di Martino Mazzonis
Portare il terrore ovunque. Se c’è una chiave di lettura per la strage di Nizza, questa va cercata nella strategia del Califfato, nella sua teoria della guerra come strumento per generare il caos, acuire l’odio anti-musulmano in Occidente – e convertire di conseguenza i figli delle seconde generazioni in combattenti – seminare paura tra i nemici. Per guidare un camion contro la folla non servono armi, non c’è polizia che possa seguire la traccia di esplosivi e organizzazione. Bastano un camion e una persona che le sappia guidare. Colpire il 14 luglio è un’ulteriore segnale di come l’Isis sia capace di colpire l’immaginario, utilizzare simboli occidentali.
Tutti gli esperti avevano messo in guardia contro la possibilità di una crescita del rischio di attentati causata dalla perdita di terreno nello Stato governato da Al-Baghdadi: le bombe americane e russe, il sostegno finanziario e militare a curdi, esercito iracheno e gruppi di ribelli siriani e all’esercito di Assad hanno seminato altre armi in giro per la regione, ma hanno frammentato geograficamente il Califfato e lo hanno ridotto di dimensioni – come mostra la mappa qui sotto: in rosso le aree perdute. Alcune città sono circondate e i militari americani sostengono che dopo la presa della base aerea di Al-Qayyarah, la riconquista di Mosul sia più vicina.
Accrescere la propria forza in Europa per mostrare di essere vivo e vegeto, colpire le aree sciite con attentati kamikaze – come quello a Baghdad, in Yemen, Libano e Giordania delle scorse settimane – per alimentare gli scontri inter-comunitari sono gli strumenti che Isis sta utilizzando per rispondere alle perdite sul terreno. Isis ha da sempre una strategia globale ed europea, ne abbiamo visto i segnali nei giorni scorsi: Dakha, Baghdad, Orlando, Istanbul e ora Nizza, città originaria dell’attentatore di origine franco-tunisina e luogo in cui operava quello che veniva considerato il più importante reclutatore di combattenti stranieri in partenza per il Califfato o pronti a colpire in casa. Commandos, attentatori kamikaze, lupi solitari reclutati online o persone che si nutrono della propaganda e la sommano al proprio disagio psichico – come è probabilmente il caso della strage nel bar gay di Orlando.
Il presidente francese Francois Hollande, dopo aver rinnovato lo stato di emergenza che doveva finire il 26 luglio, ha detto che i bombardamenti contro le postazioni dell’Isis in Siria e Iraq verranno moltilpicati. Ma serve l’intensificazione della campagna siriana e irachena? In parte, ma tutti spiegano che l’Isis sta cambiando strategia e lo ha anche annunciato. Un modo per giustificare le sconfitte militari, certo, ma anche una strategia di lungo periodo, che precede le sconfitte militari. Come ha detto il direttore della Cia: «Siamo lontani dal poter dire che abbiamo fatto dei veri progressi, è probabile che moltiplicheranno i loro attacchi altrove». Parlando al Council on Foreign Relations Brennan ha detto che colpire in Siria e Iraq è importante perché rende più debole la struttura operativa centrale, ma ha anche ammesso i limiti della lotta al gruppo guidato da Al Baghdadi.
«Isis è molto diverso da al-Qaeda, che al culmine aveva forse un paio di migliaia di operativi contro le decine di migliaia di Isis in Medio Oriente, Africa occidentale, sud-est asiatico e non solo. (…) Isis ha anche un uso molto sofisticato dei sistemi di comunicazione, capace di impedire alle autorità di avere indicazioni su ciò che stanno preparando (…) Il movimento di persone e merci in questo mondo globalizzato può inoltre facilitare quel che l’Isis sta cercando di fare». ha detto Brennan.
Del resto un comunicatore del Califfato, parlando con il Washington Post aveva detto: «Siamo sotto attacco in Iraq e Siria ma siamo stati in grado di espanderci e abbiamo spostato alcuni dei nostri comandi, i media e le risorse economiche in diversi Paesi…Ogni giorno a migliaia vogliono unirsi alle nostre fila, enire a combattere nel Califfato. Noi diciamo loro di rimanere nei loro Paesi e colpire».
L’offensiva del Ramadan è una strategia vera e propria o piuttosto un adattarsi alle condizioni cambiate in seguito all’offensiva contro il Califfato geografico? Difficile a dirsi: c’è chi, come tre eseperti dell’Institue for the Study of War su Foreign Policy che le sconfitte militari siano anche un calcolo, che molti dei territori conquistati siano stati lasciati per riorganizzare le forze e che la strategia è sempre stata globale e non solo legata al Califfato. Altri ritengono che la catena di attentati sia un segnale di debolezza, un tentativo di mostrare forza mentre si sta perdendo la guerra. Tutti ammettono, come ha detto il Segretario di Stato Kerry qualche giorno fa, che l’isis ragiona sul lungo periodo, ha una strategia che guarda lontano mentre chi lo combatte fa un passo alla volta. Se la perdite di terreno genererà la fine del sogno profetico che la propaganda dell’Isis ha venduto online in questi anni è difficile a dirsi. La propaganda di queste settimane ricorda come dopo il disastro nel triangolo sunnita, la riorganizzazione sia stata capace di creare un’entità geografica. E come l’ultimo mese sia stato di grandi successi in tutto il mondo. Certo è che le migliaia di operativi sul terreno, che finiranno col disperdersi in caso di sconfitta militare definitiva, rappresenteranno un’ulteriore enorme problema per i servizi di intelligence. Per batterli, lo sanno tutti, anche i capi delle agenzie di spie, guerra e intelligence non basteranno: serviranno un lungo, lento lavoro culturale, sociale e la capacità di ascoltare. Le urla contro i musulmani, invece, non faranno che creare nuove reclute.
Fonte: Left
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