di Mattia Frapporti
Uno dei tratti peculiari del nostro presente è senz’altro rappresentato dalla sua crescente complessità geografica. È del tutto evidente, infatti, come le categorieamministrative moderne ‒ inclusa quella dello Stato ‒ non siano ora sufficienti a descrivere le differenti geometrie politiche contemporanee. Intrecci di finanza, interessi politici comuni, trame infrastrutturali per il trasporto di risorse naturali e flussi di merci hanno creato aree inedite quali macroregioni, trade corridors, zone economiche speciali, o formazioni sovranazionali come la stessa Unione europea. Identificare queste «zone» è divenuto imprescindibile se si vuole comprendere fino in fondo la moltitudine di geografie di cui si compone oggi il globo.
Un’analisi di questi «nuovi spazi» attraverso la lente della logistica, dunque, è utile a rivelare alcune di queste traiettorie. Non si tratta soltanto di guardare alla Cina, dove nuove special economic zones sorgono in continuazione, o a Dubai e Abu Dhabi, veri e propri «spazi infrastrutturali» (Keller Easterling) dove è lo stesso nucleo urbano ad essere costruito per assecondare i flussi commerciali. Ci sono anche molti altri casi, dal Sud Est asiatico all’America Latina passando per il cuore stesso dell’Unione europea, che rivelano le medesime caratteristiche. A Kuala Lumpur, ad esempio, la presenza «pervasiva» delle grandi corporation americane rende la città «un’estensione economica e culturale della California» (Aiwa Ong); e altrettanto paradigmatica è la «cinesificazione» del porto greco del Pireo. Sono anche questi i nuovi spazi logistici, entro i quali si verificano formali o informali interruzioni della linearità politica e territoriale degli stessi Stati-nazione.
Nel nostro continente, lo Stato è la cornice entro cui si è sviluppata la storia della sovranità moderna. Nonostante sia evidentemente la «costruzione specifica di un’epoca storica determinata» (Pier Paolo Portinaro), esso è apparso per lungo tempo «l’orizzonte naturale» dell’agire politico e all’interno del suo perimetro godeva di imprescindibili prerogative sovrane. A partire dal XX secolo, tuttavia, in particolare dal secondo dopoguerra, lo Stato è entrato definitivamente in crisi. I suoi tradizionali elementi costitutivi (indicati da Max Weber in territorio, popolazione e sovranità) hanno perso il loro carattere in qualche modo esclusivo, ed è un atteggiamento diffuso quello di considerarlo come un’entità politica ormai al tramonto.
Anche senza adottare a pieno questa prospettiva – non priva di problematiche –, appare del tutto evidente come «sconfinamento, sfondamento di confini, deformazione di geometrie politiche» (Carlo Galli) risultano essere tratti fortemente tipizzanti del presente globale. La fissità del territorio che caratterizzava storicamente lo Stato è messa continuamente in discussione da forme di penetrazione economica, sovranità graduata, spazi debordanti o vere e proprie rimodulazioni territoriali. Lo Stato acquisisce così una struttura ibrida, e la politica che lo governa è sempre più soggetta a fattori endogeni che si incuneano nel territorio e ne cambiano i regimi di sovranità e governance. Uno dei fattori che opera in questo modo è rappresentato proprio dalla logistica, le cui dinamiche possono creare nuove entità geografiche adatte alle logiche di circolazione delle merci e dei flussi commerciali.
Un esempio interessante di quanto le esigenze logistiche incidano in maniera diretta sulla sovranità di un territorio è dato proprio dal caso del porto del Pireo. Classificato come free trade zone di tipo I in base ai regolamenti comunitari (2504/88 e 2562/90), il porto è oggi per il 67% nelle mani di Cosco Group, un’azienda statale cinese che ne gestisce i terminal container dal 2009. La storia della concessione è riassumibile brevemente. Soggetto a trattative di vendita fin dal 2004, continuamente rinviate a causa dell’opposizione dei lavoratori e da problematiche di compatibilità con le normative europee sulla concorrenza, l’accordo viene firmato nel 2008 e entra in vigore l’anno successivo. I termini prevedono una concessione di trentacinque anni alla Piraeus container terminal (Pct – una controllata della Cosco) dei moli II e III, preposti al traffico merci. Obiettivo della Pct è quello di fare del Pireo il principale hub logistico del Mediterraneo per le merci asiatiche, sfruttando la minor distanza geografica rispetto ai grandi scali nordeuropei quali Rotterdam, Anversa o Amburgo.
Il gap da colmare con i giganti del nord è in realtà ancora molto ampio, e tuttavia la Pct sta agendo decisa in due direzioni per sopperire a questo deficit. Da un lato, dal suo insediamento ha promosso un’ingente mole di investimenti strutturali interni al porto, a cui ha fatto seguito una serie di tagli sui costi del lavoro incidendo direttamente sui diritti dei portuali. Come riportava «Il Sole 24 Ore» due anni fa, l’amministratore delegato della Cosco Pacific Xingru Wang vantava l’assenza di un solo giorno di sciopero nel porto. Questo, tra le altre cose, ha fatto parlare i sindacati ellenici di «cinesificazione» delle condizioni lavorative e di usurpazioni dei più basilari diritti.
Se questa serie di misure possono essere considerate interne all’area del Pireo, dall’altro lato la Cosco sta agendo con egual forza anche in un’ottica extraperimetrale. Per diventare polo attrattivo, infatti, un hub logistico ha bisogno di una serie di infrastrutture d’accesso che permetta ai container di raggiungere i centri di smistamento interni. Per questo motivo gli interessi della Cosco non si fermano alla Grecia, ma guardano a tutta una serie di realizzazioni infrastrutturali che dal Pireo si diramano lungo i corridoi europei attraverso i Balcani fino al cuore del continente. Considerata la porta d’accesso alla «nuova via della seta», la zona del Pireo è divenuta dunque una sorta di «territorio nel territorio», dove strategie commerciali agiscono da testa di ponte per vere intrusioni politiche.
Il caso del Pireo appare così emblematico: zona di libero scambio interna al territorio greco dove una compagnia statale cinese assume il ruolo di sostanziale legislatore a cui accompagna una serie di investimenti infrastrutturali che veicolano in fondo una precisa strategia geopolitica. Non si tratta, va detto, di episodi storicamente inediti in sé e per sé. Ciò che però risulta peculiare è quanto questa modalità stia assumendo i tratti di una strategia d’azione. L’eccezione diventa sempre più la via per giungere alla norma. «Zone speciali» di qualsiasi tipo sorgono per rispondere alla logica dei flussi, ridefinendo le traiettorie classiche della sovranità e trasformando la logistica in un reale elemento politico. I confini, considerati bottlenecks (colli di bottiglia) per le esigenze logistiche, vengono trasformati in orizzonti di mercato, in un processo stridente e paradossale con quanto sta ora accadendo nella stessa Unione europea, dove mura e nuove barriere vengono issate quotidianamente per impedire l’accesso di migranti e rifugiati.
Fonte: Rivista Il Mulino
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