La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 5 aprile 2016

Rubare ai molti per dare alle élite

di Alessandro Gilioli
«Da quando il mondo è stato scosso dalla più violenta crisi economica degli ultimi ottant'anni si susseguono le lamentazioni e le indignazioni sul ruolo che nella crisi hanno svolto i circa 50 paradisi fiscali (anche il loro numero è controverso) esistenti nel mondo, i quali - cito da una recente risoluzione del Parlamento europeo - "incitano a praticare l'evasione fiscale, la frode fiscale e la fuga dei capitali".
Tanto vibrata la denuncia, quanto fiacca e irresoluta la risoluzione.
Se i governi avessero intenzione di eliminare questa verminaia potrebbero farlo in ventiquattr'ore, attraverso l'eliminazione completa e rigorosamente osservata del segreto bancario. Ma non possono, perché la criminalità è parte integrante del processo di accumulazione capitalistico. Non la più importante, ovviamente, ma comunque determinante. È un aspetto organico del mercato mondiale. Si può dire che lo è sempre stato.
Ma vediamo le dimensioni del fenomeno più crudo che si nasconde dietro i paradisi. Che non è la pur gigantesca evasione fiscale. È la criminalità internazionale. Qualche cifra.
Il prodotto lordo mondiale (Plm) ammonta a 4 mila miliardi di dollari. Il Plc, il prodotto lordo criminale, a mille miliardi, un quinto del totale.
Di che si tratta? Di tutto: droga, racket, rapimenti, gioco d'azzardo, sfruttamento della prostituzione, traffico di rifugiati, di oggetti d'arte, di specie protette, di organi umani...
Il prodotto di questo enorme giro di affari bisogna, ovviamente, riciclarlo. E a questo si provvede grazie all'anonimato dei paradisi, che si sottraggono ad ogni seria informazione. Si calcola che il riciclaggio di denaro sporco ammonti a 600 miliardi di dollari all'anno. Il giro d'affari dei paradisi fiscali è di 1.800 miliardi di dollari.
Le società off shore presenti in paradiso sono 680 mila. Le banche, attraverso le loro filiali sono, dichiaratamente, 10 mila. Ma esistono sistemi bancari paralleli che operano completamente al di fuori del sistema ufficiale, sfuggono anche agli obblighi formali e agli ordinari strumenti di vigilanza e controllo delle autorità competenti. Questi assumono denominazioni folkloristiche. In Cina si parla di sistema Chop Shop. In India di sistema Hundi, in America latina di Stash house.
L'Inghilterra è senza dubbio la madre di tutti i paradisi. La finanza britannica domina più di 20 paradisi dell'arcipelago off shore, dalle lontane isole Cayman alla vicinissima isola di Man. Ed è istruttivo constatare come alle denunce frementi di Londra del terrorismo, definito come la guerra del secolo, corrisponda il protettorato britannico dei 20 casinò che lo finanziano.
Torniamo alla cosiddetta mobilitazione del mondo politico contro i paradisi fiscali: grandi discorsi, un mare di ipocrisia.
La novità di questi ultimi decenni è che la imprescindibile presenza della criminalità sta aumentando. L'aumento è dovuto in larga misura alla globalizzazione, che ha ampliato enormemente le dimensioni dell'impresa criminale e che ha determinato, con la libera circolazione dei capitali, un varco crescente tra il mercato, diventato mondiale, e il governo politico, rimasto, malgrado ogni tentativo di "coordinamento", locale.
In questo varco si inseriscono le zone franche, che assicurano al capitalismo mondiale protezione dal fisco e riparo da ogni pretesa di controllo. Come suona un disinibito slogan, move your money and fuck the system: fa circolare il tuo denaro e fotti il sistema.
In conclusione, tre verità sembrano inoppugnabili.
La prima. L'impegno solenne dei governi democratici alla lotta contro i paradisi fiscali è una menzogna. Basterebbe la reale abolizione del segreto bancario per renderli inutili. I governi non possono permetterselo perché in tal caso inaridirebbero una parte imponente dell'accumulazione capitalistica. Pertanto la cosiddetta lotta contro i paradisi fiscali è un combattimento con una mano legata dietro la schiena.
La seconda. Il libero (e segreto) movimento dei capitali è al tempo stesso fonte di due esiti contraddittori. Da una parte, esso mobilita imponenti risorse che consentono di strappare milioni di uomini e di donne a un destino di miseria. Dall'altra, consegna altre risorse imponenti nelle mani della criminalità mondiale organizzata.
La terza. Questa contraddizione non potrà essere eliminata finché esisterà un varco tra la libertà dei mercati e la sovranità politica a livello mondiale: insomma, finché non ci sarà una qualche forma di governo mondiale capace di imporre la piena trasparenza dei capitali "liberati".
In tali condizioni risulta penosamente ipocrita ogni grido rivolto ai paradisi fiscali».

(Il testo pubblicato è tratto da un più ampio scritto di Giorgio Ruffolo del 2010. Ho ritenuto utile ripubblicarlo oggi, nel pieno della tempesta sui cosiddetti Panama papers, splendido esempio di giornalismo investigativo collaborativo. La questione che pone Ruffolo è quella centrale: lo sdegno è ipocrita. I paradisi fiscali, nel loro rubare alle collettività per dare alle élite, sono del tutto consustanziali al modello di capitalismo attuale).

Fonte: L'Espresso online

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