di Roberto Romano
Il Governo Renzi assomiglia molto all’ubriaco che cerca le chiavi sotto la luce del lampione. Con il gioco delle tre carte riesce a spacciare il DEF aggiornato come espansivo, con il suo corollario di richiesta al Parlamento di una maggiore flessibilità del deficit (0,4% punti di PIL). L’informazione fa miracoli, ma è appena il caso di sottolineare che il deficit continua a diminuire, così come l’avanzo primario a crescere. Più precisamente il governo riduce la spesa pubblica e quindi la domanda aggregata nella misura in cui spende di meno di quanto incassa.
I numeri sono chiarissimi:
1) il deficit passa dal 2,6% del 2015, al 2,4% del 2016 e al 2,0% del 2017. Rimane la flessibilità, ma al meglio rimane lo stesso rapporto deficit/PIL del 2016;
2) l’avanzo primario passa da 1,5% del 2015 e 2016, all’1,7% del 2017, raggiungendo il 3,2% nel 2019. Solo per memoria ricordo che solo un anno Prodi raggiunse livelli di avanzo primario così alti, con condizioni economiche molto diverse. Qual è il punto?
Se i numeri del DEF (programmatico) fossero rispettati, il Governo Renzi riduce la potenziale crescita del PIL tra il 2016 e il 2019 di quasi 9 punti di PIL. Spacciare come espansiva la prossima manovra economica giocando tra quadro tendenziale e programmatico è un vecchio giochino, ma la sostanza non cambia. Si afferma che il deficit tendenziale per il 2017 sarebbe dell’1,6%, così come il governo lotta con i denti contro le politiche di austerità europee portando il deficit al 2+0,4%. A chi importa se il deficit del 2016 era uguale oppure poco più alto? A nessuno, ma la riduzione del deficit da 2,4-6 al 2,0% è uguale a una riduzione della spesa pubblica, senza contare l’avanzo primario che incide non poco sulla crescita.
Giudicare è sempre più facile che fare. Per tutti sarebbe difficile organizzare una manovra economica adeguata per affrontare i tanti e mai risolti problemi del Paese, ma di una cosa sono sicuro: le stupidate economiche di Renzi da sottoporre ad una seria spending review sono veramente tante. Ha fatto perdere al paese 3 anni di tempo e sperperato oltre 30 mld di euro senza cavarne un ragno dal buco. Come se non bastasse, abbiamo ancora la coda (clava) di 15 mld di clausole di salvaguardia. Denaro anticipato per i suoi (loro) posticci provvedimenti che prima o poi dovremo iniziare a pagare. Come ogni anno le clausole di salvaguardia sono assorbite da un taglio più contenuto del deficit, ma appiattiscono la Legge di Stabilità e qualsiasi altra misura economica degna di questo nome. Pensate al così detto progetto industria 4.0. Il Manifesto è stato molto duro (R. Romano, 23 settembre), ma cominciano a levarsi voce critiche. Daverio (LaVoce.info, 27 settembre) trova non solo la manovra di entità risibile, ma molto discutibile: “In un quadro in cui i consumi languono, incentivare gli investimenti (anche rinnovando provvedimenti non ancora valutati come il super-ammortamento e gli incentivi alla produttività) potrebbe risultare inefficace proprio nella promozione degli auspicati investimenti aggiuntivi”.
Non dimentichiamo nemmeno i 3 e passa mld di riduzione delle tasse alle imprese già contabilizzate per il 2017 - taglio dell’Ires dal 27,5 al 24 per cento -. Proprio la dinamica del Pil suggerirebbe una rivisitazione di questa misura, ma il reaganismo del governo Renzi sorpassa Reagan a destra. Almeno Reagan faceva deficit. Indiscutibilmente il fattore C aiuta molto (R. Prodi), ma è proprio durante periodi così difficili che la politica dovrebbe diventare grande nelle idee (A. Variato). La crescita economica cumulata nel triennio supera di poco l’1,5%, ma non è nemmeno la notizia peggiore. Con il passare degli anni il differenziale di crescita negativa dell’Italia rispetto alla media europea diventa insopportabile e crescente (S. Ferrari). Ormai siamo a meno 0,5 punti di Pil strutturali. Sarebbe meglio prenderne atto, evitando di ipotizzare dinamiche fantascientifiche e ragionare su quello che possiamo fare di buono. Il Governo è inadeguato, ma senza un minimo di progetto economico-politico rischia di perpetuarsi per molto tempo, e non certo per suo merito.
Il DEF aggiornato è uguale a se stesso. Cambiano i numeri, ma le politiche sono sempre le stesse, con qualcosa di più fastidioso. Renzi non è nemmeno vicino alle idee dello Stato minimo. Lo Stato di Renzi, con il passare del tempo, è diventato uno Stato buonista che aiuta i poveri ogni qualvolta li incontra per strada. Alla fine urla contro le politiche europee reclamando maggiori spazi di flessibilità per ridurre le tasse alle imprese, ma non è altro che l’altra faccia della medaglia delle politiche europee.
Fonte: controlacrisi.org
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