La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 2 agosto 2016

Sfrutta di stagione. Forme di sfruttamento e percorsi di resistenza nel Sud

Intervista a Gianni De Giglio e Nino Quaranta di Maurizia Russo Spena
Quelle di Gianni De Giglio e di Nino Quaranta sono due voci che raccontano da una particolare visuale (quella di alcuni territori meridionali) le esperienze di resistenza e cooperazione che si sono prodotte nell’ambito dell’economia rurale, a partire dai percorsi di rottura con il modello paraschiavistico del caporalato e dal protagonismo conflittuale di soggetti subalterni e precari. Dal sud, due voci insubordinate, legate dalla connessione tra le lotte per i diritti sociali e la costruzione di un sistema alternativo di produzione e di vita.
Gianni (37 anni, lavoratore precario, dottorato in Law and Economics, racconta il percorso del progetto SfruttaZero, nato nel 2014 con la produzione di salsa di pomodoro): "Tutto nacque dalla nascita, a Bari, dell’associazione Solidaria, composta da migranti (rifugiati politici e non solo), giovani studenti e lavoratori precari, frutto di un percorso decennale a sostegno delle rivendicazioni di coloro che denunciano le condizioni disumane di vita all’interno del Cara [Centro di accoglienza per richiedenti asilo, n.d.r.] di Bari Palese e i tempi lunghi di attesa per il riconoscimento della protezione internazionale. Nel corso degli anni il collettivo ha supportato, inoltre, nell’assenza totale di politiche abitative e in generale di seconda accoglienza, decine, a volte centinaia, di migranti, che una volta ottenuto il documento hanno deciso di rimanere in città e dintorni, nell’occupazione di immobili abbandonati, per farne una dimora dignitosa. Nel 2009 l’ex liceo “Socrate”, oggi riconosciuto dal comune come un luogo di convivenza, abitato, attraverso un progetto di autorecupero della struttura; nel 2014 l’ex convento di Santa Chiara, la Casa del rifugiato. E’ in questi luoghi che, insieme alla questione abitativa, si è sentita l’esigenza di sviluppare anche attività a carattere lavorativo, che riguardassero la produzione di un reddito e la sottrazione dal livello altissimo di sfruttamento nelle campagne della Puglia."
Cosa vuol dire produrre salsa di pomodoro in questo contesto?
Gianni: "Innanzitutto, utilizzare un simbolo per rompere il silenzio che ogni estate è legato allo sfruttamento di forza lavoro, soprattutto migrante, nelle campagne; secondo, rispondere alla mancanza di lavoro e reddito per migranti e nativi; terzo, dimostrare che forza lavoro nativa e migrante possono collaborare e rompere il muro del razzismo istituzionale che, attraverso norme e politiche, intende separarle."
Nino (55 anni, contadino e cantautore, tra i soci fondatori del progetto Sos Rosarno sottolinea anch’egli come l’esperienza di cui è parte sia nata all’indomani della cosiddetta rivolta del 2010, quando alcune persone si sono interrogate su cosa si potesse fare nella piana di Gioia Tauro per contribuire a migliorare l’esistenza di persone, sia autoctone sia migranti, che vivevano e vivono tutt’oggi in condizioni misere, di degrado assoluto, in casolari abbandonati, in tendopoli a cielo aperto approntate dal ministero dell’Interno): "Bisogna pensare che, soprattutto quando c’è la raccolta degli agrumi, circolano più o meno 2.000 migranti in questa zona. Sulla rivolta si è detto e scritto di tutto, ma in realtà è stata una sommossa popolare, di persone giunte al limite, che quella sera si sono riversate in strada a Rosarno ed hanno distrutto tutto quello che gli veniva davanti; avevano avuto due feriti e si era sparsa la voce che c’era qualche morto, la loro rabbia si è scatenata e hanno fatto quello che hanno fatto… nei giorni successivi ci sono stati degli episodi di intolleranza da parte dei rosarnesi, che hanno praticato la caccia al nero; si vedevano in giro bande con spranghe e taniche di benzina che cercavano gli immigrati per vendicare l’“offesa” fatta a Rosarno. Tra i migranti c’era un po’ di tutto, richiedenti asilo, protezione umanitaria e quelli venuti con un semplice permesso di soggiorno. Nella piana di Gioia Tauro non sono in possesso di alcun diritto, vengono sfruttati sul lavoro, non hanno casa e alloggio dignitoso, però la maggior parte ha un permesso di soggiorno. Nel momento in cui abbiamo fondato l’associazione abbiamo pensato di coinvolgere i migranti con i quali eravamo in contatto già in precedenza, cercando di fare una cosa semplice: unire i deboli con i deboli, lavoratori sfruttati per 20-25 euro al giorno, assieme a un piccolo gruppo di produttori a loro volta sfruttati, perchè devono abbandonare il frutto, gli agrumi, sugli alberi, oppure sfruttare chi è più debole di loro, i braccianti migranti, per la raccolta. Con alcuni migranti c’erano conoscenze personali che hanno aiutato la relazione; c’era anche un’altra associazione non costituita, AfriCalabria, che si riuniva in assemblea spesso con loro. Il primo anno abbiamo anche istituito una scuola di italiano, i migranti venivano e partecipavano alle assemblee e alle riunioni. Quando abbiamo costituito l’associazione Sos Rosarno ci siamo appoggiati ad una cooperativa agricola, I frutti del sole, che tutt’ora ci sostiene dal punto di vista amministrativo, per assumere sei migranti. Noi stessi a dicembre abbiamo costituito una cooperativa sociale (siamo in 9 soci fondatori, mentre in Sos Rosarno siamo più di 20), che si chiama Mani e Terra, e tutti i lavoratori della raccolta degli agrumi che sono destinati ai Gas [Gruppi di acquisto solidali, ndr] oppure quelli che lavorano negli orti collettivi per l’autoconsumo saranno assunti direttamente come soci lavoratori."
I migranti che avete incrociato nei vostri percorsi e che li hanno animati insieme a voi, provengono da esperienze conflittuali, sono soggetti attivi politicamente magari anche nel paese d’origine, oppure le pratiche di lotta hanno contribuito ad addensare singolarità che hanno acquisito via via una dimensione politica, di gruppo?
Gianni: "Innanzitutto non vi è stato un coinvolgimento dei migranti nel percorso che ha portato all’autoproduzione di salsa. Insieme, attraverso varie riunioni e momenti collettivi, ci siamo accorti che sentivamo l’esigenza di denunciare il caporalato, avviare un’attività lavorativa per produrre reddito e, in maniera orizzontale, rompere l’idea della separazione tra datori di lavoro e lavoratori dipendenti, collaborando tra lavoratori migranti e precari italiani. Fondamentalmente, i migranti che hanno un percorso costante all’interno di Solidaria sono quattro (sui venti di cui è composta l’associazione): uno proviene dalla rivolta di Nardò, altri hanno vissuto da protagonisti la mobilitazione che nel 2011 ha portato all’occupazione della tangenziale di Bari, che portò a 44 arresti; altri provengono dal Cara di Palese. Si tratta di migranti che hanno vissuto mobilitazioni ed ancora oggi continuano a promuovere percorsi rivendicativi e conflittuali. Poi sono tanti quelli che ruotano intorno al progetto, molti sono stati protagonisti di un movimento migrante tra il 2011 ed il 2012 e, una volta ottenuto il permesso, hanno deciso di rimanere a Bari e noi li abbiamo sostenuti nell’occupazione dell’ex convento. Un percorso di recupero di quella struttura, dove abbiamo fatto iniziative di sostegno e presentato il progetto di SfruttaZero; poi vi è stato lo sgombero e adesso vivono in una tendopoli fatiscente, un ghetto urbano, divenuto una sorta di ufficio di collocamento per il caporalato. Continuano periodicamente a produrre vertenza con il comune di Bari per un’abitazione dignitosa. Alcuni migranti di quella tendopoli fanno parte di Solidaria, e quindi di SfruttaZero. Dal punto di vista della composizione, sono tutti rifugiati; in più, negli ultimi anni, è cresciuto il fenomeno dei transitanti, che attraversano il nostro paese per raggiungere altri luoghi in Europa. In questi spazi aperti si sono intrecciati i percorsi di sostegno alle rivendicazioni dei migranti richiedenti asilo e transitanti, con l’esigenza comune di un’abitazione dignitosa ed una maggiore garanzia di reddito."
Esiste un’eccezione, nel senso di peculiarità, meridionale nel nesso tra tendenze di sviluppo economico delle campagne, modelli di impresa, forme di sfruttamento della forza lavoro, anche migrante, controllo criminale del territorio, processi di sindacalizzazione e di autorganizzazione?
Gianni: "Non ho mai riflettuto a fondo sul tema. Lo faccio adesso con te, ad alta voce. Il nesso non viene automatico, ma effettivamente se pensiamo alle forme di resistenza e di ribellione messe in atto in questi anni, alla loro radicalità ed estrema politicità mi viene in mente che sicuramente sono state più intense al sud, almeno per quanto riguarda il livello delle rivendicazioni. Mi spiego meglio: le lotte dei facchini della logistica, molto radicali, sono inserite tuttavia in un quadro di tutele dentro il mercato del lavoro, in un contesto in cui i migranti sono una presenza stabile e strutturata e rivendicano maggiori diritti. Qui, invece, i migranti tendono ad andare via, a essere di passaggio e il loro livello di rivendicazione, che si esprime in forme anche dure, non convenzionali, riguarda le condizioni di vita (visibilità amministrativa, alloggio, mobilità), che intrecciano anche i temi del lavoro, non viceversa."
Nino: "Ti rispondo con una cosa ovvia: esiste una peculiarità meridionale perchè il fatto che il meridione, e la Calabria, venga curato come serbatoio di voti e non come terra da sviluppare ed emancipare, è un dato. Un esempio per tutti, la nascita del quinto centro siderurgico nella piana di Gioia Tauro, che ha depredato ettari ed ettari di terreno tra i più fertili di Italia, dimostra quanto lo stato sia miope di fronte ai bisogni effettivi della popolazione. Le risorse primarie della Calabria sono turismo e agricoltura, ma nessuno investe su questo. Anche le politiche agricole europee puntano sul polo dell’agroindustria investendo su quelle regioni del nord che utilizzano colture intensive e praticano violenza sul proprio territorio rurale. Aggiungiamo a questo il fatto che nel degrado culturale si sviluppa e si alimenta la subcultura mafiosa, su cui le organizzazioni criminali fanno affidamento. Tutte le organizzazioni qui, in Calabria, sono al codazzo del potere; e il potere fa finta di niente e si accorge dell’esistenza del degrado 128 come se non ne fosse responsabile. Ovviamente in mezzo a tutto ciò ci sono realtà operose, anche sindacali (penso alla Flai Cgil), che producono percorsi di lotta contro il disastro ambientale e culturale, e le cui forme di rivendicazione sono più dirette e radicali. Quindi, vengono anche notate di più."
Avete creato, mi sembra, attraverso la vostra esperienza, uno spazio politicizzato di produzione di soggettivazione, di lavoro e di reddito, di pratiche di vita fondate sulla cooperazione e il mutuo aiuto. Mettete fortemente a critica il modello di sviluppo economico... ma che rapporto avete con il mercato?
Gianni: "Rispetto al mercato ci poniamo, semplicemente, fuori mercato. Cosa vuol dire… questo è il secondo anno che produciamo salsa di pomodoro e abbiamo messo sempre al centro, da un lato, la denuncia del capolarato e dello sfruttamento nelle campagne e i percorsi di autodeterminazione dei migranti per la libertà di circolazione, per un’accoglienza degna e così via, e dall’altro, una forte critica ad un mercato produttivo che sfrutta non solo la forza lavoro ma anche la terra, le risorse naturali e soprattutto a livello agro-alimentare copre tutta la filiera produttiva esclusivamente in ragione del profitto e del valore di scambio. Il pomodoro è il simbolo dello sfruttamento; se avessimo prodotto marmellata o altre conserve non avremmo avuto quella forza comunicativa che invece oggi la salsa di pomodoro ci restituisce. Seppur in maniera progressiva e con tante contraddizioni e lacune, occupiamo l’intera filiera produttiva del pomodoro, ossia le fasi agricola, trasformativa e distributiva. La fase agricola la copriamo attraverso la coltivazione di un pezzo di terra di contadini che sono soci di Solidaria. Ci lavorano un contadino italiano e due migranti. La fase trasformativa, dal pomodoro alla salsa, il primo anno è avvenuta all’interno del liceo “Socrate”, in cui si è avuta questa intersezione tra la produzione di un’attività lavorativa, di reddito e casa. Poi ci occupiamo della fase distributiva, che è in perenne crescita, perchè siamo partiti dal livello locale nei confronti di famiglie, Gas, mercatini delle autoproduzioni, e ormai dal 2015 distribuiamo all’interno di spazi sociali, mense popolari, attraverso la rete che si esprime con Genuino clandestino. Leghiamo l’aspetto della critica allo sfruttamento del lavoro, quindi la denuncia, e quello di praticare la possibilità di un diverso utilizzo della forza lavoro migrante, con l’obiettivo di creare economia alternativa fuori mercato. Oggi riesci a essere alternativo alla grande distribuzione organizzata solamente attraverso la creazione di nodi di logistica solidale, la relazione e la cooperazione tra chi, in Italia e a livello locale e interregionale, mette a critica tutta la filiera distributiva e produttiva del mercato capitalistico. Questa credo sia una delle problematiche e una delle sfide che ci troviamo di fronte: creare uno spazio fuori mercato che possa promuovere la distribuzione dei prodotti non solo a km zero e a livello locale, ma anche per vicinanza politica, nel senso che tu utilizzi queste pratiche di mutuo soccorso, queste esperienze, anche perchè vuoi mettere in discussione i meccanismi e le fondamenta sui quali oggi si regge il mercato."
Voi producete, raccogliete, in alcuni casi trasformate, come fate a distribuire? Chi sono i consumatori? Può bastare il rapporto uno a uno nella rottura con l’attuale sistema economico?
Nino: "Se per distribuzione si intende il problema della logistica è abbastanza importante. Adesso stiamo lavorando con un’impresa di Cosenza che ci pare etica, perchè anche molta della logistica è legata a situazioni con le quali non vogliamo avere nulla a che fare, e quindi è molto difficile. Ci stiamo trovando bene, ma il problema della logistica e dei trasporti è un problema molto più grande e più ampio... qualche volta la merce non è arrivata neanche in buono stato… sappiamo che sarebbe giusto utilizzare ferrovie e mare piuttosto che strade e gomme, ma sappiamo che è utopico in questo momento. Dal punto di vista dei consumatori, i nostri acquirenti attuali sono i gruppi di acquisto solidale e le botteghe del commercio equo. Stiamo avendo qualche contatto anche con la rete Altromercato, con altre reti etiche ed ecologiche e siamo solo al rapporto diretto produttore-consumatore, che non sarebbe male, ma purtroppo in Italia rappresenta meno del 2%, quindi è una cosa risibile, anche se sta crescendo. Ci poniamo da tempo il problema, come rete calabrese locale, ma in generale in tutta Italia, che questa economia solidale non è effettivamente accessibile a tutti e che invece a noi interesserebbe che quelli che vanno a comprare al discount potessero comprare anche i nostri prodotti. Ora non è possibile per una questione di quantità, perchè non posso permettermi di vendere a un prezzo per cui non viene pagato neanche il lavoro; quindi l’ideale sarebbe aumentare la produzione di questi prodotti genuini per poter diminuire i prezzi. Un altro obiettivo è quello di attirare nuovi produttori, in modo che la rete già ampia si allarghi. Noi rappresentiamo una goccia in un oceano, ne siamo consapevoli, però quello che diciamo sempre è che questo vuole essere un esempio."
Vi siete mai posti la questione della sostenibilità e dell’allargamento dei progetti, anche attraverso l’utilizzo di finanziamenti?
Gianni: "Tra i mezzi di produzione c’è anche il capitale… una delle sfide e una delle problematiche principali è la sostenibilità economica di questi progetti. Oggi abbiamo, dopo due anni, l’obiettivo di passare dalla progettualità stagionale alla strutturazione produttiva e del lavoro a sfruttamento zero; e questo significa forme di finanziamento. I primi due anni abbiamo lanciato un crowdfunding; il primo anno, nel 2014, da soli, nel 2015 con altre due realtà, di Nardò, Diritti a sud, e Venosa, Osservatorio migranti Basilicata/Fuori dal ghetto di Palazzo San Gervasio. Oggi riusciamo, seppur in maniera stagionale, a distribuire un reddito pieno ai migranti e ai contadini, durante la fase agricola, secondo le paghe dei contratti collettivi nazionali; durante la fase trasformativa, un contributo-rimborso a tutti; solo chi ha un reddito e un lavoro contribuisce in modo 130 volontario. Nella fase distributiva diamo un rimborso-spese con la formula del contributo ai soci dell’associazione. Un piccolo esperimento oggi produce una rete, accomunata da una stessa etichetta e soprattutto da regole condivise. La questione è che dopo due anni di raccolta fondi dal basso, di coinvolgimento di finanziatori, abbiamo il problema l’anno prossimo di riuscire a sostenere economicamente il progetto attraverso i preordinativi, attraverso la vendita della salsa di pomodoro. Cosa che non è molto sostenibile e quindi c’è il rischio che il prezzo delle bottiglie sia molto elevato e che riusciamo a distribuire solo a una fetta di consumatori consapevoli e solidali che si possono permettere di comprare. Rischia di essere un corto circuito: criticare il mercato e le sue regole, e poi produrre e vendere solo a una fascia medio-alta della società. Siamo riusciti, per due anni fi no a che è durata la campagna, a mantenere la salsa di pomodoro economica, popolare, accessibile a tutti; ora dovremmo, come unica possibilità, puntare all’aumento della produzione, poichè la domanda è crescente, e dotarci di mezzi di produzione (terra, spazi per la logistica), in modo da ammortizzare i costi e mantenere un prezzo di distribuzione e vendita più basso. La sfida vera è quella di arrivare alla fasce più colpite dalla crisi, che però sono le stesse che alimentano la grande distribuzione che permette loro di accedere ai prodotti. Noi dobbiamo parlare anche a quei consumatori che vorrebbero nutrirsi in maniera più genuina ma non possono permetterselo. Un’ultima cosa: un rischio di queste iniziative è che possono diventare isole felici, tu liberi alcuni migranti dallo sfruttamento e dal caporalato, quando le forme di utilizzo di manodopera attraverso l’intermediazione illecita continuano ad aumentare intorno a noi. La vera domanda è come tenere insieme l’aspetto del mutuo soccorso e dell’economia solidale con il supporto ai percorsi conflittuali della forza lavoro che spesso si autodeterminano nelle campagne."
Che vi dice il futuro, quali prospettive avete, quali le sfide che vi siete posti?
Nino: "L’ideale sarebbe che il contadinismo, questo modello di vita dignitoso, senza sfruttamento, che prevede libertà di pensiero e di azione e soprattutto di lavorare in ambienti più sani, si espandesse, in modo che noi che adesso lavoriamo con 6 persone possiamo lavorare con 60, con 600... per nessuno di noi è garantito uno stipendio, ma una vita dignitosa sì. Fondamentalmente è una delle forme di democrazia diretta che si è creata in Italia e quelli che ci sostengono fortemente sono proprio i gruppi più politicizzati del mondo della cosiddetta economia solidale o sostenibile, che dir si voglia, perchè un’altra cosa che teniamo sempre a dire è che il politico, per noi, è rappresentato anche dal fare il biologico, dal non violentare la terra più di quanto sia stato fatto fi no ad ora, dal sostenere quelli che lottano per il loro territorio e, nel nostro piccolo, operando in una situazione molto problematica, vogliamo essere di rottura e di cambiamento, contro il degrado della subcultura mafi osa e della ‘ndrangheta. E, ti assicuro, non è un’utopia."

Articolo pubblicato sul n. 40 di Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale

Fonte: communianet.org 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.