La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 2 agosto 2016

La Scozia dopo il Brexit

di Neil Davidson
Nel suo programma per le elezioni del parlamento scozzese del Maggio 2016, il Partito Nazionale Scozzese (SNP) ha affermato che avrebbe considerato un “cambiamento materiale e significativo” in quanto avvenuto rispetto al precedente referendum per l’indipendenza (tenutosi nel 2014) un motivo sufficiente per causare la richiesta di una seconda votazione, senza però rendere esplicito cosa potrebbe costituire un cambiamento del genere. È ormai ampiamente riconosciuto che la motivazione più probabile sarebbe stata il fatto che l’allora imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’UE fosse risultato in una maggioranza scozzese per il Remain e una maggioranza inglese per il Leave.
In queste circostanze, il popolo inglese avrebbe determinato il voto per tutto il Regno Unito e le volontà democraticamente espresse dall’elettorato scozzese sarebbero state negate.
Questo è, ovviamente, quello che si è effettivamente verificato. Il voto complessivo per il leave del 52 percento si è riflesso in Inghilterra (dove il 53.4 ha votato per uscire) e – in modo più sorprendente – in Galles (con il 52.5 percento). il voto scozzese è stato più definito, e come ci si aspettava, nella direzione opposta: 1,661,191 persone, o esattamente il 62 percento di quelli che hanno votato, sono andati a favore della permanenza nell’UE, la percentuale più alta di una qualsiasi altra area nel Regno Unito, sorpassando persino il voto di Londra del 59,9 per cento per il Remain.
Quello che, forse, è persino più importante è che non ci sono state delle grosse divisioni geografiche: tutte e trentadue le province hanno votato allo stesso modo, con soltanto Moray come caso limite, che ha votato per il 50.1 percento per il Remain.
Di conseguenza, il giorno dopo la votazione, il leader del SNP e Primo Ministro scozzese Nicola Sturgeon ha annunciato che un “cambiamento di circostanze” era effettivamente avvenuto.
Dopo alcune ipotesi sul fatto che il governo Scozzese potesse o meno mettere un veto o annullare il risultato del voto – una proposta dichiarata rapidamente incostituzionale, Sturgeon ha dichiarato che il suo governo avrebbe preso parte ai negoziati sulla Brexit con l’Unione Europea per difendere gli interessi scozzesi.
Se alla Scozia venisse impedito di sedersi al tavolo, allora un nuovo referendum sull’indipendenza sarebbe altamente probabile. Sturgeon è volata a Bruxelles per lanciare una campagna d’impatto su un’Unione Europea ancora barcollante dopo la decisione inglese di uscire.
Sturgeon è forse la più capace e tatticamente astuta politica borghese che agisca nel Regno Unito. Lei sa che, qualunque simpatia ci possa essere per la Scozia nel Parlamento Europeo, la commissione – la vera fonte di autorità e potere dentro l’UE – non permetterebbe mai a una nazione senza stato uno status speciale dentro i negoziati per la Brexit, ancora meno concederle lo status di membro dell’UE.
La commissione è sempre stata implacabile nell’attenersi ai trattati e applicare i propri regolamenti, direttive e decisioni – come i Greci hanno recentemente imparato a loro spese – e avrebbe comunque agito così anche senza l’intervento del Primo Ministro spagnolo Mariano Rajoy, un politico disperatamente preoccupato che ogni concessione fatta agli scozzesi potesse incoraggiare le aspirazioni indipendentiste catalane.
Il viaggio per Bruxelles è stato quindi un’azione teatrale da parte di Sturgeon, che le avrebbe permesso di dire che aveva provato a cercare una via per esprimere il desiderio scozzese di restare dentro l’UE senza dover ricorrere ad un secondo referendum sull’indipendenza, ma ahimè, non ha avuto altra scelta che prendere quella strada, anche se forse non immediatamente.
Non è, di certo, totalmente in suo potere decidere se un secondo referendum verrà fatto o meno, in quanto il Parlamento inglese – in questa situazione qualunque governo con una maggioranza effettiva- può autorizzarne uno. In queste circostanze molto dipenderebbe da una campagna di massa per sottolineare il problema.
Potrebbe sembrare quindi, che la Brexit abbia inavvertitamente avuto uno sviluppo positivo per la campagna d’indipendenza scozzese. Non ne sono sicuro. E sono persino meno sicuro che possa essere quel tipo di indipendenza che la sinistra radicale spera di avere.
Il voto sì al referendum sull’indipendenza e quello per il remain in quello sulla Brexit
Una affermazione comune nei blog nazionalisti è che i voti scozzesi per il remain fossero scientemente fatti per paventare la via all’indipendenza della Scozia. In questo caso, gli elettori scozzesi per il remain si aspettavano una maggioranza inglese per il leave e che la divergenza fra i due paesi avrebbe potuto costituire il “cambiamento di circostanze” evidenziato dal SNP [per chiedere un secondo referendum sull’indipendenza]. Questo potrebbe essere certamente l’effetto più importante del voto, ma è improbabile che fosse l’intenzione della maggior parte dei votanti.
A parte la vasta maggioranza della classe dirigente britannica che aveva le sue ragioni per star dentro – ma che costituisce meno dell’1 percento della popolazione – la maggioranza delle persone che hanno votato Remain in Regno Unito hanno fatto questa scelta per un mix di due ragioni.
Da un lato, si opponevano al razzismo e alla xenofobia della campagna ufficiale per il Leave, e l’hanno comunicato votandogli contro. Ci sono state una serie di manifestazioni pro-Remain in seguito al risultato del referendum, ad Edimburgo come a Londra, e – mettendo da parte per ora la nozione fondamentalmente anti democratica che il risultato del referendum dovesse essere ignorato e il referendum rifatto – le bandiere spesso artigianali portate per la maggior parte da giovani manifestanti hanno reso chiaro che la loro principale attenzione era fondamentalmente positiva: solidarietà con i migranti, sia a quelli provenienti dall’UE sia da qualsiasi altra parte.
Questo è la ragione per cui è importante per la sinistra radicale di confrontarsi in maniera critica con i manifestanti – come ad esempio ha fatto la Piattaforma di sinistra RISE. Questo tipo di intervento non sarebbe stato possibile, per esempio, in una manifestazione per la chiusura dei confini.
Ad ogni modo, le persone hanno anche votato Remain perché pensavano erroneamente che l’UE fosse essenzialmente benevola. Potrà sì avere delle politiche errate, affermano, ma è anzitutto dedicata alla libertà di circolazione delle persone, alla prevenzione della guerra, alla difesa dei diritti dei lavoratori e delle tutele ambientali, e alla morte dei nazionalismi in favore dei valori europei. Uno dovrebbe ritornare alle fantasie sulla Russia di Stalin nel 1930 per trovare una simile disgiunzione tra illusione e realtà.
Il perché porsi contro l’UE può essere spiegato in modo semplice: è un apparato anti democratico e irriformabile per imporre l’austerity neoliberale su tutti tranne che ad un pugno di potenti stati membri, mentre simultaneamente rafforza barriere razziste contro i migranti provenienti da confini di quello che lei decide essere Europa.
In Scozia, saremo forzati a confrontarci con le conseguenze di non aver fatto questi ragionamenti per un’uscita a sinistra per la campagna del Leave. Ad ogni modo, qualunque sia la ragione precisa per cui la gente ha votato Remain, è adesso plausibile affermare che una maggioranza l’abbia visto come un meccanismo per avere un altro referendum sull’indipendenza.
Molti del 55 percento degli Scozzesi che ha votato contro l’indipendenza nel 2014 l’avevano fatto perché parzialmente volevano stare nell’Unione Europea e avevano pensato che l’indipendenza avrebbe minacciato l’appartenenza scozzese all’UE: possiamo quindi desumere che un blocco sostanziale dei votanti del “No” fossero anche votanti per il Remain, almeno fino a quando hanno votato questo Giugno.
Edimburgo, che ha avuto una delle percentuali più alti di “no” all’indipendenza scozzese (61 percento) di qualunque altra città scozzese nel 2014, ha anche avuto la percentuale più alta di voti per il Remain (74,4 percento) di qualunque altra città nel 2016. In altre parole, le persone che hanno votato “no” nel referendum per l’indipendenza in parte per stare nell’UE parrebbero anche aver votato Remain, nella speranza che una maggioranza nel Regno Unito avrebbe fatto lo stesso. Secondo questa logica, non avrebbero votato Leave soltanto perché un voto per il Remain avrebbe potuto inavvertitamente portare ad un nuovo referendum.
Anche una buona parte del supporto per il “si” all’indipendenza nel 2014 è venuto da zone dove vivevano, i più poveri, quelli che vivevano in condizioni più disagiate, e dove vive la maggior parte degli scozzesi con lavori precari. La registrazione per votare, trainata dalla campagna del “si”, ha raggiunto gli elettori della working class fino a quel momento sostanzialmente privati del loro diritto di voto, producendo un inedito tasso di registrazione del 97 per cento della popolazione con diritto di voto.
Comparate adesso l’affluenza nei due referendum: un totale di 3.619.915 persone (85 percento) ha votato nel 2014, ma soltanto 2.679.513 (67 percento) nel 2016 – piazzando la Scozia sotto l’affluenza media del 72.2 in Gran Bretagna. Una parte di questo calo è dovuta all’esclusione dei sedicenni e dei diciassettenni dall’elettorato del 2016, ma dal momento che erano soltanto 109,000 votanti nel 2014 questo non potrebbe essere stato un fattore decisivo.
Glasgow, in linea con Dundee, la città scozzese con la presenza più massiccia di classe lavoratrice, ha avuto – al 56.2 percento – l’affluenza più bassa dell’intero Regno Unito. E fra quelli che hanno votato, hanno votato più per il Remain nella Glasgow nord (78 per cento), un’area a prevalenza Midlle class, che a Glasgow Est (56 per cento), un’area a prevalenza operaia.
Sembra quindi ragionevole supporre che la maggioranza dei non votanti siano coloro più finanziariamente insicuri, quel pezzo di working classs sostenitrice del sì nel referendum per l’indipendenza del 2014, che se avesse votato, avrebbe di sicuro votato allo stesso modo delle loro controparti Inglesi e Scozzesi: per l’uscita dall’Unione Europea.
In questo contesto è importante capire che le persone che hanno votato leave non erano la massa reazionaria e razzista dipinta dai giornalisti della sinistra liberale che scrivono per il Guardian o per il New Statesman, per i quali la Brexit apparentemente era il segnale che il Regno Unito sarebbe caduto nel fascismo.
Il razzismo e i sentimenti anti immigrati erano indubbiamente presenti, ma non ci sono 17 milioni di razzisti duri e puri nel Regno Unito. Questo era, dopo tutto, un referendum nel quale due esponenti chiave dell’austerity – Il Primo Ministro David Cameron e il Cancelliere George Osborne- stavano argomentando a favore del Remain, virtualmente supportati dall’intero establishment britannico e dalla maggior parte dei capitalisti e dalle loro organizzazioni.
Immaginate di essere uno della classe lavoratrice e di vivere in una zona deindustrializzata e abbandonata, dove i disoccupati di lungo termine sono stati o ignorati oppure sottoposti ad un regime di benefici per la disoccupazione che non ha eguali, nella sua durezza, dagli anni ‘30. Non è forse del tutto ragionevole rigettare le raccomandazioni di quelli che sono responsabili della tua situazione? Ho notato prima che fra tutte le province scozzesi, Moray ha quasi votato per uscire; ma questo non ha nulla a che fare con l’immigrazione e ha tutto a che fare con il fatto che l’occupazione nelle industria ittica locale è stata devastata dalla Politica Comune della Pesca istituita dall’UE.
Infine, mentre tutti i membri del Partito Nazionale Scozzese e la maggior parte dei suoi sostenitori hanno votato “Si” nel 2014, non hanno tutti votato Remain nel 2016. Qualunque affermazione sulle visioni dei membri [dell’SNP] sulll’UE sono inevitabilmente approssimative perché non ci sono dei dati – dati che una leadership del SNP interessata a far permanere la Scozia all’interno dell’UE non ha, non sorprendentemente, avuto interesse a produrre- ma ci sono dei dati riguardo la base eleettorale del SNP.
Una media tratta da 5 sondaggi riguardo le intenzioni di voto per la Brexit, fatti intorno a Maggio 2016 per le elezioni del Parlamento scozzese, ha rilevato che il 66 percento dei sostenitori del SNP(le persone che hanno detto di votare per l’SNP nelle elezioni politiche del 2015) hanno affermato che avrebbero votato Remain, e il 34 percento ha detto che avrebbero votato Leave- i numeri suggeriscono che fossero divisi più o meno come la Scozia nel suo complesso.
Possiamo quindi dire al più che i voti per il Remain fossero probabilmente divisi fra “si” e “no” fra i sostenitori dell’indipendenza – il che avrebbe senso se ricordiamo che, quando la questione dello status della Scozia come membro dell’Unione Europea saltò fuori durante il voto per l’indipendenza, il dibattito non era riguardo lasciare o meno l’UE, quanto piuttosto se votando “si” o “no” per l’indipendenza scozzese avesse ugualmente buone prospettive di rimanervici.
E’ stato dicerto argomentato a partire dal 23 giugno [data del referendum sulla Brexit] che qualcunque cosa le persone possano aver pensato stessero votando, una parte di coloro che ha votato “no” all’indipendenza abbiano adesso cambiato le loro idee, reagendo con orrore alla campagna del Leave basata su razzismo e xenofobia e alla violenza anti migrante(e contro altre minoranze) scaturita dal risultato.
E’ anche vero che ci sono stati dei voltagabbana di alto profilo, incluso il romanziere e intellettuale conservatore Alan Massie e, più ambiguamente, la creatrice di Harry Potter J.K. Rowling. Ma anche se questi ben pubblicizzati cambiamenti d’idea dovessero essere permanenti, non c’è evidenza che il supporto per l’indipendenza sia cresciuto dal 23 Giugno in modo tale da garantire una nuova maggioranza in un nuovo referendum.
Un sondaggio condotto il giorno dopo il referendum sull’UE ha mostrato supporto per il “si” al 59 percento. Un altro fatto la settimana seguente- calibrato con i “non lo so”- lo ha mostrato al 53 percento. La maggior parte dei commentatori – e della leadership del SNP- ha generalmente accettato che il supporto per il “si” dovrebbe superare il 60 percento per un lungo periodo perché il referendum sull’indipendenza dia un risultato positivo.
In altre parole, una parte del voto pro indipendenza dovrà crescere grosso modo con la stessa percentuale del 2015 (in pratica un altro 15 percento) per far si che il “si” sia una maggioranza certa.
Non siamo ancora a quel livello, e la ragione è abbastanza ovvia: la maggioranza delle persone che volevano stare nel Regno Unito non hanno votato così principalmente perché volevano stare nell’UE, ma perché avevano a cuore la continuità del Regno Unito, forse considerandosi principalmente Britannici.
Per questa maggioranza, la Brexit, mentre è un risultato indesiderato, non sarà l’unico fattore determinante per il comportamento riguardo al secondo referendum sull’indipendenza. Certamente, i votanti potrebbero anche ragionare che, data la prospettiva di un capovolgimento che ci sarà lasciando l’UE, sarebbe molto meglio minimizzare eventuali ulteriori danni rimanendo nel Regno Unito.
Illusioni europee
Supponiamo comunque che la Brexit persuada la maggioranza degli scozzesi della necessità dell’indipendenza. Questo beneficia necessariamente la sinistra? Fare della permanenza nell’UE la ragione per cercare l’indipendenza è certamente molto conveniente per l’SNP, ma non per l’ala radicale della campagna per l’indipendenza. C’è ben poca possibilità che l’UE vedrà la Scozia come stato successore del Regno Unito: in altre parole, la Scozia non erediterà gli accordi speciali esistenti per la Gran Bretagna.
La Scozia entrerà dunque nell’Unione Europea come un nuovo stato, relativamente piccolo, con l’obbligo di rispettare i criteri di Maastricht, se non addirittura di adottare immediamente l’euro. Una nuova Scozia indipendente sarebbe confinata sin dall’inizio nella gabbia del neoliberismo dell’UE.
Questo permette allo SNP di dare sostegno popolare alle politiche di austerità e usare l’UE come scusa per abbandonare le sue promesse più di sinistra – poiché nessuno dovrebbe avere qualsiasi illusione che la Commissione tollererà qualsiasi esperimento social democratico nel margine occidentale dell’Unione Europea.
Il secondo referendum sull’indipendenza con ogni probabilità non ricorderà il suo predecessore. La bilancia di forze a favore del ‘Si” sarà molto differente, data la crescita massiccia degli iscritti all’SNP. Nel 2014, l’SNP ha avuto bisogno della Radical Independence Campaign (RIC) e della più ampia campagna per il sì, in parte perché si era legato ad una visione post-indipendenza in cui la Scozia mantenesse la NATO, la monarchia e la sterlina.
Un programma così conservativo non era riuscito ad ispirare molto più supporto a parte quello di coloro che già credevano nell’indipendenza: c’è voluto l’intervento del RIC, delle “Donne per l’Indipendenza”, del “Collettivo Nazionale” e di altri sostenitori dell’indipendenza dal basso per galvanizzare il supporto per il “sì”.
Ma nonostante tutta la retorica di rinnovare questa alleanza, l’SNP è ora in una tale posizione egemonica che la leadership del partito non crede più di aver bisogno di alleati – a parte forse come “fanteria” – per vincere il voto degli indecisi. La rabbia di alcuni dei membri dell’SNP per la sola esistenza di organizzazioni rivali che, secondo la frase di Mhairi Black, “sostengono” di supportare l’indipendenza, suggerisce il nervosismo di un partito che è probabilmente consapevole che il livello di supporto che può guadagnare sulla base di promosse più che di risultati ha raggiunto il suo picco. La leadership del partito certamente non vorrà essere vista in compagnia di alleati non benvenuti intenti ad esporre proprio il vero volto quell’Unione Europea in cui l’SNP vuole disperatamente entrare.
Possiamo pertanto aspettarci un’intensificazione di quel tipo di routine con cui siamo divenuti familiari negli ultimi due anni: interventi orchestrati da parte di supporter dell’SNP sui social media riguardo all’impossibilità di fare qualsiasi riforma finché l’indipendenza non sia raggiunta – e, in una versione più estrema, che la politica stessa vada messa in stand by fino ad allora.
In questo caso il concetto chiave ripetuto sarà “possiamo preoccuparci dell’Unione Europea una volta che avremo l’indipendenza”, il che ovviamente sarà troppo tardi per allora, o almeno sarà troppo difficile districarsene. In queste circostanze, la sinistra radicale deve fare 3 argomenti centrali: il primo concerne la democrazia. Il referendum sull’UE coinvolgeva due aspetti, uno che potrebbe essere chiamato procedurale e l’altro sostanziale. Il primo è che si è rivelato ancora una volta come i desideri degli elettori scozzesi saranno ignorati se differiscono da quelli del resto del Regno Unito, o persino della sola Inghilterra. Il secondo è la domanda specifica sul fatto che la Scozia debba o no essere parte dell’Unione Europea.
Questi sono problemi separati. È perfettamente possibile argomentare che il deficit democratico che permette che la maggioranza dei voti degli scozzesi venga ignorata – come accaduto ancora con il voto della Camera dei Comuni per rinnovare il sistema di armi nucleari Trident – [che questo deficit] sia parte delle argomentazioni a favore del secondo referendum sull’indipendenza mentre al contempo ci si opponga all’essere parte dell’Unione Europea. Al di là di qualsiasi argomentazione, entrare nell’UE come un nuovo stato membro su una base assai più ristretta [il Regno Unito aveva ottenuto varie concessioni per rimanere dentro l’UE, ndt] è molto differente dal rimanervi come parte del Regno Unito.
In altre parole, dobbiamo essere sia a favore del secondo referendum per l’indipendenza sia di un nuovo referendum sull’essere parte dell’UE in cui la natura attuale dell’UE possa essere discussa. Dovrebbe essere dato per scontato che debbano avere il permesso di votare sia i sedici e diciassettenni (esclusi dall’ultimo referendum sulla Brexit, ndt) sia i migranti con cittadinanza UE.
Il secondo argomento riguarda la natura dell’Unione Europea, e che cosa questo significhi per la sinistra. Molti socialisti britannici hanno supportato il “Remain” come “male minore” perchè, poiché la narrativa dominante per il leave è stata costruita dalla destra, una vittoria del Leave avrebbe incoraggiato il razzismo, perfino il fascismo, minacciando il diritto dei cittadini Euriopei di rimanere nel Regno Unito.
Qualunque sia il merito di questi argomenti – personalmente non sono mai stato convinto che perfino gli aspetti plausibili costituissero una ragione per votare “Remain” – il dibattito in Scozia sulla Brexit non è stato sull’immigrazione. Nemmeno un referendum separato sull’entrare nell’UE non riguarderebbe l’immigrazione.
Quelle sezioni della sinistra, come i verdi scozzesi, che hanno illusioni riguardo all’Unione Europea sicuramente argomenteranno a favore dell’entrata nell’UE [del nuovo stato scozzese], ma coloro che non hanno queste illusioni non dovrebbero più limitarsi nel descrivere che cosa l’Unione Europea sia e che cosa faccia veramente; in altre parole, dovremmo argomentare contro questa entrata.
Il terzo argomento riguarda il riaffermare le ragioni attuali per supportare l’indipendenza scozzese, che non facciano concessioni né al nazionalismo scozzese o al falso “internazionalismo” eurofilo. In aggiunta alla democrazia, questi argomenti dovrebbero includere lo sbarazzarsi delle armi nucleari; l’indebolimento del Regno Unito come potere imperialista e la più ampia struttura geopolitica nella quale esso è inserito; resistere all’austerità neoliberale; e stabilire confini veramente aperti così che chiunque voglia venire qui lo possa fare.
Soprattutto significa affermare che non possiamo aspettare sino all’indipendenza per lottare per delle riforme se non abbiamo nessuna speranza di poter disegnare l’immagine di una Scozia indipendente.

Articolo pubblicato su Jacobin magazine 
Traduzione di Lorenzo Bordonaro e Panofsky
Fonte: Contropiano 

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