di Michele Martelli
Il NO ha trionfato. Il Napo-leoncino di Rignano, dopo la sua Waterloo referendaria, per segno di coerenza dovrebbe tornare alla sua piccola patria: Rignano sull’Arno. Lasciare definitivamente la poltrona, come ha promesso. In esilio dalla politica. A svolgere una qualche attività privata. Le occasioni non gli mancheranno. Ma il destino privato di Matteo da Rignano ci interessa poco. E più serio riflettere sul fatto che, purtroppo, ad urne ancora aperte, è già iniziato il desolante balletto dei partiti, capi-partito e cerchi magici vari in gara per intestarsi la vittoria. E per strumentalizzarla per scopi elettoralistici, di parrocchia.
«Al voto, al voto, no a governicchi!», grida Salvini, fautore di un illusorio nuovo centrodestra con Berlusconi, ma a guida leghista. «Governi il Pd sino alla fine della legislatura, ha la maggioranza in Parlamento!», sentenzia invece Brunetta, fiducioso che il Pd continui a logorarsi, per poi fungere forse da stampella ad un nuovo centro-centro (il «Partito della Nazione»), a guida forzitaliota; nel frattempo, B. esperto tattico doppiogiochista non disdegnerebbe un’intesa col Pd per correggere l’Italicum con le liste di coalizione (l’ipotesi di un’alleanza Fi-Lega resta pur sempre aperta). Il Pd da parte sua è nel marasma, in attesa della resa dei conti congressuale. «Al voto, subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum!», dice infine 5 Stelle, che spera ancora sulle liste di partito; e comunque non vuol dar tempo agli avversari, al Pd intontito dalla batosta, e al centro-destra ringalluzzito ma diviso, di riorganizzarsi.
«Al voto, al voto, no a governicchi!», grida Salvini, fautore di un illusorio nuovo centrodestra con Berlusconi, ma a guida leghista. «Governi il Pd sino alla fine della legislatura, ha la maggioranza in Parlamento!», sentenzia invece Brunetta, fiducioso che il Pd continui a logorarsi, per poi fungere forse da stampella ad un nuovo centro-centro (il «Partito della Nazione»), a guida forzitaliota; nel frattempo, B. esperto tattico doppiogiochista non disdegnerebbe un’intesa col Pd per correggere l’Italicum con le liste di coalizione (l’ipotesi di un’alleanza Fi-Lega resta pur sempre aperta). Il Pd da parte sua è nel marasma, in attesa della resa dei conti congressuale. «Al voto, subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum!», dice infine 5 Stelle, che spera ancora sulle liste di partito; e comunque non vuol dar tempo agli avversari, al Pd intontito dalla batosta, e al centro-destra ringalluzzito ma diviso, di riorganizzarsi.
Ognuno cerca di mettere le mani sulla vittoria del NO, per avvantaggiarsi elettoralmente a scapito degli altri. Ma, mi chiedo, il referendum non insegna nulla? Perché Renzi l’ha perso ingloriosamente se non, tra l’altro, per un banale errore logico, che banale tanto non è, perché frutto di arroganza superomistica, oltre che di cecità politica: scambiare la parte col tutto, la volontà del PdR, – ora Pd(R), come scrive acutamente e mestamente Ilvo Diamanti, – con la volontà del popolo sovrano.
Un partito, lo dice la parola stessa, è una parte, non la totalità. Se lo fosse (e talvolta lo è stato, come nel nazi-fascismo), non parleremmo di democrazia, ma di totalitarismo (sostantivo derivato, è appena il caso di dirlo, da totalità, per l’appunto). I gruppi dirigenti e le oligarchie che vogliono rendere «partitico» il NO commettono lo stesso errore di Renzi: sovrapporre la parte al tutto. Nessuno dei vertici dei partiti del NO sembra aver capito che non loro hanno vinto, ma la Costituzione, ossia la valanga dei cittadini che hanno detto basta ai tentativi decennali di stravolgerla (la bicamerale del 1998; il referendum di B. nel 2006 e quello recentissimo di Renzi del 2016).
Ha vinto la Costituzione, non i partiti. Se vogliamo dirla con un paradosso, ha vinto «il partito dei partiti», ossia il «partito della Costituzione», cioè la società civile, da cui nasce la pluralità e varietà dei singoli partiti storicamente esistenti. Nella competizione politica ed elettorale democratica la società civile si spezza in tanti frammenti, parti o partiti, che, se sono costituzionali, come devono essere, mai possono soprapporre il proprio «particolare» al bene comune, al tutto di cui sono espressione. Pena la fine della democrazia, cioè della sovranità del popolo.
Ora, mi chiedo ancora, perché ciascuno dei partiti del NO si affida ad una qualsiasi lampada di Aladino, Italicum compreso, per conquistare il Parlamento e il governo? Perché spera di utilizzare ai propri scopi l’Italicum sia quel che sia, senza criticarne e rifiutarne gli aspetti decisamente anticostituzionali, cioè antidemocratici, come le liste di nominati e il premio di maggioranza, senza aspettare la Consulta? Strano a dirsi, ma forse, nella più benevola delle ipotesi, non si rendono conto che si tratta della peggiore legge elettorale della storia d’Italia. È il caso di ripeterlo, per gli ignoranti o gli smemorati: la famigerata legge Acerbo del 1923, che ha portato al potere il fascismo, prevedeva i 2/3 dei seggi alla lista col 25% dei voti; la legge truffa del 1953, travolta a furor di popolo, a sua volta il 65% dei seggi della Camera al listone col 50 più uno per cento dei voti. L’Italicum, approvato con voto di fiducia nel 2014, assegna il 54% dei seggi della Camera (cioè 340 deputati in gran parte nominati su 650) alla lista che vince il ballottaggio, pur avendo, in ipotesi, il 20% dei voti, purché ne abbia uno in più dell’avversario. Esteso anche al Senato, come vorrebbe 5 Stelle, il meccanismo dell’Italicum darebbe il dominio totale e incontrastato degli organi legislativi, che con la vittoria del NO restano due, al partito vincente, che sarebbe comunque un partito di minoranza che diventa magicamente maggioranza. In ogni caso, un perfetto regime monopartitico, che ridurrebbe ai minimi termini e quindi all’impotenza le minoranze e le opposizioni. Un’autocrazia potenziale, mascherata da democrazia elettorale.
È appena il caso di osservare che il circa 60% dei cittadini che hanno salvato la Costituzione dalla deformazione renziana, l’hanno salvata anche per quel 40% dei cittadini del Si che l’avrebbero, consapevolmente o inconsapevolmente, stravolta e stracciata e danno di tutti, se malauguratamente avessero vinto. So bene che i partiti, e gli elettori del NO, hanno votato anche contro Renzi e il suo governo. Era inevitabile, dato che si trattava della riforma Renzi, su cui l’ex-premier aveva puntato tutte le sue carte in preda al sogno mefistofelico di diventare l’«uomo solo al comando». Insomma, il voto contro Renzi e per la salvaguardia della Costituzione era un unico e solo voto.
Ma ora la bagarre dei partiti, per impadronirsi del NO e occupare ad ogni costo il posto lasciato vuoto da Renzi, rischia di compromettere gravemente il risultato referendario. E tradire la società civile, rispetto a cui, a parte «MicroMega», «il Fatto quotidiano», i movimenti e i Comitati del NO (già nel corso della campagna referendaria in buona parte ignorati dalla grande stampa e dalla renzianissima tv di Stato), tutti continuano a mostrarsi affetti di amnesia e afasia. Se così accadesse, alle macerie lasciate in eredità da Renzi, si aggiungerebbero nuove macerie.
Fonte: MicroMega online
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