di Roberto Ciccarelli
È il dato peggiore da dieci anni a questa parte. Tra il 2014 e il 2015 le persone che versano in povertà assoluta sono aumentate di 500 mila unità (la stima è della Caritas): 4,6 milioni (1 milione e 582 mila famiglie) in totale, sostiene l’Istat. L’indigenza ha colpito in particolare gli individui e oggi riguarda il 7,6% della popolazione residente (era al 6,8% nel 2014, 7,3% nel 2013). L’aumento registrato dal report dell’Istat reso noto ieri è dovuto all’aumento tra le famiglie con 4 componenti (da 6,7 del 2014 a 9,5%), soprattutto coppie con 2 figli (da 5,9 a 8,6%) e tra le famiglie di soli stranieri (da 23,4 a 28,3%), in media più numerose.
A livello territoriale è il Mezzogiorno a registrare i valori più elevati di povertà assoluta (9,1% di famiglie, 10% di persone) e il Centro quelli più bassi (4,2% di famiglie, 5,6% di persone). Ma è il Nord ad avere fatto registrare tra il 2014 e il 2015 il peggioramento della situazione socio-economica. In queste regioni le statistiche hanno registrato un aumento drammatico della povertà sia in termini di famiglie (da 4,2 del 2014 a 5,0%) sia di persone (da 5,7 a 6,7%). La povertà si afferma soprattutto tra le famiglie di soli stranieri (da 24,0 a 32,1%). Non va meglio per le famiglie che vivono nei comuni o nelle metropoli dove la povertà aumenta soprattutto nella fascia di età compresa tra i 45 e i 54 anni di età (da 6,0 a 7,5%). L’immagine di un paese in cui lo sviluppo è a Nord e la povertà è al Sud va dunque modificata in maniera radicale. Dopo l’esito delle elezioni a Torino, ad esempio, molte analisi e testimonianze hanno confermato la nuova realtà: la povertà è una realtà è quotidiana anche in quello che un tempo era considerato il “cuore” del paese industriale, dove il salario e le tutele potevano garantire una relativa stabilità.
Oggi la povertà assoluta non riguarda solo i disoccupati. Se in casa c’è il capofamiglia che lavora, questa è l’altra novità registrata dall’Istat, la povertà impedisce di arrivare a fine mese. Questo accade se la persona di riferimento occupata lavora come operaio (da 9,7 a 11,7%). Relativamente più al sicuro sono le famiglie in cui si lavora come dirigente, quadro, impiegato o pensionato. Un argine contro la pauperizzazione sembra essere garantito dal possesso di un titolo di studio almeno superiore. Per l’Istat l’incidenza della povertà assoluta diminuisce quando una persona è almeno diplomata, poco più di un terzo rispetto a chi ha la licenza elementare, e con l’età: questo è il caso delle famiglie che hanno come riferimento una persona ultrasessantaquattrenne.
Va detto che per “povertà assoluta” l’Istat intende una soglia inferiore alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi: per un adulto di 18-59 anni, single, è pari a 819,13 euro mensili; se risiede in un’area metropolitana del Nord è di 734,74 euro; se vive in un piccolo comune settentrionale; a Sud è di 552,39 euro. Esiste un altro indicatore: quello della povertà relativa. In questo caso la soglia per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media mensile per persona nel Paese: nel 2015 era di 1.050,95 euro (+0,9% rispetto al valore della soglia nel 2014, pari a 1.041,91 euro).
Questa è l’altra faccia della povertà che si è fatta sentire nei primi otto anni della crisi: nel 2015 riguardava 2 milioni 678 mila di famiglie. Oggi la povertà relativa colpisce 8 milioni 307 mila persone, pari al 13,7% delle persone residenti. Era il 12,9% del 2014, aumenta quando il capofamiglia svolge un mestiere operaio (18,1% da 15,5% del 2014) con un’età compresa fra i 45 e i 54 anni (11,9% da 10,2% del 2014). Peggiorano le condizioni delle famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (29,0% da 23,9% del 2014), soprattutto nel Mezzogiorno (38,2% da 29,5% del 2014) dove risultano relativamente povere quasi quattro famiglie su dieci. Tra poveri assoluti e relativi, in Italia ci sono 12 milioni e 900 mila persone in disagio economico.
In questo quadro va evidenziato anche il dato sulla povertà assoluta dei minori. Per Raffaella Milano (Save the Children) il loro numero è aumentato: 1 milione e 131 mila minori. Cresce anche quello dei bambini e adolescenti che vivono in condizioni di povertà relativa: 2 milioni e 110 mila. la diseguaglianza socio-economica si aggiunge a quella culturale e di genere. Insieme agli anziani, e ai bambini, ha colpito anche le donne: 2 milioni 277mila vivono in condizioni di indigenza. In termini assoluti, sono più numerose dei minori, dei giovani e degli anziani, segnala Beatrice Costa (Actionaid) secondo la quale «è difficile rendere conto della complessità della povertà femminile, spesso interconnessa ad altri aspetti economici e, soprattutto, socio-culturali».
Fonte: Il manifesto
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