La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 11 aprile 2017

Piigs, quello sulla crisi è un film dell'orrore

di Carlo Clericetti 
In America c'è Michael Moore, che con il suo cinema a metà tra documentario e inchiesta ha raccontato cose come le rapine di Wall Street e le assurdità del sistema sanitario più costoso del mondo che lascia senza copertura decine di milioni di cittadini. In Italia nessuno finora si era cimentato con un prodotto analogo sulla crisi economica scoppiata nel 2008 e da cui ancora non ci fanno uscire. Finora, perché è in uscita nelle sale Piigs, titolo che riprende l'acronimo con cui sono stati sprezzantemente definiti - evidente la somiglianza con "pigs", porci - i paesi che più hanno subito sia i colpi della tempesta finanziaria che quelli - forse ancora peggiori - inferti dal modo in cui si è scelto di gestire la crisi. Si tratta, com'è stranoto, di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna.
Gli autori - Adriano Cutraro, Federico Greco e Mirko Melchiorre - ci hanno lavorato per cinque anni. La voce narrante di Claudio Santamaria ripercorre i fatti salienti, intervallati da interviste a personalità autorevoli e alla storia di una cooperativa di Monterotondo, un paese vicino Roma. La cooperativa, che da vent'anni si prende cura di persone con disabilità, tossici, emarginati, lavorando per il loro inserimento sociale, nonostante un credito di quasi un milione di euro verso gli enti locali è sull'orlo della chiusura per mancanza di fondi. Assistiamo alle riunioni in cui i soci votano gli ennesimi sacrifici personali per evitare la chiusura, assistiamo agli incontri di Claudia, la fondatrice, con funzionari del Comune e della Regione che riescono solo ad allargare le braccia: i soldi non ci sono. Ma arriveranno? E quando? Non si sa.
La situazione disperata della cooperativa di Monterotondo fa capire come le questioni di macroeconomia di cui parlano gli autorevoli personaggi intervistati abbiamo una ricaduta sulla vita reale delle persone, quali effetti reali provochino determinate scelte politiche. Scelte inevitabili? No, secondo i vari esperti interpellati. Che sono intellettuali come Noam Chomsky e Erri De Luca, i giornalisti Federico Rampini e Paolo Barnard e naturalmente una schiera di economisti. Tra questi ultimi una parte importante viene data ai seguaci della Mmt (la "Teoria monetaria moderna"), con Warren Mosler (considerato uno dei suoi fondatori), Stephanie Kelton, che è stata capo economista per i Democratici alla commissione Bilancio del Senato Usa e consigliera di Bernie Sanders durante la sua campagna per le presidenziali, Marshall Auerbach, ricercatore presso il Levy Institute di New York e consigliere di grandi Fondi d'investimento come Pimco. Ma parlano anche Yanis Varoufakis, Stefano Fassina, Vladimiro Giacché. E se qualcuno pensasse che si tratta di un parterre troppo sbilanciato dal punto di vista politico, scoprirà che dice cose del tutto analoghe anche un economista come Paul De Grauwe, la cui autorevolezza è riconosciuta a livello internazionale.
Su alcune delle soluzioni prospettate dalla Modern Monetary Theory si può discutere, ma quello che emerge chiaramente è che tutti gli interpellati concordano sull'interpretazione di quanto è avvenuto e ancora sta avvenendo: l'austerità è stato un enorme randello usato per imporre scelte politiche, che non hanno nulla di scientifico e vogliono ridurre il più possibile il ruolo degli Stati, trasformando i diritti di cittadinanza del welfare in servizi che utilizzerà solo chi se li può permettere. Un docu-film che vale la pena di vedere.

Fonte: blog Soldi e Potere 

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