di Wolfgang Münchau
In che termini dovremmo riflettere sul rischio che naufraghi il sistema stesso dell’Europa? L’Ue ha avuto un discreto successo nel gestire la crisi. Ma perfino la sua capacità di cavarsela può non bastare quando, come adesso, si sovrappongono crisi diverse. Il problema è evidente in Grecia, Paese impegnato a lottare sia contro un fallimento economico sia contro la crisi dei rifugiati, e senza grandi aiuti da parte del resto dell’Ue. La settimana scorsa, quando la Commissione europea ha reso noto un rapporto nel quale critica Atene per aver mancato di controllare i suoi confini, la Macedonia ha deciso di chiudere la frontiera con la Grecia, lasciando così sul versante greco migliaia di rifugiati. Nel frattempo, ad Atene il parlamento discuteva della riforma delle pensioni, imposta al Paese dai suoi creditori.
La Grecia è l’esempio più lampante, ma di sicuro non è l’unico Paese costretto ad affrontare il sovrapporsi di più crisi, né è il più importante a dover far fronte a questo dilemma: questo titolo potrebbe spettare all’Italia. Anche se i problemi di Roma sono diversi da quelli di Atene, la sostenibilità nella zona euro è altrettanto incerta, a meno di credere che la sua performance economica possa migliorare quando non vi sono ragioni concrete perché succeda.
L’anno scorso l’Italia è stata travolta da un aumento della marea di rifugiati. Oltre a ciò, il Paese deve far fronte a gravi problemi economici irrisolti: nessuna crescita della produttività da 15 anni; enorme peso dell’indebitamento pubblico che non lascia al governo alcun margine di manovra dal punto di vista fiscale; un sistema bancario con 200 miliardi di dollari in prestiti non-performanti, più altri 150 miliardi di debiti problematici.
Si consideri infine che i tre partiti di opposizione più importanti hanno messo in discussione l’appartenenza del Paese alla zona euro. Pur non sembrando probabile che uno di essi riesca ad arrivare al governo in un immediato futuro, è chiaro che all’Italia resta soltanto un periodo di tempo limitato per porre rimedio ai suoi problemi.
La battaglia per mettere in sesto il sistema bancario è un buon esempio dell’immane compito che le spetta. Il governo e la Commissione europea hanno approvato un intricato schema finalizzato ad alleggerire il sistema bancario italiano di alcuni asset tossici. Il piano ha fatto ricorso a tutti gli sporchi trucchetti della finanza mondiale, compreso il famigerato Cds, il credit default swap, espediente che simula una garanzia nei confronti del default.
Questi strumenti consentono agli investitori di tutelarsi dal rischio di default. Più spesso di quel che si vorrebbe, tuttavia, il loro scopo reale è tenere segrete alcune informazioni, ingannare gli investitori o aggirare le restrizioni normative. Nel caso dell’Italia, non si può parlare di motivazioni diaboliche a monte dello schema, ma l’idea che la crisi di solvibilità possa essere risolta tramite queste manovre finanziarie è assurda. Questo schema è più un segno di disperazione che un meccanismo finanziario subdolo. In ogni caso, c’era poco altro che gli italiani potessero fare, viste le regole dell’Ue sugli aiuti di Stato.
La Commissione europea in precedenza aveva fermato la proposta di creare una “bad bank” statale per rilevare i debiti tossici dalle banche e dare loro sollievo. Se avesse proceduto in questo modo, l’Italia avrebbe commesso un illecito. Lo scopo dello schema Cds è più modesto. Non porterà ad alcun alleggerimento diretto, ma contribuirà a creare un mercato efficiente per vendere parte dei suoi debiti tossici. Faremmo pertanto bene ad aspettarci che il sistema bancario italiano e l’economia nel suo complesso continueranno a procedere a fatica.
Mi vengono i brividi a pensare in che modo l’Italia potrebbe affrontare uno choc ulteriore, con un improvviso afflusso in massa di migranti. Ci sono segnali evidenti dai quali si evince che la pazienza dell’Italia nei confronti della Ue, e della Germania in particolare, si sta esaurendo.
Matteo Renzi ha apertamente criticato le politiche Ue su energia, Russia, deficit fiscale, e anche il fatto che la Germania domini sull’intero apparato. Ad aver portato l’Italia a mettere in discussione la sua posizione all’interno dell’eurozona non è solo la crisi dell’euro, bensì la somma di molte crisi, ed è probabile che dal dibattito sul Brexit questa posizione acquisterà altro slancio. In ogni caso, vi è anche un elemento di sfortuna: la politica europea di arrabattarsi, facendo il minimo richiesto e sperando di far sparire i calcinacci in un secondo tempo, avrebbe potuto anche funzionare, se i rifugiati fossero rimasti a casa loro. L’errore Ue non è stato aver imboccato una strada che condurrà alla rovina, ma di essersi esposta senza difese all’inaspettato choc conseguente.
Articolo pubblicato su Financial Times
Fonte: L'Espresso
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