La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 11 settembre 2016

Novembre 2011. Tutti sapevano dell’invasione imminente e pure di Monti

di Dante Barontini
Quando è avvenuta la resa formale dello Stato Repubblicano nato dalla Resistenza al potere dei mercati? La data più importante, per quanto riguarda l'autonomia di bilancio e molte delle conseguenze che ne discendono, è certo il 1992, quando vengono sottoscritti – probabilmente senza neanche capirli fino in fondo, da parte del governo italiano d'allora, strizzato tra Tangentopoli e le stragi mafiose collaterali alla “trattativa” – i trattati di Maastricht. E certo fa oggi riflettere quella miserevole classe politica stretta tra due trattative in cui fa la parte del vaso di coccio orientata com'è – in entrambi i casi – da “prestigiosi esponenti delle istituzioni” che collaborano attivamente con “il nemico”. A Palermo come a Bruxelles…
Ma la data della resa formale, quella in cui “la politica” getta la spugna e accetta consapevolmente – e per sempre – la primazia dei “mercati” incarnata dalle scelte dell'Unione Europea, è certamente il novembre 2011, quando nel giro di pochi giorni lo scettro del comando passa d'autorità nelle mani di Mario Monti, ex Commissario Ue frettolosamente nominato da Napolitano senatore a vita (9 novembre) per dare una parvenza di “gesto istituzionale” alla già programmata investitura come premier (16 novembre).
Allora, mentre i turlupinati seguaci del centrosinistra festeggiavano sotto il Quirinale, inquadrammo quella svolta come l'invasione, guardando soprattutto alle scene da “paese conquistato” che si svolgevano in Parlamento, con “'commissari' [europei, ndr] che bloccano la presentazione in aula del maxi-emendamento, per controllare fino all’ultimo istante che contenga soltanto quello che loro avevano deciso“.
Non molti, lì per lì, furono altrettanto consapevoli. E dire che persino all'interno di settori importanti della vecchia scuola socialdemocratica c'era chi aveva studiato e capito per tempo quello che si stava preparando, addirittura mesi prima che “l'invasione” venisse realizzata.
Pubblichiamo dunque questo articolo apparso su una delle tante riviste della Cgil, a firma di Rodolfo Ricci, perché dà la misura di quanto si andava discutendo nei corridoi di Corso Italia, quindi anche della preoccupazione con cui si assisteva alla deriva ultraliberista del Pd (e Renzi non era ancora all'orizzonte!, si parlava de "Il progetto lettiano, casinian-finiano, [che, ndr] si traduce nel governo tecnico direttamente gestito dai mercati"), impersonificata in quel momento da Enrico "stai sereno" Letta.
Articolo importante anche per la data di pubblicazione, addirittura precedente quella “lettera della Bce”, firmata dal subentrante Draghi e dall'uscente Trichet, in cui di esplicitava il “piano di riforme” che i governi successivi hanno cominciato a realizzare, senza peraltro aver ancora completato l'opera infame (per riuscirci al meglio serve l'approvazione della "riforma costituzionale" Renzi-Boschi).
Preoccupazione e consapevolezza che il vertice della Cgil – sì, c'era già la Camusso sulla sedia piùà importante – si guardava bene dall'esprimere in pubblico, presa com'era dallo spalleggiamento dello stesso Pd in funzione antiberlusconiana.
Il programnma del Pd bersaniano e lettiano, prima ancora della “lettera della Bce”, era giàperfettamente in linea con quelli che poi avremmo chiamato diktat. Leggere per credere:
"tra gli emendamenti del PD, ve ne era uno, decisivo, che mirava allo smembramento della SNAM rete gas dall’ENI, e la messa sul mercato quindi, della parte più redditizia della multinazionale energetica a partecipazione pubblica; lo stesso emendamento conteneva la proposta di mettere sul mercato tutte le quote eccedenti il 20% di proprietà pubblica di ENI, Enel, Poste, Ferrovie e Finmeccanica e di privatizzare totalmente le circa 20.000 imprese partecipate degli enti locali (regioni, provincie, comuni, ecc.), secondo la visione salvifica della crisi del debito italiano, offerta da Enrico Letta, nella sua intervista a La Repubblica dell’11 luglio.
Questa proposta è pienamente condivisa da Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, che la aveva già fatta intravedere in un suo intervento di poco più di un mese fa (“stiamo lavorando ad un grande piano per la salvezza dell’Italia”) e pare corrispondere anche agli intendimenti di D’Alema, che di privatizzazioni se ne intende. Non è invece condiviso da Fassina, responsabile economico del PD, le cui posizioni sono tuttavia messe in sordina dall’apparato mediatico e praticamente ininfluenti."
Altrettanto lucida e perfettamente consapevole appare la disamina dell'offensiva mediatica contro “la casta”, come delegittimazione definitiva di ogni personale politico legittimato da elezioni e invocazione di una gestione tecnocratica presentata ovviamente come "neutrale":
"La nuova e giustificata attenzione alla casta sottoposta a un pubblico processo, analogamente a quanto avvenne agli inizi degli anni ’90, mette in secondo piano (anzi nasconde completamente), i reali obiettivi che ci sono dietro: si tratta del governo tecnico di salvezza nazionale a guida di primari esponenti del mondo finanziario (per esempio, Mario Monti) che dovrebbe succedere a quello di un Berlusconi in pieno disfacimento, ai quali, chissà perchè, viene riconosciuta una superiorità antropologica ed etica rispetto agli esponenti politici."
Persino il nome di Mario Monti – a luglio, non a novembre… – era già sul tavolo. Tutti sapevano, nei palazzi che contavano qualcosa.
E tutti hanno lasciato fare.
Anche se sapevano benissimo quale inutile massacro sociale questa “svolta” avrebbe prodotto:
"Che questa ipotesi di salvezza nazionale sia destinata al fallimento in partenza è dimostrato dal fatto che ogni politica di privatizzazione adottata degli ultimi 20 anni non ha portato alcun beneficio, se non provvisorio, alla riduzione del debito che anzi, a partire da queste scelte, è sempre aumentato. Ogni grande privatizzazione si è tradotta e si tradurrà concretamente solo in un trasferimento di enormi valori alla dinamica speculativa della finanza mondiale."
Se ne può trarre qualche conclusione sulla presunta “dialettica politica" in questo paese? A noi sembra proprio di sì….

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Il nuovo attacco alla CASTA nasconde il progetto di governo tecnico direttamente gestito dai mercati
di Rodolfo Ricci

Come già accaduto in altre situazioni critiche nel recente passato, in Italia si è di nuovo scatenata la grande campagna contro la casta politica: la pagina su facebook, creata tre giorni fa e gestita, sembra, da un ex dipendente di Montecitorio nel frattempo licenziato (che si presenta con lo pseudonimo di Spider Truman) ha acquisito in 60 ore di presenza sul web, oltre 200 mila contatti.
Nella pagina sono state pubblicate una serie di indiscrezioni e di documenti che danno un quadro impressionante e desolante dei privilegi dei parlamentari e che diventano, in occasione del varo della ennesima manovra lacrime e sangue di 80 miliardi di Euro per placare il grande Minotauro – “i mercati” – e la grande finanza speculativa mondiale, un vero e proprio giustificato incitamento alla protesta.
L’operazione, è parte di una campagna molto ben supportata da diversi importanti media e organi di stampa (vedi La Repubblica, e il TG3, fra gli altri), che cerca di orientare il malcontento contro la classe politica e in particolare contro la maggioranza berlusconiana che, ponendo la fiducia, ha rifiutato di approvare, tra gli altri, un emendamento del PD che mirava alla riduzione dei costi della politica.
Questo emendamento, riduceva i costi della politica di 80 milioni di Euro circa, a fronte di un costo complessivo della politica in Italia stimato tra i 4 e i 5 miliardi all’anno. Quindi, ben poca cosa, anche se ovviamente superiore ai 7 milioni di Euro che la maggioranza si è autoridotta con la manovra, essenzialmente attraverso una norma che riduce l’uso delle auto-blu.
Una riduzione utile dei costi della politica, in un frangente come quello attuale, dovrebbe essere di ben altro spessore: almento 500 milioni / un miliardo, altrimenti, su un piano di contribuzione alla riduzione del debito pubblico, serve davvero a poco ed è essenzialmente demagogica.
Non è stato invece evidenziato da nessuno o da pochissimi, che tra gli emendamenti del PD, ve ne era uno, decisivo, che mirava allo smembramento della SNAM rete gas dall’ENI, e la messa sul mercato quindi, della parte più redditizia della multinazionale energetica a partecipazione pubblica; lo stesso emendamento conteneva la proposta di mettere sul mercato tutte le quote eccedenti il 20% di proprietà pubblica di ENI, Enel, Poste, Ferrovie e Finmeccanica e di privatizzare totalmente le circa 20.000 imprese partecipate degli enti locali (regioni, provincie, comuni, ecc.), secondo la visione salvifica della crisi del debito italiano, offerta da Enrico Letta, nella sua intervista a La Repubblica dell’11 luglio.
Questa proposta è pienamente condivisa da Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, che la aveva già fatta intravedere in un suo intervento di poco più di un mese fa (“stiamo lavorando ad un grande piano per la salvezza dell’Italia”) e pare corrispondere anche agli intendimenti di D’Alema, che di privatizzazioni se ne intende. Non è invece condiviso da Fassina, responsabile economico del PD, le cui posizioni sono tuttavia messe in sordina dall’apparato mediatico e praticamente ininfluenti. Questo distinguo di un esponente della segreteria, pone tuttavia la necessità di un chiarimento pubblico ed interno sui reali orientamenti del PD, che per serietà non dovrebbe essere rimandato.
Il progetto lettiano, casinian-finiano, si traduce nel governo tecnico direttamente gestito dai mercati
La nuova e giustificata attenzione alla casta sottoposta a un pubblico processo, analogamente a quanto avvenne agli inizi degli anni ’90, mette in secondo piano (anzi nasconde completamente), i reali obiettivi che ci sono dietro: si tratta del governo tecnico di salvezza nazionale a guida di primari esponenti del mondo finanziario (per esempio, Mario Monti) che dovrebbe succedere a quello di un Berlusconi in pieno disfacimento, ai quali, chissà perchè, viene riconosciuta una superiorità antropologica ed etica rispetto agli esponenti politici.
Ma se la politica sta semplicemente facendo (con questa manovra e con le successive già imminenti) ciò che gli viene chiesto dai mercati (e non dalla gente che dovrebbe rappresentare), come è possibile un giudizio di questo genere ? 
Il perchè consiste semplicemente nel fatto che il vero obiettivo dell'operazione è portare al governo direttamente, senza alcuna mediazione, gli esponenti di questo mondo, in modo che si possa procedere alla rapida svendita di tutti i beni pubblici e di ciò che resta delle grandi aziende di stato, secondo il progetto lettiano e mettendo in totale discussione lo spirito dei risultati referendari di solo un mese fa.
Che questa ipotesi di salvezza nazionale sia destinata al fallimento in partenza è dimostrato dal fatto che ogni politica di privatizzazione adottata degli ultimi 20 anni non ha portato alcun beneficio, se non provvisorio, alla riduzione del debito che anzi, a partire da queste scelte, è sempre aumentato. Ogni grande privatizzazione si è tradotta e si tradurrà concretamente solo in un trasferimento di enormi valori alla dinamica speculativa della finanza mondiale. (in proposito si veda l'effetto odierno, addirittura negativo, della megamanovra nel giudizio di mercati, che, stanto all'ulteriore aumento della differenza di spread tra titoli italiani e tedeschi, si permettono di ignorarla, attendono invece un cambio di governo, cioè il governo annunciato da Letta).
Trasferimenti dallo Stato al privato, dai cittadini alle grandi famiglie delle banche di investimento e dei fondi speculativi, che, in mancanza di essi, crollerebbero.
In questo momento, il messaggio alla casta politica, in subbuglio e per certi versi riottosa ad eseguire i nuovi dictat del mercato, non per suo merito, ma essenzialmente per la sua insita natura clientelare e corporativa, è il seguente:
O fate i bravi, oppure sarete tutti scalzati via in un solo attimo.
Crediamo che non ci si debba prestare a questo giochetto. Se la politica è diventata un'ancella dei poteri economici, e scambia questa funzione con corruzione e privilegi, la soluzione del problema non sta nella sua eliminazione e nella devoluzione del suo potere ai mercati, ma nella ricostruzione di una reale ed effettiva democrazia e di una nuova politica partecipata: la parola d’ordine di un progetto politico alternativo è quindi “fuori la casta, ma fuori anche i poteri ad essa sovrastanti”: lobbies economico-finanziarie, tecnocrati e rappresentanti vari delle oligarchie della rendita.
L’alternativa è cioè nella sconfitta di un progetto di risanamento pubblico guidato secondo i paradigmi monetaristi e neoliberisti, comunque esso si presenti, sia se a dirigerlo siano i rappresentanti delle lobbies reazionarie di quella che, come sosteneva Pasolini, è la borghesia più ignorante d’Europa (quella italiana, con il suo PDL, con la sua Lega, e con la new economy criminale delle mafie), sia se a dirigerlo si candidino quelli che rappresentano i poteri transnazionali della finanza globalizzata che nessuno ha mai eletto (FMI, Banca Centrale Europea, Commissione Europea) e i relativi circoli di compensazione (meta-massonerie come il gruppo Bilderberg, la Commissione Trilaterale, l’Aspen Institute), la cui affidabilità è storicamente nota e a cui fa riferimento parte del PD.
Non cadiamo nel grande trabocchetto che si sta preparando.
Bisogna rilanciare la proposta di democrazia partecipata e diffusa. Il futuro di più generazioni dipenda dall’esito di questa fase. E riguarda il 90% del popolo italiano nel suo insieme. Che sia di ispirazioni ideali di sinistra, o di centro, o di destra.
Ad una trasversalità bipartisan dei poteri bisogna opporre una trasversalità dei beni pubblici e della partecipazione popolare come è avvenuto ed avviene in Val di Susa e come è avvenuto per i referendum contro il nucleare e per l’acqua pubblica, il cui esito dimostra che vi è una maturità del corpo elettorale che trascende le divisioni tradizionali e su cui può essere ricostruito un patto sociale nazionale.
Bisogna rapidamente costruire una nuova soggettività politica e sociale capace di rappresentare questa novità e di conciliare le urgenze strutturali – che si risolvono solo con una vasta ridistribuzione del reddito nazionale effettuata anche per via retroattiva -, con l'ampia tematica dei diritti (dal lavoro, ai generi, ai gay, ai migranti, ecc.), in modo da chiudere gli spazi di manovra a possibili sbocchi autoritari.

(18/07/2011)



Leggi gli emendamenti presentati dal PD: evidenziato in giallo l'emendamento citato nell'articolo.

Fonte: Contropiano 

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