il nuovo “azionista di riferimento” si chiama Unione Europea, ma non che stia messo meglio; può dettare le regole di bilancio e lo smantellamento del welfare, certo, ma non far nascere una classe politica minimaente all’altezza della crisi.
Nel Palazzo, però, si vive d’altro. In fondo il limite di metà legislatura è stato superato, quindi la maturazione dei contributi ai fini pensionistici (dei parlamentari, chiaro!) è ormai assicurata. Non sarà solo per questo, ma perché otto semisconociuti senatori alfaniani (i più noti sono Formigoni e Schifani) si mettono a sbraitare “usciamo da governo, restiamo in maggioranza, rifondiamo il centrodestra”?
Otto voti in Senato, in questa legislatura, segnano il passaggio dalla maggioranza alla minoranza dei voti per Renzi. Quindi la crisi di governo alla prima occasione utile (e se uno si è abituato ad andare avanti a colpi di “fiducia”, l’occasione arriverà comunque presto). Si può pensare che questi otto vogliano lucrare su una rendita marginale elevata (“senza di noi, niente maggioranza”). Ma lo stesso possono fare altri gruppetti di “votatutto purché se magna”, aumentando la caciara in un ramo del Parlamento che per ora non è abolito né svuotato di potere.
Che l’ex alleato Ncd (Nuovo centro destra, l’avevano già fatto due anni fa, abbandonando Berlusconi al suo destino) sia allo sbando si vede però soprattutto dall’indagine che sta inchiodando ex e attuali parlamentari, il fratello del ministro Alfano (che sembra detenga il singolare record di aver ottenuto una cattedra universitaria prima ancora di conseguire la laurea triennale!), il padre, i vertici delle Poste, e una serie di appetiti arrivati a sfiorare addirittura il sistema informatico della giustizia (in tempi di privatizzazioni, cosa c’è di meglio che sapere prima che ti stanno indagando?).
Può darsi che il governo regga per ora la prova sulle mozioni di sfiducia personale al ministro dell’Interno (ultragarantista in casa propria, ma dittatoriale nel disporre l’uso di strumenti di polizia “antimafia” nei confronti di normali oppositori politici e quadri sindacali). Per Renzi sarà in ogni caso un altro taglio netto con una buona fetta di elettorato Pd.
Quindi i media mainstream colgono il segnale e cominciano a preparare gli scenari per dopo l’estate. In fondo sarà delegato proprio a loro il compito di “gonfiare” le quotazioni del successore, non appena chi di dovere (ricordate Marchionne e il suo “lo abbiamo messo lì noi”?) lo avrà individuato tra i non molti candidabili.
Chi rischia di fare una figura meno che notarile èa questo punto Sergio Mattarella, presidente della Repubblica ufficialmente per scelta renziana, quindi obbligato a un po’ di riconoscenza, ma istituzionalmente obbligato a esperire la possibilità di un nuovo governo che riesca a realizzare un solo obiettivo: cambiare la legge elettorale prima di andare ad elezioni politiche generali.
Anche un cieco vede ormai che il meccanismo dell’Italicum è una follia. Pensato per regalare una maggioranza assoluta a Renzi e a chiunque venga scelto per dare quel lavoro conto terzi (le linee di bilancio, redistribuzione fiscale dei carichi e lo smantellamento del welfare vengono decisi a Bruxelles e Francoforte, per ora), rischia ora di attribuirla a degli absolute beginners che non hano chiaro neanche loro cosa fare una volta al governo (il viaggio di Di Maio in Israele e Usa – un classico per le new entry sconosciute ai principali alleati internazionali – cerca di metterci una toppa che saprà molto di conservazione, anziché di “cambiamo tutto”).
Mattarella, dunque, una volta caduto Renzi dovrà cercare qualcuno capace di scrivere e far approvare in tempi rapidissimi – entro primavera – una legge elettorale che sia al tempo stesso “maggioritaria” negli esiti, garantisca “stabilità” senza incorrere in altre sentenze della Corte Costituzionale e soprattutto non consegni due Camere tra loro diversissime per composizione. In caso di vittoria del NO, infatti, il Senato manterrebbe gli attuali poteri legislativi.
Compito non impossibile, se il parlamento attuale fosse abitato da gente con la testa sulle spalle. Piuttosto complicato, invece, in quello attuale.
A proposito: Renzi non è neanche parlamentare. Potrebbe uscire di scena senza che nessuno se ne accorga…
Fonte: Contropiano
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