di Roberta Fantozzi
Le pensioni sono materia incandescente. Lo sono per la devastazione che è stata prodotta dalla legge Fornero, la più violenta controriforma del dopoguerra che ha scaricato i suoi effetti micidiali sulla vita di milioni di donne e uomini. Lo sono anche perché regolando la fine della vita lavorativa, incidono in maniera determinante sull’insieme dei processi di riproduzione sociale, sull’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani, come sul rapporto tra lavoro produttivo e lavoro di cura e dunque sul rapporto tra generazioni e generi.
L’accordo che è stato siglato ieri al Ministero del Lavoro lascia molte questioni da definire, prevede interventi comunque limitati e non risolutivi dei problemi drammatici aperti dalla legge Fornero.
E’ dunque di decisiva importanza che l’obiettivo della cancellazione della controriforma Fornero e dell’eliminazione delle iniquità preesistenti nel sistema previdenziale veda un rilancio delle iniziative.
L’accordo prevede un’intervento per le pensioni basse. L’importo non è quantificato nel testo ma nelle dichiarazioni a margine il sottosegretario ha specificato che si pensa ad un incremento del 30% delle quattordicesime che già oggi vanno ai pensionati che abbiano compiuto 64 anni ed abbiamo un reddito fino a 752 euro mensili (una volta e mezzo il trattamento minimo). Poiché il valore della quattordicesima va da un minimo di 336 euro fino ad un massimo di 504 euro, gli aumenti dovrebbero variare da 100 a 151 euro annui, 12 euro mensili nella migliore delle ipotesi. La quattordicesima viene poi estesa anche ai pensionati con trattamenti fino al doppio del minimo, cioè fino a 1000 euro. Sono escluse le pensioni sociali ed i trattamenti di natura assistenziale. Le risorse stanziate per queste misure dovrebbero essere intorno agli 800 milioni a cui si aggiungono i 200 milioni circa per l’innalzamento della no-tax area e l’equiparazione al lavoro dipendente.
Si tratta di un intervento, come si vede, limitato per platea e importi e certamente assai inferiore agli “80 euro”.
Per quel che riguarda la soglia di età per l’accesso alla pensione sono previsti interventi circoscritti relativi ai lavoratori precoci e ai lavori usuranti.
Vengono definiti lavoratori precoci quelli che entro il diciannovesimo anno di età abbiano accumulato 12 mesi di contributi. Oggi la possibilità di accedere alla pensione cosiddetta anticipata scatta con 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne. Per il lavoratori precoci sarà consentito l’accesso con 41 anni se disoccupati e senza ammortizzatori, in condizioni di disabilità, o occupati in attività particolarmente gravose.
Per questi lavoratori saranno anche eliminate le penalizzazioni in caso di accesso al pensionamento anticipato prima dei 62 anni (taglio dell’1% per ogni anno di anticipo e del 2% per ogni ulteriore anticipo rispetto a 2 anni).
Per quel che riguarda i lavori usuranti l’accordo prevede un anticipo di 12 o 18 mesi, l’accesso a questa possibilità per chi ha svolto un lavoro usurante per sette anni anche senza che questo sia avvenuto nell’ultimo anno, l’eliminazione dell’innalzamento dei requisiti legati all’aspettativa di vita dal 2019.
Sono tutte misure che, nel ribadire i requisiti previsti dalla controriforma Fornero, definiscono eccezioni molto circoscritte. Ad esse si aggiunge la previsione del cumulo gratuito dei contributi previdenziali e del calcolo dell’assegno con il metodo pro-rata, con l’eliminazione della norma assurda introdotta nel 2010 sulle ricongiunzioni onerose. La ricongiunzione gratuita sembra prevista anche per il riscatto della laurea, un’operazione che in questo caso taglierebbe significativamente i requisiti ma evidentemente circoscritta nella platea dei destinari.
Per quel che riguarda l’Ape, su cui la sola Cgil ha ribadito la propria non condivisione, resta ad oggi tutto indefinito, a parte la soglia dell’età anagrafica pari almeno a 63 anni. Resta indefinita l’importo della pensione con cui accedere. Resta anche indefinita la soglia sotto cui scatterebbe l’Ape agevolata, cioè totalmente a carico dello stato. Viene invece definito che si incentiverà fiscalmente l’uso del TFR per arrivare alla pensione e altrettanto si farà con le pensioni integrative.
L’accordo di ieri non risolve i problemi del sistema pensionistico post-Fornero che ha portato ad un innalzamento dell’età per la pensione fino a oltre 6 anni con un gigantesco aumento dell’orario di lavoro nel corso della vita, e che rappresenta concretamente un’ulteriore muro alla possibilità dei giovani di accedere ad un’occupazione.
Né risolve in nessun modo la bomba ad orologeria rappresentata dai milioni di lavoratrici e lavoratori precari che con il contributivo, una pensione decente non l’avranno mai, come dimostrano le previsioni di una riduzione nel prossimo ventennio delle pensioni medie al 33% del salario medio.
Le risorse mobilitate sono del tutto insufficienti, se si ha presente che la controriforma Fornero ha comportato tagli pari a 80 miliardi nel decennio, 4 volte quello che viene ad oggi stanziato.
L’Ape infine resta uno strumento finanziario inaccettabile e che trasforma i creditori in debitori.
Perché al fondo di tutto va ricordato il dato eclatante che viene continuamente rimosso dalla comunicazione pubblica: sono le pensioni a finanziare le casse dello stato e non viceversa. Se si separa correttamente l’assistenza dalla previdenza e si calcolano le tasse che rientrano nella casse dello stato, se in sostanza si fa il rapporto tra contributi versati e prestazioni previdenziali erogate, si scopre che il sistema pensionistico italiano è in attivo dal 1996 e che quell’attivo è all’incirca di 20 miliardi[i].
Le risorse per il bilancio dello stato si prendano dove ci sono, nelle gigantesche concentrazioni di ricchezza che si sono accumulate in questi anni, tanto più nel nostro paese, e mettendo in discussione apertamente i vincoli folli dell’austerità.
Il rilancio dell’iniziativa e della mobilitazione per cancellare la controriforma Fornero sono una parte decisiva della lotta contro le politiche neoliberiste e per garantire un presente ed un futuro sostenibile alle lavoratrici e ai lavoratori, e all’insieme della società.
[i] Riportiamo i dati tratti dal Rapporto sullo Stato Sociale 2015 relativi al complesso del sistema previdenziale. La spesa per il 2013 per le prestazioni IVS (invalidità-vecchiaia-superstiti) è stata di 201,6 miliardi. I contributi versati sono stati pari a 181,2 miliardi. Le risorse rientrate nelle casse dello stato attraverso le tasse sono stare 41, 3 miliardi. In sostanza il rapporto tra cioè che è uscito dalle casse dello stato in termini di pensioni erogate e ciò che vi è entrato per i contributi e le tasse, è stato in attivo di 21 miliardi pari all’1,3% del PIL.
Fonte: Rifondazione.it
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