di Giuseppe Civati
A parte che da ieri – tra mucche in corridoio e elefanti astensionistici – dall'Anpi la polemica sembra essersi spostata sull'Enpa, vorrei segnalare un interessante manifesto che campeggia, insieme a molti altri, per la campagna del Sì. Prima questione: se basta un sì, come dice una campagna molto americana (ricorda un famoso e per altri versi inquietante Just say no), perché spendere tutti questi soldi? A una riforma autoevidente come la presentano non dovrebbero servire.Basta un sì con un po' di milioni di euro. Tutto legittimo, s'intende.
Seconda questione: perché la campagna è firmata dai gruppi parlamentari? Non pare una campagna istituzionale, ma una campagna politica di pura propaganda.
Terza questione: perché il messaggio è populistico, nel momento in cui si intende sconfiggere il populismo?
Prendete il manifesto: «Cara Italia, vuoi diminuire il numero dei politici?».Firmato da deputati e senatori. Che evidentemente odiano se stessi. E la categoria a cui appartengono. A questo punto, cara Italia, perché non azzerarli, i politici?
L'obiettivo di un partito, grande e o piccolo, nuovo o vecchio, dovrebbe essere quello di aumentare il numero dei politici, di persone che amano la politica, che si candidano liberamente, che partecipano e promuovono la partecipazione.
Personalmente vorrei diminuire il numero degli impolitici che non votano più. Travolti anche da messaggi come questi. Sfiduciati a colpi di fiducia, come gli stessi politici che si vogliono ridurre. Avrei fatto una riforma per dare più sovranità ai cittadini, più politica a tutti.
Perché poi si scopre che in questa riforma i politici contano parecchio: si scelgono tra loro per andare in Senato e sono scelti dai capi per andare alla Camera.
Una sedicente campagna contro il populismo che usa toni populistici, pensate un po'.
Quanto alla riduzione del numero, vorrei dirlo con parole semplici: il problema non sono i senatori che togliete, ma quelli che rimangono. Con meno poteri di prima, a rappresentare non si sa bene cosa ma a fare cose comunque troppo importanti – come la stessa revisione costituzionale -, essendo stati eletti in alcuni casi per amministrare (i sindaci) e in altri per legiferare (per la propria regione). E nella stessa riforma che abolisce la legislazione concorrente tra Stato e Regioni, gli unici concorrenti, che avranno la possibilità di legiferare in modo esclusivo per le Regioni e in modo esclusivo per lo Stato sono i senatori. Abolita la concorrenza, rimangono i concorrenti.
Tutti alle prese con i dettagliati elenchi (da cui si sono dimenticati agricoltura e industria, peraltro, come ha notato Ugo De Siervo) che aumenteranno i conflitti, per di più.
In quanto alle riduzioni dei costi: si possono ridurre, con legge ordinaria, gli sitpendi dei parlamentari senza pasticciare la Costituzione. Basta un sì, per ridurli, domattina. Basterebbe rinunciare alla quota che i partiti chiedono ai propri parlamentari (da 1000 a 2500 euro al mese) per ridurre i costi dei «politici» (in questo caso, dei loro partiti, nemmeno i loro). Si tratta di una riduzione tra il 20% e il 30% degli emolumenti complessivi. E poi si potrebbero rendicontare le spese, oggi da rendicontare solo a metà. E magari fare una riflessione su chi percepisce la diaria e le spese di trasferta per stare a Roma, pur abitandoci da generazioni.
Più che ridurre i politici, viene da chiedersi come si siano ridotti i politici. Questa è la vera domanda.
Fonte: ciwati.it
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