di Giulia Sbaffi
Tra il Centro America e il Messico corrono 1,149 km di confine che dividono l’oceano Pacifico dal mare dei Caraibi. Lungo quella lingua di terra, che ospita alcuni dei territori più poveri della regione, ogni anno si spostano circa 400.000 immigrati irregolari. Per scappare dalla violenza dei Maras – le bande criminali che controllano il triangolo centroamericano formato da Guatemala, El Salvador e Honduras – e dalla povertà endemica che fiacca l’economica della regione, centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini sono costretti ad affidarsi ai trafficanti. Per entrare, poi, in Chiapas, nel sud del Messico dove la popolazione sopravvive con appena due dollari e mezzo al giorno.
Il corridoio che collega l’America Latina agli Stati Uniti, e che passa attraverso il Messico, rappresenta uno dei passaggi migratori tra i più battuti al mondo. Sono circa 1 milione e mezzo i sudamericani ad aver ormai abbandonato il triangolo del NTCA (Guatemala, El Salvador e Honduras), 12 milioni i messicani che vivono fuori dal proprio paese. Negli ultimi anni, secondo i dati raccolti nel rapporto pubblicato dall’International Crisis Group, organizzazione transnazionale che svolge attività di ricerca in campo di conflitti e violenze internazionali, l’emigrazione dal Messico ha subito un’inflessione mentre è aumentata l’immigrazione clandestina. Le ragioni sono molteplici, ma pesano soprattutto le deportazioni di massa verso il Messico operate dagli Stati Uniti che hanno fatto del paese di Zapata un territorio di transito e ora di stallo, dove gli immigrati attendono il ricongiungimento con i familiari già fuggiti altrove o l’approvazione della propria richiesta di asilo.
La lenta burocrazia e una legislazione insufficiente a provvedere alle richieste, ingolfano il sistema facendo crescere la paura e arricchendo le tasche delle bande criminali che provano a garantire la gestione del fenomeno migratorio. L’inasprimento delle misure di controllo potenziate dall’amministrazione Obama a seguito della crisi umanitaria scoppiata nel 2014, ha indebolito le garanzie di un accesso sicuro nei paesi destinatari di migrazione, senza però frenare il fenomeno. Le domande di asilo arrivate in Messico sono raddoppiate e così le approvazioni, ma non basta. I migranti sono troppi, continuano ad aumentare e molti di loro vengono respinti. Soltanto lo scorso anno, scrive ilGuardian, il Messico ha deportato 165,000 centroamericani, mentre gli Stati Uniti ne hanno espulsi 75,000.
A chi cerca di sfuggire dalla regione più violenta del Pianeta – El Salvador, Honduras e Guatemala sono tre dei cinque paesi più pericolosi al mondo -, non resta che affidarsi alla clandestinità. Oltre ad essere estremamente rischiosa, l’immigrazione clandestina è per i sudamericani (o forse sarebbe meglio dire, con una triste e facile generalizzazione, per i migranti di tutto il mondo) estremamente costosa. Per garantire il passaggio di confine, le gang di criminali che gestiscono il traffico insieme ad un nugolo di ufficiali di polizia corrotti, chiedono alla popolazione migrante cifre esorbitanti, ma necessarie per evitare estorsioni ulteriori, la detenzione nelle carceri o il rapimento. La protezione e l’incolumità si pagano a caro prezzo e così la speranza di un approdo sicuro. I migranti diventano quindi preda facile di trafficanti e contrabbandieri di ogni tipo. Intraprendono strade poco battute, pericolose e per chi viene catturato o deportato, il rischio è quello di entrare in un incubo molto peggiore di quello lasciato partendo. I più a rischio sono, inevitabilmente, le donne e i minori non accompagnati.
Considerata come la crisi migrante più grave dall’inizio degli anni Ottanta, il massiccio fenomeno che sta interessando il centro-sud del continente americano è causato da un’escalation di violenze e corruzione che ha reso pericoloso, quando non impossibile, il vivere quotidiano. Soprattutto ad alcune delle categorie sociali più fragili. In un lungo articolo pubblicato sul proprio sito, l’Unhcr raccoglie la testimonianza di una delle tante voci spezzate del Centro America: agente di polizia di una delle unità che si occupa della protezione dei testimoni di omicidi e rapimenti, Carolina (nome di fantasia), è stata costretta, sotto le minacce delle gang criminali locali, ad abbandonare El Salvador alla volta del Messico. Il viaggio, impervio e pericoloso, è costato a Carolina e suo figlio, oltre 2000 dollari americani consegnati nelle mani dei trafficanti e l’arrivo in Messico in un centro di detenzione per richiedenti asilo dove la sua richiesta di asilo è stata esaminata.
Le violenze e il racket guidano il fenomeno migratorio, mentre urge la reazione dei governi. La Costa Rica ha annunciato di voler offrire protezione temporanea a 200 tra quei rifugiati centroamericani in attesa di ricevere asilo negli Stati Uniti. La notizia arriva a margine del riconoscimento ufficiale da parte dell’amministrazione Obama della presenza, tra i migranti, di rifugiati. Una differenziazione scivolosa, su cui si è già trovata a cadere l’Europa nella gestione della crisi del Mediterraneo. Il governo statunitense ha poi annunciato di voler potenziare quegli strumenti che possano permettere, soprattutto ai minori, un più facile ricongiungimento con i genitori già residenti sul suolo americano.
Ma non basta. I governi locali devono garantire a coloro che lasciano il proprio paese l’opportunità di ricevere asilo e di un procedimento burocratico d’approvazione delle richieste che sia rapido ed efficiente. Oltre a ciò, è necessario provvedere all’introduzione di politiche che possano rafforzare la sicurezza economica e sociale nella regione. A lanciare questo duro monito è l’ICG che si rivolge direttamente ai governi di El Salvador, Honduras, Guatemala e Messico affinché mettano fine a quelle deportazioni forzate, ai quei rapimenti, minacce ed omicidi che sembrano essere ormai diventati fenomeni cronici a un’insicurezza sociale profonda.
Fonte: Left
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