di Aldo Garzia
Buona parte del socialismo europeo è in coma. Resiste al governo a Stoccolma e Lisbona, è in ripresa a Londra con Jeremy Corbyn alla guida del Labour party ma è sotto la tenda a ossigeno nella Germania della Merkel dove è ingabbiato nel governo di unità nazionale, in Francia dove le aspettative della presidenza Hollande sono andate deluse, in Spagna dove il Psoe si dibatte tra le convulsioni di un dibattito interno senza precedenti. Le cause dell’afasia sono profonde. La prolungata crisi economica ha prosciugato le bandiere socialdemocratiche di piena occupazione e redistribuzione dei redditi, il crollo del “socialismo reale” non è valso come antidoto, i riferimenti ai lavoratori salariati sono andati in frantumi, il progetto di unità europea fa passi indietro, non c’è infine un ripensamento sui valori possibili di un moderno socialismo nell’era della comunicazione digitale.
Verrebbe da chiedersi: di che si occupa la Fondazione dei progressisti europei (Feps), presieduta dal 2010 da Massimo D’Alema?
Verrebbe da chiedersi: di che si occupa la Fondazione dei progressisti europei (Feps), presieduta dal 2010 da Massimo D’Alema?
Esaminiamo il caso spagnolo. Le recenti elezioni in Galizia e Paesi baschi hanno premiato il Partito popolare (Pp) e Podemos. Quest’ultimo ha compiuto il tanto sospirato sorpasso sul Psoe che non era riuscito nelle elezioni politiche dello scorso giugno. L’effetto di queste prove elettorali e la possibilità che la Spagna vada alle terze elezioni generali in un anno hanno acceso la miccia del dibattito interno ai socialisti. Pedro Sánchez, segretario del partito dal 2014, punta i piedi e non vuole cedere a mediazioni da unità nazionale con i popolari del premier uscente Mariano Rajoy. Per questo propone un governo con Podemos, liste locali e l’astensione benevola di Ciudadanos. A tale proposito, prepara per il 23 ottobre una assemblea congressuale in modo da arrivare con una proposta univoca alla vigilia del 31 ottobre, data dopo la quale re Filippo VI scioglierebbe le Camere. Se Sánchez fosse confermato segretario, non avrebbe più intralci interni.
È però in salita la prova di forza del segretario del Psoe. Cresce infatti in alcune realtà territoriali l’opposizione a un congresso straordinario e a una politica ritenuta troppo intransigente, a iniziare dal potente e radicato partito socialista dell’Andalusia guidato da Susana Díaz che si è candidata alla segreteria del Psoe su una linea che ritiene velleitario l’accordo con Podemos. La grande stampa –El País e El Mundo in testa – pubblica intanto editoriali di fuoco contro Sánchez chiedendone le dimissioni, accompagnati da inchieste al vetriolo su ciò che accade nel Psoe. Uguale pressione la esercitano confindustria e interessi economici che vogliono piegare la resistenza socialista. A complicare la strategia di Sánchez ci pensa pure Albert Rivera, leader dei centristi di Ciudadanos, disponibile «a un accordo con Pp e Psoe». Per Ciudadanos, esiste solo l’idea di un esecutivo di unità nazionale o di un monocolore Pp sostenuto dalla propria astensione e da quella dei socialisti.
Nel puzzle è arrivata anche la dichiarazione polemica dell’ex premier socialista Felipe González: «Sánchez mi aveva annunciato l’astensione su Rajoy. Non ha mantenuto la parola». Gli avversari di Sánchez ne otterranno lo scalpo? L’impasse del Psoe non è solo sul nodo politico di come evitare nuove elezioni alla Spagna: è un partito troppo di governo dove governa (con casi di corruzione sempre più numerosi), incapace di fare opposizione a livello centrale e periferico quando e dove non governa. Si tratta di una crisi profonda di identità, paradigmatica di quella dell’insieme delle forze del socialismo europeo.
E l’atteggiamento di Podemos nei confronti del Psoe? Guarda ovviamente con interesse a ciò che accade ma evita di sostenere Sánchez più di tanto, sia per non esporlo troppo sia perché ritiene assai difficile evitare nuove elezioni anticipate: il partito di Pablo Iglesias continua tuttavia a proporre pure in questi giorni una convergenza con socialisti e liste autonomiste di sinistra. In Podemos c’è anche la segreta speranza che in caso di ritorno alle urne questa volta possa realizzarsi il possibile sorpasso sul Psoe a livello nazionale. Il che sarebbe un evento storico: Podemos, dopo aver rotto il bipolarismo iberico, diverrebbe il primo partito della sinistra in Spagna. Un premio di consolazione di fronte alla possibile rivincita di Rajoy, che i sondaggi danno per probabile, e alla disgregazione del Psoe.
Fonte: il manifesto
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