di Alessandro Giannelli
Passata la sbornia referendaria ci ritroviamo subito immersi nel teatrino della politica. Governo tecnico, governo di responsabilità nazionale, governo istituzionale, qualunque sia la formula, balza subito agli occhi il cul de sac in cui, anche dal punto di vista istituzionale, il Governo Renzi ha precipitato il paese. Ma soprattutto appare evidente la distanza tra una classe politica uscita totalmente delegittimata dal risultato referendario e che tenterà di di riciclarsi, e quelle istanze sociali che, se pur in forma contraddittoria e confusa, sono state poste da quei 19 milioni di elettori che hanno sonoramente bocciato l'ipotesi di stravolgere la Costituzione in senso regressivo.
Quelle forze sociali e del sindacalismo di base che hanno innervato la campagna per il NO riempiendola di contenuti sociali hanno avuto senz'altro un merito: far uscire la vicenda referendaria dai confini angusti dei tecnicismi nella quale si voleva confinarla, aprendola a quel mondo del lavoro e a quelle fasce delle popolazione sulle quali oggi maggiormente si stanno scaricando gli effetti della crisi.
Lo sciopero generale indetto dall'USB il 21 ottobre con la parola d'ordine "Via il Governo Renzi" e la manifestazione del 22 per il no sociale al referendum, hanno risposto a questa esigenza imprimendo un'altra marcia alla campagna referendaria che, invece, tanti comitati del no hanno condotto in maniera troppo timida e distante dalle piazze e dalla domanda sociale di cambiamento che è comunque emersa dalle urne.
Il no sociale, quindi, si è sintonizzato con quella stragrande maggioranza della popolazione che inevitabilmente ha espresso il rigetto non solo rispetto ad una riforma ignobile e profondamente antidemocratica, ma rispetto alle politiche messe in campo da Renzi, senza farsi terrorizzare dagli scenari nefasti dipinti dai sostenitori del si, ed anzi respingendo in maniera sdegnata i ricatti delle elitès oligarchico finanziarie.
Il risultato del 4 dicembre, anche dal punto di vista della composizione sociale del voto, si inserisce pienamente nella tendenza dell'ondata di protesta che sta attraversando tutti i paesi dell'Europa occidentale e che recentemente, con la vicenda Trump, si è manifestata anche negli Stati Uniti.
Ma vi è di più.
Le forze che hanno animato il NO sociale alla contro riforma costituzionale hanno anche contribuito ad una lettura "alta" della posta in gioco: ovvero smascherare il tentativo, attraverso le modifiche costituzionali, di costruire una cornice giuridica più permeabile all'ingresso dei trattati europei e, quindi, delle politiche dell'Unione Europea, in Costituzione.
La marea di NO che ha travolto il governo Renzi ha quindi per ora sventato il pericolo che la Costituzione finisse totalmente sacrificata sull'altare della finanza e dei mercati.
Ci riproveranno, se non si avrà la capacità di capitalizzare il No e dare sbocco e prospettiva politica al voto uscito dal referendum del 4 dicembre
Dunque, si riparte da qui, con la consapevolezza che l'establishment europeista non arretrerà di un centimetro, e con la convinzione che all'interno del respingimento della contro riforma costituzionale c'è anche un giudizio severo emesso dall'elettorato nei confronti dell'Unione europea.
Se non altro perchè è stato evidente a tutti che, se Renzi è stato l'esecutore materiale del progetto di smantellamento della Costituzione, l'Unione europea e le elitès oligarchico finanziarie europee ne sono stati i mandanti.
Comprendere questo dato ed agire di conseguenza, significa giocarsi la concreta possibilità di rilanciare nel nostro paese un'opzione che riparta dai diritti e dalle esigenze dei lavoratori e dei settori popolari.
Diversamente, si resta irretiti nella ragnatela dell' "Europa da riformare". Un progetto non solo senza futuro ma, da oggi, anche senza presente.
Fonte: contropiano.org
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