di Roberto Ciccarelli
Una cena elegante. A Palazzo Chigi si mangia una pizza. A sinistra c’è la ministra della funzione pubblica Marianna Madia. A destra c’è la ministra per i rapporti con il parlamento Maria Elena Boschi. La composizione è vagamente sacrale, le donne in posizione ancillare, con atteggiamento comprensivo, ascoltano il tipo in camicia di spalle che – presumibilmente – si esprime in un inglese che lo ha reso famoso nel mondo. E’ il presidente del Consiglio Matteo Renzi che guarda fisso l’uomo al centro della scena: Tony Blair. La foto è stata scattata il 26 novembre 2014.
L’ex primo ministro inglese, colui che ha mentito al parlamento inglese e con George Bush ha scatenato la guerra in Iraq nel 2003, inventando le prove sull’esistenza delle armi di distruzione di massa di Saddam, facendo 500/600 mila di morti, innumerevoli feriti, creando fino a 5 milioni di profughi, offrendo la sponda al revanscismo terrorista di organizzazioni come Al Qaeda e Isis che oggi fanno stragi dal Bangladesh a Parigi. Il presidente del consiglio italiano sta parlando con un uomo definito dalle famiglie dei soldati inglesi caduti in Iraq un “criminale di guerra”.
Ecco cosa, verosimilmente, ha detto Renzi a Blair in quella occasione.
Il titolo è ripreso da un giornale italiano molto importante, l’intervista è stata pubblicata nel 2013.Il giornale in questione accredita Renzi come apostolo di Blair.
La domanda – si fa per dire – del giornalista è esemplare. Rivela una tecnica che nessuno nota. “In gran bretagna la accreditano” lui dice. Non si dice chi accredita Renzi, ma la “Gran Bretagna”. E’ un’operazione linguistica che considera il “si dice” come un dato di fatto e poi cerca nell’interessato una conferma. E Renzi, conferma eccome.
L’operazione di costruzione del personaggio-Renzi ha bisogno tuttavia di qualcosa di più forte di un “si dice”. Ha bisogno della conferma: è quella che si definisce un'”imbeccata”.
La triangolazione è pianificata. Blair, in Italia, rilascia la seguente intervista che conferma il “si dice” e dà un nome al signor-nessuno Renzi. Il cerchio è chiuso.
“Il nostro progetto funziona ancora”. Nel novembre 2014, quando si mangia la pizza a Palazzo Chigi, si sta costruendo la legittimazione “modernizzatrice” del Jobs Act, quella “riforma” del mercato del lavoro che ha consegnato lo scalpo dell’articolo 18 a Blair. La falsificazione è a buon punto: in un paese come l’Italia dove l’80 per cento delle assunzioni sono a termine, il problema è dare la libertà di licenziare alle imprese. Su questo Renzi ha costruito il suo “successo”. Il 3 dicembre 2014 il Senato – e il Pd – approvano il Jobs Act e l’impresa diventa realtà.
Ecco un altro titolo che svuota il merito del problema e istituisce un altro regime del discorso. Renzi entra nel campo della “leadership” che “ha coraggio” ” di cambiare”.
Il punto di vista di Massimo D’Alema.
C’è stato un tempo in cui era Massimo D’Alema ad andare a cena con Blair. Erano gli anni Novanta quando, la sinistra socialista o socialdemocratica o “ulivista” aveva in mano 13 governi su 15 in Europa. Gestivano l’agenda neoliberale in economia e la guerra nei balcani. A Washington c’era Bill Clinton.
L’idea ha ispirato il Labour di Blair, il Pds prima, poi il Pd: usare i voti della base operaia, sociale, della sinistra “tradizionale” per politiche capitalistiche, finanziarie, e di guerra. Lo ha fatto D’Alema – quando era alla segreteria del Pds e andò a Palazzo Chigi – lo fa Renzi oggi.
Massimo D’Alema ricorda più volentieri la sua stagione da ministro degli esteri che quella da presidente del Consiglio, quando autorizzò l’uso del territorio italiano per bombardare la Serbia nella prima guerra europea fatta dalla Nato, con aerei italiani.
Certo, sull’Iraq -con un’opposizione mondiale mai vista contro Blair e Bush – qualcosa D’Alema avrebbe potuto dirla in queste e altre interviste. All’epoca al governo c’era Silvio Berlusconi che collaborò attivamente con Bush e Blair per la fabbricazione dei falsi dossier usati per fare la guerra contro Saddam. Lo raccontò l’inchiesta di Giuseppe D’Avanzo e Carlo Bonini.
La sinistra non parla mai volentieri della guerra. Soprattutto di quelle che ha fatto lei.
D’Alema poi ha cambiato idea e ha ammesso di “avere sbagliato” negli anni Novanta: era troppo liberista. Nella guerra contro Renzi – che francamentedetesta – il problema non è l’agenda sociale neoliberista, ma la contesa sull’eredità di uno dei politici più pericolosi dell’occidente. Tale contesa viene declinata anche come una questione di cooptazione delle correnti nella segreteria del Pd.
Ecco la domanda cruciale:
I nomi elencati da D’Alema sono i complici di Blair nel grande inganno internazionale creato dal governo inglese ai danni dell’Onu, dei loro alleati, e soprattutto del popolo iracheno e di tutti quelli travolti oggi dal terrorismo islamico. Jack Straw, presentato come “una figura storica del laburismo”, faceva il ministro degli esteri nella guerra anglo-americana (e non solo) in Iraq. La catastrofe è quella del “laburismo” che D’Alema rivendica contro Renzi.
Problemi politici, etici, profondissimi che investono la vita altrui – e la distruggono – la morale del politico che dice il falso davanti al suo parlamento e ai cittadini. Già nel 2014, erano cose più che note. Il rapporto Chilcot, un’inchiesta parlamentare durata sette anni, ha confermato quello che testimonianze, inchieste e verità di fatto hanno già appurato.
Un peso insostenibile. Nessuno riuscirebbe a sostenere il peso di una guerra che ha ammazzato mezzo milione di persone. Tutti, tranne loro.
Al di là delle polemiche di bottega della “sinistra” italiana, nei due anni renziani il Pd ha cancellato il legame strettissimo tra l’agenda neoliberale di Blair e le sue menzogne. L’operazione continua dal 2003.
Dire che la guerra in Iraq ha fatto mezzo milione di morti per colpa di Blair oggi non è elegante. E all’eleganza gli italiani ci tengono.
Anche davanti a una pizza.
Fonte: Il manifesto
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