La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 29 settembre 2016

Polvere d’Europa: muri e fili spinati come strumento di oppressione di classe

di Stefano Galieni
Un campo minato. A questo somiglia oggi l’Europa dei 27 e nei prossimi mesi, se non giorni, il numero delle zone a rischio del continente potrebbero aumentare sensibilmente. E la cartina di tornasole per cogliere meglio tale situazione critica è quello della circolazione dei migranti. Aumentano infatti non solo le frontiere esterne realizzate per impedire l’accesso in UE delle persone in fuga ma si rafforzano quelle interne, in una parcellizzazione dei confini che porta al naufragio della stessa idea di Europa. Sono iniziati i lavori per realizzare a Calais, un muro che impedirà il passaggio di chi dalla Francia cerca di raggiungere il Regno Unito. Il governo francese giudica questo un “problema interno”.
Hollande si è recato nel campo “jungle”della cittadina e ha riaffermato l’intenzione di smantellare qualsiasi insediamento. Difficile pensare che, tanto il muro britannico quanto gli sgomberi francesi produrranno effetti positivi, aumenteranno soltanto le tensioni. 
Il 2 ottobre prossimo si voterà in Ungheria per decidere se accettare o meno il piano di ricollocamento profughi proposto e già fallito in sede UE 15 mesi fa. Dei 160 mila giunti soprattutto in Grecia ed Italia che dovevano poter trovare posto nel territorio degli altri Stati membri in 2 anni, ad oggi poco più di 3000 persone hanno trovato collocazione. Dall’Italia si sono mossi 800 rifugiati.
Ai paesi ospitanti l’UE avrebbe garantito 6000 euro per ogni richiedente asilo accolto. A quelli considerati di arrivo e quindi paesi base per far partire la ricollocazione, Italia e Grecia si garantiscono 500 euro a persona per il trasporto. Anche l’Ungheria di Orban doveva poter ricollocare i 54 mila migranti giunti nel suo territorio ma gran parte sono già stati cacciati e il voto di ottobre sancirà che in Ungheria non debbano entrare più profughi. Simili posizioni, con sfumature più o meno cruente, hanno preso Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Bulgaria. In pratica nessun aiuto dall’Est. Bulgaria e Ungheria procedono poi con la costruzione di muri e fili spinati rivolti all’esterno mentre per le frontiere interne si preparano dispositivi di controllo altrettanto invasivi. 
Se, come possibile, alla ripetizione delle elezioni presidenziali, l’Austria avrà un presidente di estrema destra anche i confini col Brennero saranno più militarizzati, la Francia, in parte con le leggi di emergenza giustificate con il terrorismo, in parte con procedure di espulsione e rimpatrio più accentuate, blinderà il confine con Ventimiglia. Francia e Germania, motivate anche con il crollo verticale di consensi dei partiti di governo a favore delle forze xenofobe, stanno, per conto proprio, stringendo accordi unicamente di riammissione e di collaborazione con i regimi dell’Africa Sub Sahariana.
Accordi che vuole anche l’Italia di Renzi, con la differenza che per il presidente del consiglio italiano la negoziazione e quindi l’invio di risorse economiche ai paesi di trattenimento, deve avvenire su base continentale, sul modello di quello con la Turchia. Ma questo richiede l’impiego di somme considerevoli che né i paesi UE né l’ONU, nonostante le belle parole della Dichiarazione di New York intendono nel breve periodo attuare. Di fatto ad oggi, singoli stati vanno negoziando accordi con partner africani a cui si propongono investimenti e forniture militari in cambio dell’obbligo di fermare chi prova a venire in Europa e di riammettere chi è riuscito ad attraversare le frontiere. 
Quindi si blindano le frontiere meridionali non più nel Maghreb ma nei paesi Sub Sahariani e si blindano i singoli Stati europei con nuovi confini interni. 
E sono confini che ad oggi impediscono la libera circolazione di chi non è cittadino europeo e in più è anche povero. Nel futuro prossimo c’è da temere l’aumento delle barriere interne. La “brexit” in un paio di anni sarà compiuta, in Svizzera, paese che non fa parte formalmente dell’UE, ha vinto a grande maggioranza un referendum populista contro i “frontalieri” i “lumbard” che quotidianamente vanno a lavorare nel Canton Ticino con salari più alti rispetto a quelli italiani per poi tornare la sera nei patri confini. 
Misure di contenimento se non di vera e propria espulsione. Non sarebbe affatto strano se, anche per ragioni di politica interna, il trattamento riservato ai cittadini provenienti dai Sud del mondo venisse esteso anche ad una parte dei comunitari. Il Regno Unito lamenta la presenza di troppi lavoratori italiani che godono del welfare sconosciuto da noi, in Germania non è escluso venga ripresentata una proposta di legge per togliere il diritto alla residenza per coloro che, avendo perso il lavoro e vivendo del sussidio statale, dopo sei mesi non hanno trovato nuova occupazione.
Taglio del sussidio, impossibilità ad avere un contratto di affitto e per chi ha cercato fortuna fuori dallo Stivale il futuro diviene incerto. Per ora si tratta solo di ipotesi confermate dall’affermarsi elettorale delle forze fascistoidi che vorrebbero il ritorno ad una improbabile sovranità nazionale con tanto di riedizione dei confini statuali. 
Ma alcune riflessioni, anche per smontare una informazione distorta non casualmente, bisognerebbe farle proprie. 
La prima, confermata da sondaggi, è quella che vedrebbe la popolazione italiana come fra le più favorevoli all’abolizione della libertà di circolazione nella cosiddetta “Area Schengen”. 
Populisti da strapazzo cercano di convincere che in questa maniera si ferma “l’invasione degli immigrati”.Bestemmia enorme. Schengen, che da sempre critichiamo da sinistra, garantisce di non dover mostrare i documenti attraversando le frontiere esclusivamente ai cittadini europei. Per gli altri i controlli non sono mai mancati, si veda quanto accade non da oggi a Ventimiglia, a Gorizia, al Brennero. L’abolizione di Schengen o la sua sospensione bloccherebbe o quantomeno rallenterebbe la circolazione dei cittadini comunitari e sarebbe più restrittiva per chi proviene da altri paesi, con il risultato che coloro che transitano per Italia o Grecia sarebbero ancora più costretti a rimanervi, nonostante abbiano migliori prospettive in altri paesi. 
La seconda è che i rigurgiti nazionalisti sono soltanto il volto più cattivo di una volontà precisa di distruggere i diritti sociali acquisiti.
I muri e i fili spinati li fanno realizzare i padroni con l’aiuto delle istituzioni europee, non servono a fermare improbabili invasioni quanto a centellinare e a rendere più ricattabili coloro che, entrando, cercano spazio nel ciclo produttivo. Non si tratta di manodopera di riserva a basso costo, come in maniera superficiale si continua a dire anche in ambienti a noi vicini, ma della copertura di nicchie economiche, altrimenti prive di braccia, non solo per lavori di bassa qualifica ma in grado di risolvere la crisi demografica europea.
In paesi come la Germania, quella che si va realizzando è una selezione spietata degli arrivi e delle persone da accogliere e formare. Lo scontro assurdo fra ultimi e penultimi va affrontato dimostrando concretamente che gli effetti delle riforme del mercato del lavoro colpiscono, anche se con caratteristiche diverse, tanto gli autoctoni che i nuovi arrivati. 
La terza riguarda il diritto alla circolazione. 
Non è assurdo immaginare che si giunga ben presto (i segnali ci sono) ad affermare in Europa una condizione ancora più dichiaratamente di classe per determinare la libertà di movimento. Se infatti da una parte emergono provvedimenti restrittivi che riguardano anche i cittadini, lavoratrici e lavoratori, comunitari, dall’altra la pratica dell’acquisto della cittadinanza di uno Stato membro, (Malta Cipro Ungheria e Bulgaria per ora) è possibile da tempo per chi può permettersi un congruo versamento nelle casse dello Stato di cui si diventa cittadini o residenti. Hanno cominciato cittadini russi e cinesi, ora si stanno affacciando iracheni e siriani benestanti che insieme ad un appartamento fra i tanti invenduti, acquisiscono il diritto alla libera circolazione in Europa con tutti i vantaggi che questo determina. Avremo insomma presto un continente in cui non saranno soltanto più gli status giuridici e i paesi di provenienza a determinare l’esigibilità di diritti fondamentali ma diventerà più pressante di oggi il censo.
Del resto esistono già oggi “non comunitari” che hanno le corsie preferenziali. Non solo statunitensi o giapponesi ma anche cittadini delle nuove potenze asiatiche, dell’Oceania, che difficilmente si troveranno (turisti, imprenditori o criminali che siano) a subire i controlli e le perquisizioni che si vedono a Ventimiglia o nelle stazioni ferroviarie italiane. La caccia è ai migranti ma la caccia è soprattutto ai poveri, meglio ancora se le due categorie si sintetizzano in una sola persona e se i venti di peggioramento della crisi economica da cui non si è usciti si dimostreranno portatori di nuova tempesta, il restringimento, anche su questo versante, degli spazi democratici sarà cosa data. 
E l’ultima delle riflessioni accennate riporta al presente e al futuro dell’Europa. 
Anche in questo caso si tratta di tenere a mente un dato di fatto con cui non si vogliono fare i conti. Muri, fili spinati, guardie di frontiera, bande di miliziani come quelle che ormai circolano nei Balcani per dare la caccia all’uomo anche con i cani, sistemi di tecnologia avanzata per il controllo dei singoli e centri di detenzione laddove la vita non ha più valore, non serviranno a niente.
Non solo da paesi dichiaratamente in guerra ma anche da quelli apparentemente stabili come l’Egitto, dove ogni giorno 3 o 4 persone spariscono e spesso vengono ritrovati nelle stesse condizioni di Giulio Regeni, come la Nigeria con cui l’Italia stringe accordi ma dove nel frattempo esplodono rivolte, come il Sudan, per anni considerato “stato canaglia” e ora, con lo stesso governo di sempre, considerato partner affidabile, o l’Afghanistan che da una parte è considerato paese da cui non c’è motivo di fuggire e dall’altra, gli stessi governi, inviano armi e truppe per mantenere una sedicente pace nelle poche aree controllate dal governo.
Da quei paesi e da tanti altri si continuerà a scappare inseguendo il sogno europeo a costo della pelle. Chi parte sa bene cosa rischia. Chi parte sa bene che solo in questa parte del 2016 sono oltre 6000 i morti accertati nel Mediterraneo. Chi parte pagherà e rischierà di più, perché non ha alternative. 
Teniamone conto ogni volta che sentiremo, non solo alla nostra destra, qualcuno che parla di confini da rispettare. Teniamone conto perché i confini, lo ripetiamo, avvantaggiano solo i padroni.

Fonte: Rifondazione.it 

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