di Global Project
Oltre 400 persone hanno partecipato all’ultimo dibattito tenutosi nella foresta di Sherwood, che vedeva sul palco Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, Eleonora De Majo, attivista del centro sociale Insurgencia e neo-consigliera comunale della città partenopea, Francesco Pavin, dei centri sociali del Nord-Est e volto storico del comitato No-Dal Molin, e Tommaso Cacciari, dei centri sociali del Nord-Est e del comitato No-Grandi Navi. Il titolo della serata “Confederare autonomie, territori della ribellione” già in parte inquadrava il dibattito, che voleva interrogarsi su alcuni nodi aperti che riguardano il complesso rapporto tra i movimenti sociali e il terreno della rappresentanza, partendo dall’anomalia napoletana, ma provando ad estendere il campo di ricerca anche altrove.
Tommaso Cacciari, nell’introduzione alla discussione, ha chiaramente palesato un interesse per l’anomalia napoletana, che è stato più volte espresso sia in forma scritta sul portale di Globalproject.info che nelle assemblee pubbliche di Agire Nella Crisi. Un interesse che nasce soprattutto dal modo in cui si genera l’anomalia napoletana, dalle forme attraverso cui si esprime un’inedita modalità di relazione tra movimenti e istituzioni locali, dagli strumenti che ambiscono a creare nuove istituzioni che parlano la lingua della decisionalità popolare, non solamente evocata con la retorica della partecipazione, ma realizzata grazie alla genesi di luoghi di democrazia radicale.
Allo stesso tempo rimane la consapevolezza che l'esperienza di Napoli, dove è emersa una particolare combinazione di elementi positivi all’interno di un dato territorio, non possa essere replicata attraverso la modellistica, come in molti, da più parti (siano esse interne ai movimenti o alla sinistra istituzionale) stanno pensando in queste ultime settimane. Il cuore dell'anomalia è la doppia direzione in cui questa sta maturando, da una parte i movimenti non rinunciano alla propria autonomia e alle pratiche che li contraddistinguono, dall'altra le istituzioni locali lavorano mettendo in discussione se stesse e fornendo strumenti giuridico-amministrativi per elaborare in termini di diritto e per rispondere alle necessità della cittadinanza.
Questi aspetti della situazione napoletana hanno il pregio di rimettere al centro del dibattito politico il tema del municipalismo, che per sua costituzione è un set di pratiche più che una teorizzazione astratta. Come nel municipalismo storico italiano, che è riuscito a federare istituzioni nate dalla spinta di soggetti espulsi dal modello feudale, queste pratiche devono avere l’ambizione di superare il concetto stesso di delega e rappresentanza, per farsi “movimento di liberazione”. Allo stesso tempo, viene rimesso al centro del dibattito il tema dello scontro con il potere centrale, che in questo momento è rappresentato dal PD. C’è un problema di democrazia territoriale che deve pervadere le battaglie politiche di questo Paese e farle convergere contro quel partito-Stato che, dallo Sblocca Italia alla Buona Scuola, dal Jobs Act al decreto Madia, sta avallando la distruzione di questo Paese. Diciamo che le sedi di questo partito dovrebbero essere occupate dai cittadini che vivono i territori, dalla Val di Susa alla Sicilia.
Eleonora De Majo ha affermato che scegliere di investire la propria persona dentro lo spazio politico apertosi alle ultime elezioni napoletane ha significato esporsi ad un grande rischio. Vi sono ancora, ovviamente, molte questioni urgenti che rimangono aperte ed è assolutamente significaitivo che si inizi ad affrontarle proprio a Sherwood, che storicamente rappresenta uno dei luogohi dove i movimenti affrontano l'analisi di fase e tracciano le direttrici dell’azione comune.
L’irriducibilità di Napoli a qualsiasi logica della politica tradizionale deriva dal modo in cui il governo centrale, dall’Unità d’Italia in avanti, ha trasformato Napoli in un luogo da colonizzare o in una discarica. L’amministrazione De Magistris mette a disposizione alcuni strumenti che soddisfano la necessità di autonomia e di sottrazione di un territorio allo sfruttamento sistemico a cui è stato sempre sottoposto. Il piano su cui si possono creare nuove relazioni tra movimenti ed istituzioni parte proprio dalla voglia di riscatto e dignità che le persone esprimono attraverso le lotte e non per mezzo di una scelta delegata.
Tra i principali esempi di nuove istituzioni c’è l’assemblea popolare nata alle vele di Scampia, luogo dove povertà ed interessi della rendita urbana e della camorra si combinano in forme sempre diverse. E’ da luoghi come Scampia che si afferma come prioritario il terreno della costruzione di una nuova cittadinanza. L’attacco alla cittadinanza si esprime in maniera chiara in dispositivi come il Fiscal Compact, attraverso cui la governance neoliberale sottrae alle città la possibilità di gestire autonomamente risorse, provando a concentrare nelle mani di pochi ricchezza e potere decisionale. Tutto questo sta producendo una polarizzazione tra chi, come il PD, sostiene un’idea di cittadinanza elitaria e classista e chi, al contrario, sceglie di praticare una cittadinanza basata sulla riconquista di diritti e libertà. I movimenti sociali rappresentano gli unici garanti della difesa di questi diritti e di queste libertà, perché, al contrario di altre organizzazioni politiche, non hanno mai operato mediazioni al ribasso.
Per Luigi De Magistris l’anomalia napoletana inizia a configurarsi 5 anni fa con la sua elezione a sindaco contro ogni previsione politica. La rielezione, avvenuta lo scorso mese, «non ha dimostrato il fatto che Napoli sia diventata Ginevra, ma che su alcuni temi di interesse comune l’amministrazione è riuscita a contrastare le politiche centralizzatrici ed anti-democratiche, portate avanti dal governo Renzi in questi ultimi anni. Tra gli esempi principali c’è il fatto che l’amministrazione si è imposta per far rispettare il referendum sull’acqua, «ripubblicizzando il servizio idrico con la nascita di Abc».
Napoli non è modello esportabile, ma è il frutto di un processo di interazione di autonomie, che vengono generate proprio attraverso il conflitto sociale. La legalità spesso è illegittima e contro leggi ingiuste bisogna disobbedire. Per questa ragione le pratiche di occupazione di spazi abbandonati rappresentano un tentativo di emancipazione «da parte di chi non ha potere», a cui il diritto dovrebbe consegnare gli strumenti adeguati di riconoscimento giuridico. La delibera dell’ex Asilo Filangeri e quelle che riguardano altri spazi occupati sono la prova che a Napoli si è provato a costruire giuridicamente questa emancipazione.
Tra gli altri strumenti di cui si è dotata l’amministrazione forse il più importante è quello delle assemblee popolari, che rappresentano il cuore di una nuova sovranità, proprio per il fatto di dare parere vincolante a chi governa la città. Il prossimo passo è quello di scrivere, in maniera comune, un documento con cui consegnare potere effettivo alle assemblee popolari.
Grazie a tutto questo a Napoli si è rotto un blocco borghese che, combinando interessi di oligarchie nazionali e locali, ha tenuto per decenni la città sotto scacco. Questa rottura ha una matrice rivoluzionaria, che non ha nulla a che vedere con ipotesi politiche portate avanti da una sinistra di riciclo. «Io faccio l’amministratore e voglio continuare a farlo. Non ho altri progetti di natura politica e qualsiasi cosa si voglia fare la decideremo insieme».
Per Francesco Pavin gli scontri avvenuti a Napoli il 6 aprile, nel corso di una delle tante comparsate elettorali di Renzi nella città partenopea, restituiscono l’immagine non solamente di movimenti forti, ma anche della volontà del popolo napoletano di voler lottare contro la sottrazione del potere decisionale sul proprio territorio. Ed è proprio da questa immagine che scaturisce l’interesse per l’esperienza napoletana, da parte di chi, da sempre, è alla ricerca di processi rivoluzionari. Non esistono ricette precostituite, per questo bisogna riuscire a combinare al meglio i tanti strumenti che abbiamo a disposizione, dal voto al conflitto sociale, dal taglio delle reti al Dal Molin alla disobbedienza civile di gandhiana memoria. Bisogna avere la capacità di costruire forme di inceppamento del modello capitalista a seconda dei contesti e dei processi in cui queste maturano.
In Italia in questo momento ci troviamo in una situazione in cui l’assenza di movimenti moltitudinari si combina con la violenza attraverso la quale il governo Renzi opera le decisioni e le mette in atto, demolendo tutte le conquiste sociali avvenute negli ultimi decenni. Questa è la situazione nella quale interloquiamo con l’anomalia napoletana e per la quale questa anomalia è così importante.
Per rispondere a tutto questo è necessario avere la capacità di ricostruire un terreno comune delle lotte, facendo sentire le tante voci che si oppongono alle politiche governative direttamente sotto la finestra della sede centrale del Partito Democratico a Roma.
L’anomalia napoletana rappresenta un esempio del fatto che le esperienze di ribellione possono mettersi insieme non come mera sommatoria, soprattutto se si tratta di sommatoria di sigle, ma dando vita a processi di istituzione del comune. Qualsiasi altra interpretazione di questa anomalia, strumentale agli interessi del ceto politico di sinistra, rischia di essere un freno alle lotte. Per questo viene simbolicamente regalato a Luigi de Magistris un cornetto, per metterlo al riparo dalla possibile sfiga di essere eletto il nuovo messia dei vecchi residuati della sinistra istituzionale italiana. E lui sentitamente ha ringraziato.
Nella seconda parte della discussione è stato affrontato il tema delle cosiddette “città ribelli”. Attualmente questo concetto sta tenendo banco nel dibattito politico nazionale di movimento e non solo, con un proliferare di assemblee e bozze di ipotesi politiche, che spesso contribuiscono ad aumentare lo stato confusionale che regna attorno al tema del municipalismo.
Eleonora De Majo riprende il tema delle città ribelli dicendo che questo non può esaurire la drammaticità della fase. Ad esempio, rispetto all’’accoglienza, le città possono contribuire in parte, ma senza la forza propulsiva dei movimenti radicali non si abbattono i confini. Per restituire complessità a questo tema viene lanciato un meeting a Napoli (la terza settimana di settembre) dove si confronteranno esperienze virtuose di neo-municipalismo e movimenti sociali.
Nella stessa direzione va l'intervento di de Magistris, che parte anch’egli dall’esempio dell'accoglienza. Per il sindaco non basta mettere in comune le città o le esperienze di governo, ma le battaglie vere che si danno nei territori. Questo è essenziale proprio perché lo prova l’esperienza napoletana che non sarebbe esistita se i movimenti non avessero costruito comunità in lotta a Chiaiano, Quarto o Bagnoli.
Francesco Pavin critica il concetto di città ribelli dicendo che, forse, non rende bene l’idea di autonomie territoriali che si mettono in comune per un vero progetto rivoluzionario. La vera questione non è tanto quella di mettere insieme buoni amministratori che governano in maniera “ribelle”, piuttosto il fatto che la ribellione è un dato che si dà tanto nell’anomalia napoletana quanto in territori insorgenti che rifiutano l’ordine costituito. Per questo bisogna tracciare una linea rossa che tenga insieme questa idea di ribellione, costruendo forme di potere dal basso che riescano a confederarsi.
Nelle conclusioni, Tommaso Cacciari traccia i punti di interesse suscitati dall’esperienza napoletana, che ha ancora più valore nel momento in cui i comuni rappresentano in questa fase l’appendice ultima delle decisioni di una governance europea che ha fatto dell’austerity il proprio modello di gestione della crisi sistemica. Sul tema delle città ribelli sono stati proposti alcuni punti di chiarezza, a partire dall’idea che è necessario innanzitutto far ribellare le città ed i territori prima di costruire qualsiasi ipotesi di rete. Il dibattito ha chiarito che il dispositivo delle città ribelli non può in alcun modo essere strumentalizzato da quelle esperienze che maturate all’interno della vecchia sinistra, rinvigorendone le logiche perdenti, vorrebbero oggi fregiarsi del titolo di “città ribelli” per rimediare ad una sconfitta elettorale netta alle ultime amministrative.
Fonte: globalproject.info
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