La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 11 settembre 2016

Regole, Stato, Uguaglianza

di Pietro Moroni
A Marzo è uscito il libro del prof. Salvatore Biasco, “Regole, Stato, uguaglianza” sottotitolato “La posta in gioco della sinistra di fronte al nuovo capitalismo”, ed edito dalla LUISS University Press. È certamente un segno dei tempi che in tutto il mondo (o almeno nella parte che un tempo avremmo detto occidentale) aumenta la produzione letteraria sul ruolo della sinistra in un periodo di crisi del capitalismo per come eravamo abituati a conoscerlo.
Dal Capitale di Thomas Piketty a The Entrepreneurial State (in Italia uscito col molto più timido nome di Lo Stato Innovatore) di Mariana Mazzucato, solo per citare i più famosi, si nota l’esigenza in una parte del mondo accademico ed intellettuale di operare un cambio di paradigma, vuoi attraverso la riscoperta e la necessaria rielaborazione dei classici dell’economia e del pensiero politico dimenticati in seguito al trionfo dell’egemonia neoliberale (Keynes) o con la caduta del Muro di Berlino (Marx), vuoi con nuovi pensieri che si collocano sul solco di una tradizione progressista che hanno conosciuto una inevitabile fortuna nel contesto del crollo finanziario del 2008 (Minsky).
“Regole, Stato, uguaglianza” si colloca chiaramente in questa tendenza storica, che altro non è che la volontà di raccogliere la sfida di reinterpretare i tempi in cui viviamo e di cercare di scrutare dove ci si possa dirigere in futuro nella costruzione di una società migliore. È peraltro interessante notare come questa sfida sia raccolta con entusiasmo soprattutto dal ceto intellettuale di ogni livello, piuttosto che dal ceto politico e dai partiti, fatte salve le comunque presenti onorevoli eccezioni.
Venendo al libro di Salvatore Biasco Regole, Stato, uguaglianza e alla sua prospettiva sulla sinistra e sul suo futuro, bisogna innanzi tutto premettere che la lettura di quest’opera è complessa e articolata. Essa si divide in tre parti. Nelle prime due, Biasco traccia un discorso coerente e serrato sul capitalismo e sulla situazione sociale politica odierni (Panorama culturale e politico del nuovo capitalismo) per poi ripercorrere, ricostruendola, la storia dell’egemonia neoliberale e della subalternità della sinistra riformista moderna (Lo tsunami neo liberale e la sinistra). L’intento è duplice: da un lato si vuole trarre un’analisi del mondo in cui viviamo e comprendere (e far comprendere) come ci si sia arrivati e di chi siano le varie responsabilità. L’argomentazione di Biasco è stringente ed arriva alla conclusione che il capitalismo odierno, con le sue specifiche caratteristiche e pulsioni, è incompatibile con la democrazia. Dall’ascesa al potere di Thatcher in America e di Reagan negli Stati Uniti fino ai nostri giorni l’offensiva neoliberale (un’ideologia ben presentata dall’autore come “una visione dei processi economici monolitica, compatta, elaborata in modo sofisticato, e, nelle sue espressioni accademiche, non priva di rigore ed eleganza formale, sia pur nell’ambito dei presupposti di partenza e dei giudizi di valore su cui era (/è) costruita”) ha trovato una sinistra troppo spesso in affanno, divisa progressivamente fra chi cercava di resistere a tutti i costi, e chi ha cercato di fare rielaborazioni più o meno efficaci.
Anche qui Biasco, dopo aver descritto la prospettiva mondiale ed europea, si occupa più specificatamente dell’Italia, Paese nel quale la sinistra si trova in un forte deficit di elaborazione politica, per usare le parole dell’autore. Le varie sigle che hanno composto l’esperienza dell’Ulivo e la fondazione del Partito Democratico, fra le loro mille contraddizioni, erano accomunate solo dal minimo comun denominatore del loro rapporto con la cultura neoliberale. L’autore però non liquida l’intera esperienza come appartenente a quell’area di pensiero, benché, come giustamente ricorda l’autore, la sinistra italiana al momento di governare il Paese, si è trovata a sospirare rimpiangendo che in Italia non ci fosse stata una Margaret Thatcher che avesse fatto il lavoro sporco prima di loro, ovverosia liberalizzare l’economia e marginalizzare i sindacati. Rimanevano infatti degli elementi fortemente contraddittori quali l’importanza di un rapporto speciale col sindacato ed un’autopercezione come partito “del popolo”. Il motivo del silenzio intellettuale della sinistra è da ritrovarsi invece nella totale mancanza rinunciataria di elaborazione politica, dimostrata nel “nulla sconcertante”degli anni passati dalla fine dell’esperienza di governo del 2001 e la nascita del PD.
Questa base analitica è quindi il terreno sul quale può elaborare una proposta per il futuro. Colpisce infatti anche visivamente la dovizia di riferimenti e l’attenzione con la quale Biasco affronta temi gravi. Spesso ricorre alle note a piè di pagina per mostrare meglio dei concetti importanti che però interromperebbero il lettore se fossero parte del testo principale. Conviene tuttavia non disdegnarle, in quanto si perderebbero molte riflessioni acute e riferimenti importanti. Nel libro sono altresì presenti delle Letture, cioè testi indipendenti fra una parte e l’altra che l’autore ha ritenuto utili all’approfondimento dei temi ivi affrontati, anche se non necessari alla comprensione all’apprezzamento del libro in sé..
Ma il cuore della proposta di Regole, Stato, uguaglianza si trova tutto nella terza parte. Due sono le basi dell’azione collettiva politica: sapere chi si è, e sapere dove si vuole andare: perciò la terza parte si chiama giustamente Identità e orizzonti programmatici. Appare qui evidente l’importanza di una sorta di europeismo critico per Biasco come quadro all’interno del quale ripensare la sinistra: per l’autore l’Unione Europea è un progetto da cui, ammesso che sia possibile tornare indietro, non è comunque desiderabile affrancarsi. Le conseguenze del crollo politico europeo e del crollo dell’euro sarebbero ingestibili per un’Europa delle piccole patrie e, benché ci siano ampie aree della sinistra e della stessa socialdemocrazia che desiderano perlomeno un allentamento dei legami comunitari, per Biasco la stessa socialdemocrazia non può sopravvivere senza l’Europa, la quale è invece fondamentale per applicare varie misure che, se rilegate al piano nazionale, sarebbero destinate al fallimento, quali la Tobin tax, un diritto del lavoro europeo e l’inserimento di misure sociali proporzionate ai singoli Paesi che pongano fine alla competizione al ribasso fra Stati in campo fiscale e dei diritti. In tal senso, almeno in Europa, lo Stato può essere all’altezza delle sfide odierne solo attraverso l’Unione, purché questa sia liberata dal suo indirizzo neoliberale e dai vari istituti che la indeboliscono e che fanno sì che gli Stati membri siano in competizione fra loro e contro le istituzioni comunitarie, le quali non possono non intraprendere un processo di democratizzazione. Tutte queste riforme da attuarsi al di sopra e all’interno dell’Unione Europea però non possono che essere condotte dalla sinistra, che non può abdicare a questo importante compito riformatore. In questo senso, socialdemocrazia e Europa sono reciprocamente dipendenti per sopravvivere e rinnovarsi.
L’uguaglianza è un tema essenziale sia per il suo valore programmatico (che si esplica nella redistribuzione economica e nella limitazione dell’accentramento senza freni della ricchezza cioè d potere economico) sia per quello identitario. Senza il valore dell’uguaglianza sarebbe impossibile stabilire una distinzione fra “noi” e “loro”, argomenta l’autore. Occorre pertanto favorire un processo attraverso il quale le fasce basse della società possano riconoscersi vicendevolmente come una massa accomunata dall’essere in condizioni subordinate e di disagio più o meno grave rispetto ai ceti superiori, i quali sono inevitabilmente “loro” a causa della disparità che li separa dalle masse, senza che si escluda ovviamente l’opportunità di alleanze con coloro che non si oppongono al valore della solidarietà e alla limitazione della loro ricchezza.
Le regole sono l’altro argomento principe che questo libro affronta da molteplici punti di vista. Dalle regole europee da cambiare radicalmente a favore dei lavoratori, alle regole di un nuovo modello di capitalismo, anche se è discutibile che la socialdemocrazia debba muoversi, come la Terza via, sempre sul solco del capitalismo, specialmente se, come Biasco, si interpretano la democrazia economica e il primato della politica sul mercato come punti ugualmente fondamentali per essa. Certamente sarebbe d’uopo una discussione aperta sulle possibile prospettive di superamento del capitalismo nel lungo periodo. Ad ogni modo per l’autore, al di sopra delle mantenute basi dell’iniziativa privata e della protezione della proprietà, c’è lo spazio per grandi riforme, per una prospettiva di sviluppo che guardi al lungo periodo e alla progettazione degli assi produttivi piuttosto che soffermarsi sulla vecchia retorica dei lacci e lacciuoli da sciogliere. Ancora più importante, è il porre termine all’era del diritto “privatizzato” per tornare al monopolio centrale di un diritto che sia nuovamente certo, prevedibile ed uguale per tutti. La sfida in tal senso riguarda soprattutto la regolamentazione del mondo della finanza, che è la vera bestia da domare.
Per usare le parole di Biasco, la costruzione “di un nuovo paradigma di meccanismi economici e rapporti sociali non può essere data per inevitabile: è una questione di battaglia politico-culturale e programmatica. A dispetto del roseo ottimismo iniziale di questo articolo, correttamente Biasco denuncia il conservatorismo accademico che ancora si pone al seguito del vecchio paradigma scientifico neoliberale: le voci che si levano per il suo superamento sono effettivamente ben lontane dall’essere la maggioranza. La lotta che si apre davanti a noi non ha né esiti scontati né manuali d’istruzione. Regole, Stato, uguaglianza pone domande inevitabili giuste per la ricostruzione di un pensiero di sinistra europeo, e ad esse cerca una risoluzione, sempre con uno sguardo attento alle complessità e alle contraddizioni del nostro mondo, e con la consapevolezza di far parte di un processo storico il cui esito è ancora da scrivere.

Fonte: Pandora Rivista di Teoria e politica 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.