di Marco Bersani
Quindici anni fa le strade di Genova furono attraversate da centinaia di migliaia di donne e di uomini. Un movimento plurale che si opponeva al pensiero unico del mercato, al peso della finanza sulla società, alla diseguaglianza sociale, alla spoliazione della natura, alla sottrazione di democrazia. Un movimento che affermava la necessità di un altro mondo possibile, immediatamente costretto a confrontarsi con la ferocia di quello reale, fatto di repressione senza precedenti, arresti, torture. E la morte di Carlo, uno di noi.
Fra le tante battaglie di quel movimento, una delle più importanti era la richiesta di annullamento del debito del “terzo mondo”, che strangolava i paesi poveri, dentro un ricatto inestricabile: spoliazione di tutte le risorse a vantaggio delle lobby multinazionali e finanziarie per pagare gli interessi di un debito, che, autoalimentandosi, ne perpetrava il saccheggio.
Molte cose sono cambiate da allora, a partire dall’anacronismo della definizione “terzo mondo”: oggi il mondo è diventato unico e uniformemente sommerso dall’economia a debito e la finanziarizzazione, partita dall’economia, si è estesa alla società, alla natura, alla vita stessa delle persone. Le ragioni di quel movimento non sono tuttavia venute meno e in questi anni hanno saputo mettere in campo fortissime mobilitazioni sociali, affermando il nuovo paradigma dei beni comuni, come radicale alternativa al mercato e all’appropriazione privatistica di quello che a tutti appartiene.
Oggi, dentro la crisi sistemica in corso, come dimostra il caso della Grecia, la questione del debito è di nuovo al centro dello scontro sociale, politico e istituzionale.
Agitato come lo “shock che rende politicamente inevitabile ciò che è socialmente inaccettabile” (Milton Friedman), il debito viene imposto per poter rendere le politiche liberiste obbligatorie e ineluttabili. E se alle stesse non corrisponde più il consenso, è sufficiente che vengano accettate con la rassegnazione.
Ma siamo davvero in debito? Abbiamo davvero vissuto al di sopra delle nostre possibilità? Davvero il debito è legittimo e va pagato e gli interessi conseguenti sono parte delle regole del gioco? E con chi e per quali finalità ci siamo indebitati?
In questi anni, realtà tra loro molto differenti per storia esperienza e cultura hanno continuato a porsi queste domande e hanno agito di conseguenza: da una parte i movimenti sociali, con realtà, territoriali e non, che hanno dato vita al Forum per una nuova finanza pubblica e sociale o con esperienze internazionali come quella di Cadtm-Comitato per l’annullamento del debito illegittimo; dall’altra all’interno della Chiesa con la riflessione sul Giubileo, che è innanzitutto “remissione dei debiti”, visti come insopportabile fardello che pregiudica lo sviluppo sociale delle popolazioni.
Queste diverse realtà si sono da tempo incrociate e hanno deciso di mettere in comune le proprie riflessioni e proposte in un importante convegno dal titolo: “Dal G8 di Genova alla Laudato sì. Il Giubileo del debito?” che si terrà martedì 19 luglio a Genova, presso la Fondazione Palazzo Ducale.
Saranno presenti Eric Toussaint (Cadtm) , Alex Zanotelli, Francesco Gesualdi, Guido Viale, Marco Bersani, Marco Bertorello, mons. Tommaso Valentinetti, mons. Giovanni Ricchiuti, Chiara Filoni, Debora Lucchetti, Francesca Coin, Matteo Bortolon e Antonio De Lellis.
Con un obiettivo: portare la questione del debito al centro dell’attenzione politica e sociale e porre la necessità di avviare una Commissione di indagine indipendente sul debito pubblico italiano.
Perché, come dice l’art.103 della Carta dell’Onu, tra l’obbligo di garantire pace, coesione e sviluppo sociale per le popolazioni e qualsiasi altro obbligo assunto da uno Stato, è il primo a dover prevalere. E perché il futuro è una cosa troppo seria per affidarlo agli indici di Borsa.
Fonte: Attac Italia
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