di Marko Urukalo
Due giorni dopo la strage dei treni in Puglia le operazioni di ricerca dei corpi sono terminate, si contano i morti (23 riconosciuti ed in attesa di autopsia) e i feriti (una cinquantina, di cui 23 ancora ricoverati in ospedale), si piangono le vittime di una delle più grandi tragedie ferroviarie in Italia. Il cordoglio delle istituzioni serve a poco, bisogna individuare le responsabilità politiche di questo incidente, che non si può semplicemente liquidare come errore umano. Lo Sblocca Italia e l'ultima legge di Stabilità, prevedono 4 miliardi e 859 milioni di investimenti per le ferrovie con una ripartizione che però grida allo scandalo; 4.799 milioni da Firenze in su e solo 60 milioni a Sud della città toscana.
Tradotto in percentuale, vuol dire che il 98,8% delle risorse è destinato al Nord mentre solo l'1,98% va al Mezzoggiorno. Evidentemente l'Italia di Renzi finisce nella sua amata città, dove ha iniziato a muovere i suoi primi passi di politico rampante.
Tradotto in percentuale, vuol dire che il 98,8% delle risorse è destinato al Nord mentre solo l'1,98% va al Mezzoggiorno. Evidentemente l'Italia di Renzi finisce nella sua amata città, dove ha iniziato a muovere i suoi primi passi di politico rampante.
Lo Sblocca Italia è stato oggetto di forti campagne di mobilitazione da parte dei comitati ambientali, che si sono mossi non solamente contro l’apertura o riapertura dei cantieri, ma opponendosi ad una impostazione ideologica che pervade la classe politica italiana: puntare tutte le risorse sulle grandi opere, che soddisfano una minima parte di viaggiatori e consumano grandi parti del territorio, e lasciare le briciole alla manutenzione e al miglioramento di infrastrutture esistenti. La linea Bari-Barletta è proprio l'esempio lampante, essendo infatti utilizzata da studenti e lavoratori pendolari a cui un piccolo investimento di sostituzione dell’obsoleto blocco telefonico con l'SCMT (Sistema Controllo Marcia Treno) avrebbe salvato la vita. E non parliamo di invenzioni fantascientifiche giapponesi, ma di un impianto tecnologico senza possibilità di errore in uso in quasi tutte le linee italiane ed estere. Il problema più grande non è nemmeno il binario unico, che peraltro il raddoppio la linea tra Corato e Andria sta aspettando dal 2007. I soldi, 180 milioni di euro messi a disposizione dall'UE, ci sono ma è tutto fermo per intoppi burocratici. La solita storia all'italiana.
Invece, in Italia la politica e l'imprenditoria amica, spesso colluse con ambienti mafiosi, ha manie di grandezza. Le loro uniche priorità sono le linee Alta Velocità da costruire in lungo e in largo per favorire il fantomatico sviluppo. La maxi-galleria lunga 57 km in Valsusa che collega Italia e Francia ha un costo complessivo di 8,7 miliardi di euro, senza considerare tutto il resto dell'opera a cui da più di vent'anni i cittadini della Valle resistono. Il costo al chilometro del Tav varia tra i 70 milioni ai 90 milioni per la tratta Brescia-Padova, in particolare nel tratto Verona-Vicenza, mentre in Spagna costa solo 9,3 e in Francia 10,2 milioni. La linea Tav tra Milano e Torino è costata 7 miliardi di euro per una lunghezza di 130 km tutta in pianura, è sottoutilizzata e non ci possono viaggiare i treni merci, così come su nessun altro binario dell'Alta Velocità. Questi sono alcuni esempi di come in Italia l'interesse è volto solo alle grandi opere perchè è il terreno dove ci sono lauti guadagni e dove avvengono grandi spartizioni di denaro pubblico. Il caso Incalza, che ha causato le dimissioni dell'ex Ministro alle Infrastrutture Lupi, ha mostrato al mondo intero il sistema di potere che ruota intorno al cemento e al ferro e sembra che da allora poco sia cambiato.
L'ultimo rapporto di Legambiente ci fornisce un immagine desolante del sistema ferroviario italiano. Dal 2010 ad oggi il servizio ferroviario regionale ha subito un taglio del 6,5%, mentre le tariffe continuano ad aumentare. Proprio in Puglia le tariffe sono aumentate dell'11%, a fronte di un disinvestimento che va dal 12% al 26% in tutte le regioni meridionali. Non va molto meglio nemmeno da dove scrivo, ovvero nella regione Veneto, dove si investe solo lo 0,11% del bilancio regionale per il trasporto locale sul ferro. Se fate parte del 5% dei viaggiatori fortunati potete però godervi il lusso dei Frecciarossa, con sedili comodi ed aria condizionata. E proprio qui il progetto Tav prevede la costruzione di due nuovi binari, in affiancamento agli attuali, per arrivare a un totale di quattro binari. Mentre negli ultimi cinque anni sono stati chiusi 1189 km di Ferrovie, tra cui la Pescara-Napoli, e Matera, capitale europea della cultura 2019, non ha nemmeno una stazione.
Il problema è rappresentato anche dalla cessione di gestione delle linee alle società private o semi-private locali. E' il caso della Ferrotramviaria Spa, che opera sulla linea Bari-Barletta dove è avvenuto l'incidente. Infatti, mentre la rete gestita da RFI è sottoposta al controllo dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf), così non è per le reti gestite da società private. Mettere in sicurezza le linee costa e la possibilità di evitare i controlli permette di non investire mettendo a rischio la vita delle persone. Non è un caso perciò che su 6500 km delle linee gestite da società non direttamente controllate dallo stato, ben 6 mila siano a binario unico.
Il trasporto pubblico è uno dei diritti fondamentali della nostra società, al pari del diritto all'istruzione e alla salute. Non può essere affidato a società e da interessi privati e clientelari che hanno come unico scopo l'incremento del profitto personale. E' un bene comune su cui tanti stanno mettendo i propri artigli per poterci lucrare. Esattamente come succede con l'acqua, che con il decreto Madia si appresta a diventare un privilegio nelle mani dei privati, nonostante la vittoria referendaria del 2011. La privatizzazione del trasporto pubblico su ferro, che sembra essere l'obiettivo del governo Renzi, è un rischio per la sicurezza stessa dei cittadini. Lo è anche per le tasche dei viaggiatori che pagano biglietti sempre più cari, ma in cambio non vedono alcun miglioramento della qualità dei servizi. I comitati No Tav e i tanti cittadini che in Italia lottano contro l'Alta Velocità lo hanno capito da tempo, però vengono accusati di essere fuori dal tempo e criminalizzati in continuazione. Semmai ad essere anacronistici sono coloro che insistono nella realizzazione del Tav, un progetto degli anni '80 che diversi Paesi europei stanno abbandonando, e che allo stesso tempo utilizzano metodi di segnalamento sulle tratte regionali vecchi di quasi 70 anni!
Fonte: Global Project
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