di Amedeo Maddaluno
L'”affaire F-35″ è uno di quelli sui quali è davvero difficile fare chiarezza, date le molte voci levatesi nel solito tifo da stadio tra chi è favorevole o contrario all’implementazione del cacciabombardiere della Lockheed-Martin tra le piattaforme delle nostre forze armate. Tutte queste voci hanno una cosa in comune: il loro apriorismo e la loro natura fieramente ideologica, mai strategica. Siamo favorevoli perché fedeli alleati nell’ambito NATO del protettore americano (Dio ce ne scampi e liberi! Vieppiù che questa è la posizione implicita di molti politicanti tra cui l’ex Ministro della Difesa Mauro). Siamo contrari perché pacifisti tout-court (posizione degna di rispetto sul piano ideale, tristemente inconsistente sul piano strategico). Insomma: al solito, guelfi e ghibellini.
Già più pragmatica la motivazione dei favorevoli al nuovo sistema d’arma perché gli americani ci concedono di aprire e gestire un centro di manutenzione e assemblaggio velivoli a Cameri (posizione più sensata quanto meno per il breve e medio termine, degna di analisi ma da analizzare).
Già più pragmatica la motivazione dei favorevoli al nuovo sistema d’arma perché gli americani ci concedono di aprire e gestire un centro di manutenzione e assemblaggio velivoli a Cameri (posizione più sensata quanto meno per il breve e medio termine, degna di analisi ma da analizzare).
Insomma: come si fa un ragionamento strategico sull’adozione di un nuovo cacciabombardiere?Partiamo da un presupposto, apparentemente banale ma non scontato: nell’arte militare contemporanea non si parla più di armi ma di “sistemi d’arma”. I recenti prodotti della tecnologia militare sono talmente complessi sul piano tecnico e dell’interoperabilità tra meccanica, elettronica, informatica e, in un futuro sempre meno distante, robotica, da far parlare di veri e propri “sistemi” e non più di armi singole. Sono sistemi maledettamente costosi e complicati da sviluppare per studio, progettazione, sviluppo e ingegnerizzazione nonché produzione e messa a regime operativo.
Il costo dei “sistemi d’arma”, la loro complessità di gestione e manutenzione (con tutto il corredo di competenze, capacità industriali e tecnologie necessarie) aumenta di sproposito, gonfiando ovviamente le tasche dei produttori (e forse anche dei loro referenti politici e militari). Eserciti – in occidente ma anche in Cina – sempre più piccoli (per ragioni demografiche e di costi) richiedono compensazioni in termini di superiorità tecnologica (brutalmente, dai tempi di Napoleone ad oggi: meno truppe si hanno, di più potenza di fuoco si necessita). Il paradosso è quello di ritrovarsi con armi costosissime… per contenere i costi di grandi eserciti stabili e permanentemente mobilitati!
Che l’esercito professionale, compatto e “snello”, fatto di professionisti della guerra, costi meno del vecchio esercito di massa è tutto da dimostrare: sta di fatto che le nostre società odierne non accettano più, non sono più pronte ad accettare, la leva di massa, la militarizzazione della società. Questo ci condurrebbe lontano su ragionamenti Baumaniani su società liquida, stato liquido e conseguenti “eserciti liquidi” e “guerre liquide”: per stare al merito, l’ipertecnologizzazione dei nostri eserciti sembra un processo irreversibile, e così la scelta di piattaforme come l’F-35. Da qui il primo ragionamento: armi ed eserciti ipertecnologici sono efficaci contro eserciti regolari meno avanzati? Spesso sì – si veda il caso delle due Guerre del Golfo – anche se non sempre (gli jugoslavi un superaereo americano l’hanno pur sempre abbattuto: nessuno li aveva avvisati che fosse “invisibile”). Sono efficaci contro nemici asimmetrici come i terroristi (contro i quali i nostri soloni strategici continuano a cianciare di “guerra”)? La risposta è sotto i nostri occhi e non offenderò l’intelligenza del lettore argomentando oltre. Sono efficaci contro un avversario che disponga di tecnologie pari o quasi pari (detto con chiarezza: USA contro Russia o USA contro Cina, le tre potenze militari maggiori)? Questo speriamo di non doverlo mai scoprire. Quanto più che il concetto che sta alla base dello sviluppo del cacciabombardiere è tecnicamente rischiosissimo: invece di progettare una piattaforma con tecnologie affidabili da potenziare man mano che queste progrediscono, si è spinta la progettazione ai limiti della tecnologia sin da subito. Da qui la strutturale inaffidabilità del velivolo e tutti i problemi che sta continuando a presentare – e probabilmente continuerà a presentare per parecchio.
Ecco che da tutto questo deriva il secondo ragionamento strategico: la tecnologia in guerra non è tutto e non è nemmeno molto se impiegata secondo dottrine e tattiche sbagliate. La tattica a propria volta dall’obiettivo strategico che ci si propone: l’F-35 è un cacciabombardiere progettato per scopi “tattici”, un computer volante sulla carta invisibile ai radar (si spera) che ha lo scopo principale di coordinare con dati raccolti dall’area operativa dai suoi avanzatissimi sensori le truppe di terra ed altre piattaforme volanti e al massimo di colpire obiettivi a terra da grande distanza (“oltre l’orizzonte”) con ordigni intelligenti e di precisione. Insomma: è il nodo di una rete informatica, non un semplice aereo. Non è concepito per bombardare più di tanto (nelle proprie baie interne ha capienze ridotte e con ordigni installati sotto ala aumenta la propria traccia radar). Ancor meno, è concepito per il duello aereo contro caccia puri avversari, e nemmeno per il supporto ravvicinato a truppe di terra. Tutto questo limita fortemente l’efficacia multi-ruolo del velivolo e riduce a barzelletta l’idea di aeromobile universale che politici americani ed europei si sono allegramente bevuti: I vertici militari sembrano più consci dei limiti dell’ F-35, pure progettato sul loro sogno/desiderio/fantasia di potersi giovare di una piattaforma multiruolo universale. In caso di guerra, si hanno idee chiare su come utilizzare il cacciabombardiere? Superiorità tattica contro un nemico tecnologicamente avanzato (che probabilmente disporrà di tecnologie di contrasto, che dite, visto che cinesi e russi non sono esattamente gli ultimi scappati di casa) o un qualche tipo di uso contro un nemico asimmetrico (terrorista o guerrigliero che sia – ottima idea, bombardare il Bataclan sotto sequestro con missili intelligenti “oltre l’orizzonte” lanciati da un computer volante: esattamente l’esigenza della difesa europea)? Insomma, prima di avere una tattica ce l’abbiamo una strategia? Quale nemico combattiamo? Potenze militari tecnologiche, dittatori del terzo mondo o ancora terroristi e criminali? Un’arma sola va bene per tutti – specie per gli ultimi, per i quali si assume per scontata la soluzione militare? Attacchiamo o ci difendiamo?
Si badi bene: sin qui non abbiamo (ancora) bocciato senza appello il cacciabombardiere. Abbiamo solo detto che ogni strumento, dal trapano di casa fino ad un complicatissimo sistema d’arma, deve essere implementato non per partito preso, ma in base a precise esigenze. Nel dubbio sul contesto (come il Mago di Segrate, gli esperti sanno tutto delle guerre di ieri ma hanno forti difficoltà a capire quelle di oggi mentre sul prevedere quelle di domani sono stranamente deficitari) meglio scegliere armi robuste ed affidabili, semplici nella manutenzione e flessibili nell’uso e nell’implementazione, con un occhio ai costi così da poterne disporre in gran numero (la logica della Guerra Fredda, ancora oggi prevalente tra russi e cinesi). E’ proprio sulla flessibilità dell’ F-35 che nutriamo i maggiori dubbi.
Già, la flessibilità: che flessibilità offre a molti governi occidentali affidare la quasi totalità delle loro flotte aeree militari ad un solo fornitore (Lockheed Martin), per la fornitura di un cacciabombardiere che nei piani di molti paesi dovrà però assolvere ad ogni ruolo? Il Terzo ed ultimo ragionamento muove da qui: bene per l’Italia avere a Cameri un centro assemblaggio e manutenzione degli aeromobili? Siamo uno dei pochi paesi al mondo che ha le competenze e le capacità industriali e tecnologiche per realizzare aerei da zero, dal disegno al decollo – o quasi. Ci conviene passare dall’essere realizzatori di componenti e tecnologie (come per l’Eurofighter) all’essere semplici assemblatori di tecnologie altrui come un’India qualsiasi (senza offesa per l’India, che anzi richiede dai fornitori il trasferimento della tecnologia che invece Lockheed Martin manterrebbe in buona parte segreta, lasciando all’Italia al massimo la produzione di alcuni componenti). Forse non sappiamo realizzare al 100% un cacciabombardiere avanzato, ma possiamo farlo coi partner europei – proprio come nel caso dell’Eurofighter. Insomma, ancora una questione strategica: vogliamo un’industria europea, autonoma e in crescita, oppure vogliamo diventare dipendenti dagli Stati Uniti in tutto e per tutto?
Insomma: la scelta dell’F-35 appare come una decisione strategicamente scriteriata fatta per rimarcare la fedeltà (la sudditanza?) atlantica di tanti governi da questo lato dell’oceano e per soddisfare la fame di fondi del Pentagono (con tutti i suoi conflitti di interessi) da quell’altro. Per bocciare l’ F-35 non serve essere pacifisti per partito preso: basta un po’ di borghesissimo buon senso.
Fonte: aldogiannuli.it
Originale: http://www.aldogiannuli.it/f-35/
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