La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 31 luglio 2016

Le due facce di Hillary

di Mario Di Vito
Hillary Clinton aveva un obiettivo per la convention che l’ha incoronata candidata dei Democratici alle presidenziali di novembre: spiegare alla base che lei è una di loro. Impresa non facile: tradizionalmente vicinissima al potere, in politica più o meno dall’alba dei tempi, già First Lady e Segretario di Stato. Un curriculum imponente – il presidente Barack Obama ha infatti detto che «nessuno ha più titoli di lei per la presidenza, non li avevo io, non li aveva Joe Biden, non li aveva Bill Clinton» -, ma anche il terribile sospetto di essere un’emanazione diretta dell’establishment politico e finanziario la cui popolarità, negli Usa come altrove, è ai minimi storici.
Hillary nel suo discorso di chiusura della convention non è stata brillante come Michelle Obama o Joe Biden, non è stata fluviale come Barack Obama, non è stata potente come Michael Bloomberg, l’ex sindaco repubblicano di New York che alla fine si è schierato con lei dopo aver pure pensato di candidarsi alla Casa Bianca. Hillary ha cercato di mostrare il proprio volto più umano: «I miei titoli dicono solo quello che ho fatto, ma non spiegano il perché. In tutti questi anni di servizio pubblico mi sono sempre concentrata sul servizio e ho concesso poco tempo al pubblico. Qualcuno non sa cosa pensare di me, ma io non vengo da una famiglia che ha il suo nome su grandi palazzi (questa era per Trump, nda), la mia famiglia ha sempre cercato di costruire un futuro migliore».
Chiedersi se lei sia stata trattata peggio di altri uomini con una storia politica simile alla sua è più che legittimo. Ma ogni volta che lei parla è naturale che sorgano dei dubbi: la sua condotta è sempre stata spregiudicata nei confronti degli avversari, diverse biografie la descrivono come una politica cinica e spietata. Naturale non provare empatia, ma non è che i suoi predecessori fossero tutti degli stinchi di santo. Insomma, di chi parliamo quando parliamo di Hillary Clinton?
Piaccia o no, lei è l’unico argine alla follia di Donald Trump. Di questo, alla fine, ha preso atto anche Bernie Sanders, che ha invitato i suoi – in buona parte riuscendoci – a sostenerla in maniera leale. «Le elezioni vanno e vengono – ha scritto Bernie in un recente Tweet –, ma la lotta continua».
Hillary ha ringraziato a modo suo, inserendo nella propria agenda qualche dichiarazione che può essere letta come una (timida) apertura a sinistra: «Se pensate che dobbiamo aumentare le paghe a tutti, unitevi a noi. Se credete che Wall Street non debba mai più rovinare Main Street, unitevi a noi. Se pensate che tutti debbano avere accesso alle cure e le donne possano scegliere sulla propria salute, unitevi a noi».
Sincera o no, lei ci prova. Agli americani il giudizio sulla sua genuinità.
La convention democratica, per il resto, si era aperta con qualche polemica della base, questione in verità molto gonfiata dai blog della destra americana – seguiti poi a ruota anche dall’appiattita stampa italiana, che quasi sembra sperare che alla fine vinca Trump soltanto per poter dire “l’avevamo detto” –, visto che la manifestazione dei detrattori della Clinton ha visto la partecipazione di appena 10mila persone.
Sanders e Obama, come detto, hanno tirato la volata a Hillary, mentre il vicepresidente Joe Biden ha tirato delle mine pesanti sui Repubblicani e sul loro candidato e Michelle Obama ha toccato le corde preferite dell’elettorato democratico, quelle della speranza nei tempi che cambiano, tema che attraversa decenni di libri, dischi e film: «Ogni mattina mi sveglio in una casa costruita dagli schiavi e vedo le mie figlie, due ragazze nere, che giocano». La politica americana, d’altra parte, è così: un po’ retorica, ma almeno non si è perso il gusto per l’arte oratoria e se proprio vogliamo trovare un altro punto tutto sommato positivo possiamo dire che, diversamente da quanto si fa nella vecchia Europa, qui i progressisti non cercano di inseguire la destra sul terreno del populismo, rimediando sonore batoste perché alla copia l’elettorato preferisce sempre l’originale.
Alla fine, insomma, si può dire che i Democratici siano con Hillary. Compatti sì, ma non si sa quanto convinti.

Fonte: Contropiano 

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