di Paolo Rizzi
Jeremy Corbyn ha ricevuto la sfida formale per la guida del Partito Labourista. Dopo settimane di manovre per costringerlo alle dimissioni, l’ala centrista del partito è stata costretta ad avanzare secondo le regole interne del partito per provare a battere Corbyn, sostenuto invece a gran voce dai leader del sindacato. Non che i centristi non abbiano provato a evitare il confronto diretto in ogni modo. Dopo il “golpe” del gruppo parlamentare, l’ultimo tentativo è stato quello all’interno dell’esecutivo nazionale del partito per stabilire se Corbyn avesse diritto o no a essere automaticamente candidato come leader uscente.
Il regolamento del partito è in realtà piuttosto chiaro e, alla fine di una riunione fiume, l’esecutivo ha dovuto ammettere Corbyn sulla scheda. Altrimenti, il leader avrebbe avuto difficoltà a trovare le cinquanta firme di deputati ed eurodeputati necessarie per presentarsi. L’esecutivo però ha lasciato un frutto avvelenato: nelle nuove primarie potrà votare solo chi è iscritto da almeno sei mesi o chi paga immediatamente la somma, per molti non irrisoria, di 25 sterline. Una maniera neanche molto velata per limitare la partecipazione dei 300mila nuovi iscritti al partito, in maggioranza simpatizzanti della sinistra.
Il regolamento del partito è in realtà piuttosto chiaro e, alla fine di una riunione fiume, l’esecutivo ha dovuto ammettere Corbyn sulla scheda. Altrimenti, il leader avrebbe avuto difficoltà a trovare le cinquanta firme di deputati ed eurodeputati necessarie per presentarsi. L’esecutivo però ha lasciato un frutto avvelenato: nelle nuove primarie potrà votare solo chi è iscritto da almeno sei mesi o chi paga immediatamente la somma, per molti non irrisoria, di 25 sterline. Una maniera neanche molto velata per limitare la partecipazione dei 300mila nuovi iscritti al partito, in maggioranza simpatizzanti della sinistra.
Al momento sono due i candidati alternativi a Corbyn, anche se molti tra i moderati pensano che si debba trovare uno sfidante unico per poter battere il leader uscente. La prima è Angela Eagle – già con un posto da “ministro junior” nelle finanze - che rappresenta pienamente il “new Labour” di Tony Blair: favorevole alla guerra in Iraq, favorevole all’innalzamento delle tasse studentesche, lontana dai sindacati, astenuta sull’austerità. Prova a porsi al centro del partito Owen Jones, più giovane, già lobbysta di una casa farmaceutica, si dice disposto a seguire Corbyn qualora vincesse di nuovo le primarie e – all’epoca non era deputato – può vantare di essersi opposto all’invasione dell’Iraq.
La frattura politica dentro il Labour ormai pare insanabile e, forse per la prima volta nella storia del dopoguerra, appare all’orizzonte la possibilità che il perdente delle primarie si scinda. Da agosto a settembre il Partito Labourista si gioca davvero il futuro, in una campagna che coinvolgerà centinaia di migliaia di persone, mentre conservatori e destra populista si riorganizzano.
Theresa May, nuova Primo Ministro conservatrice
Il Partito Conservatore sembrava destinato a una lunga lotta interna e invece, anche grazie agli errori dell’opposizione labourista, è riuscito a chiudere in tempi rapidi la successione al dimissionario David Cameron. Nuova Primo Ministro è Theresa Mayche, al referendum, ha sostenuto lo “stay” nell’Unione Europea ed è stata ministro dell’interno dal 2010.
Theresa May va alla guida del governo col voto di 199 deputati conservatori su 330, in quello che il giornalista Paul Mason definisce “un accordo tra elites senza credibilità”. Nel programma di May ci sono l’applicazione della Brexit, la riduzione dell’immigrazione e, in particolare, il divieto di ricongiungimenti familiari senza un reddito minimo e l’introduzione dei matrimoni gay. Questo punto potrebbe sembrare fuori luogo per una leader conservatrice, ma viene dalla sua appartenenza alla tradizione dei “conservatori per una nazione unita”, che mira a includere nel progetto di conservazione sociale anche le minoranze e, soprattutto, la classe operaia. Per questo May ha dichiarato di voler introdurre la presenza di rappresentanti sindacali nei consigli d’amministrazione delle aziende. In ogni caso, May recupera il profilo più tradizionale di una conservatrice opponendosi al salario minimo e al diritto allo studio.
UKIP, verso la rifondazione della destra?
Il 4 luglio Nigel Farage si è dimesso da leader dello UKIP (Partito per l’Indipendenza del Regno Unito). Dopo la vittoria della Brexit, che molti in Italia hanno superficialmente interpretato come la consacrazione di Farage, il leader della destra populista si è dimesso fornendo motivazioni personali: “Ci siamo ripresi il nostro paese, ora voglio riprendermi la mia vita”.
Pochi giorni prima, però, era stato Arron Banks, finanziere e tra i maggiori finanziatori dello UKIP, a ventilare l’ipotesi di una nuova destra populista senza Farage a capo. Per Banks, che ha finanziato generosamente anche la campagna per la Brexit, la veloce crescita elettorale dello UKIP non è stata accompagnata da una crescita nella qualità dei suoi politici e lo stesso Farage avrebbe fatto il suo tempo. Lo scopo esplicitato da Banks è quello di un “partito nuovo” attrezzato per pescare voti da chi viene dal mondo laburista e ha votato leave.
Nigel Farage ovviamente dichiara di voler restare in politica, per quanto in seconda fila, e di non voler partecipare alla costruzione del partito nuovo indicata da Banks, ma indica anche lui allo UKIP di corteggiare i delusi dal Labour, proprio mentre la burocrazia del Labour cerca di liberarsi dal leader più di sinistra degli ultimi decenni.
Tra gli anni ’80 e ’90, gli architetti della svolta liberista del Labour dicevano che l’elettorato popolare non sarebbe andato da nessuna parte perché il Labour era l’unica scelta che si rivolgeva a loro. Ora, la destra va a caccia esattamente di quell’elettorato popolare.
Fonte: La Città futura
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