La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 12 settembre 2016

Un No, anche contro la “ludopatia” olimpionica

di Anna Lombroso 
Certo che, se la coerenza è la virtù degli imbecilli, come si legge spesso su Facebook, quelli del Pd e i loro fan devono essere davvero intelligentissimi, a ricordare l’encomio sobrio ma infervorato espresso a suo tempo per la decisione di Monti di non candidare Roma alle Olimpiadi del 2020. Cui adesso corrisponde invece la condanna, altrettanto risoluta, per chi ne segue l’esempio, con qualche motivazione in più e proprio come hanno fatto città magari meno investite da fenomeni di corruzioni, degrado dell’ambiente, fenomeni di saccheggio del territorio autorizzati e legittimati da aggiramento di regole e leggi, in virtù di inadeguatezze, incompetenze, ed anche di ritardi promossi e favoriti per ingenerare condizioni di emergenza da gestire tramite regimi speciali, sistemi di deroghe e commissariamenti.
E quell’altissimo QI è dimostrato anche dal nostalgico rammarico col quale guardano al celebre trombato, che, chissà perché, non si sono tenuti, visto che – è opportuno ricordarlo a chi si duole che una scelta strategica e cruciale come la candidatura ai giochi sia affidata a un Comune, mentre dovrebbe avere una portata nazionale per effetti e ricadute – fu proprio Marino a rivendicare quella deliberazione votata dalla sua Giunta che ebbe l’ardire di definire la “sua” strenna per i romani. E fu sempre il mai abbastanza rimpianto, soprattutto dagli abitanti di altre metropoli e cittadine, “marziano” a prodigarsi su un altro intervento altrettanto indecente – sul quale mi auguro la ferma opposizione di Berdini, unico esponente al quale sarebbe comunque doveroso dare fiducia e consenso in una compagine schizzata che gli fa fare da contraltare al socio del sindaco picchiatore – consegnando la città al manipolo di speculatori di Tor di Valle e assoggettando la Capitale all’empio progetto di uno stadio della Roma in un’ansa del Tevere a Ovest dell’Eur, Un intervento definito di pubblico interesse: circa un milione di metri cubi, pari a dieci Hilton, come ha ricordato Vezio De Luca ricorrendo all’unità di misura della speculazione edilizia inventata da Antonio Cederna quando denunciava lo scandalo dei 100 mila metri cubi del famigerato hotel Hilton realizzato a Monte Mario dalla Società generale immobiliare.
Iniziativa anche questa molto auspicata dal partito, unico più che trasversale e manager della sola industria davvero produttiva del paese, quella del “falso”, tanto che, ricorrendo alla cosiddetta legge sugli stadi (in realtà tre articoletti spalmati lungo la legge di Stabilità 2014) l’ambizioso progetto, previsto in un’area che il piano regolatore destina a verde attrezzato, impianti sportivi, spazi pubblici e attrezzature per il tempo libero, riserva allo stadio una percentuale “minore” del 20%. Su circa 90 ettari infatti è prevista l’edificazione di due costruzioni: quella destinata all’arena (fino a 60 mila posti), e un’altra, costituita da tre grattacieli alti fino a più di 200 metri e altri edifici dedicata ad uffici, centri congressi, attività ricettive e commerciali. E chi se ne importa se questo ennesimo laboratorio di un’urbanizzazione indirizzata solo a premiare rendita e proprietà privata, di un’urbanistica retrocessa a pratica negoziale con immobiliaristi e speculatori, non si preoccupa di collocarsi in un quadro di pianificazione di strutture, infrastrutture e servizi; chi se ne importa degli stadi,: quello in nuce ridotto a accessorio mentre nella si sa della destinazione dell’Olimpico e del Flaminio. E chi se ne importa di consultare e informare le comunità più direttamente interessate, se i giornali in questi giorni così impegnati in attività investigative, tacciono e tacciono perfino i tifosi della Lazio, nella non peregrina e probabile illusione di potesri fare uno stadio tutto loro a spese dei romani.
Le motivazioni che hanno portato il Comune a confermare l’annunciato no, non costituiscono gran motivo di interesse ormai, che siano state dettate dall’opportunità di mantenere il punto e riaggregare un consenso della base e degli elettori minacciato da comportamenti sgangherati e decisioni inopportune, o che invece abbia prevalso la volontà di dimostrare di avere a cuore, coi fatti, l’interesse di una città in fallimento, con un debito storico intorno ai 14 miliardi, a carico delle generazioni a venire, compresi i debiti risalenti ai giochi del ’60, con un repertorio velenoso di incompiute a cominciare dalla Città dello sport, con le rovine abbandonate delle costruzioni che dovevano essere completate per i Mondiali di nuoto del 2009, delle prodezze dalla celebrata Archistar, delle stazioni abbandonate, con Grandi Opere che di grande hanno solo la cattiva fama di laboratori sperimentali per corruzione, malaffare e infiltrazione mafiosa, come la Metro C.
E sono risapute quelle che muovono Renzi e il governo a battersi ancora e tenacemente per i giochi, se ancora ieri l’impunito di Palazzo Chigi si è pronunciato lapidario con la consueta faccia di tolla: “c’è chi dice no perché c’è chi potrebbe rubare. Ma in un Paese serio i ladri si arrestano. Ma se si arrestano le grandi opere allora hanno vinto i corrotti”. Una frase la sua davvero esemplare, per via del tornare sempre alla contrapposizione manichea tra si e no, a causa dell’uso del condizionale a proposito dell’ipotesi remota che ci sia chi ruba nel contesto di grandi opere, grandi eventi, grandi interventi e piccole ricostruzioni, per il suo inusuale richiamo alla giustizia, una parola che sia nel suo significato morale che in quello amministrativo di solito gli fa venire l’orticaria, per non dire del condannabile abuso del termine “serio” per un Paese che sta riducendo a una macchietta, retrocesso a espressione geografica, espropriato di sovranità, lavoro diritti, storia, memoria, cultura.
Forse meno chiare sono le ragioni per le quali, irragionevolmente, vittime dei crimini della sua ideologia, lavoratori, inoccupati, disoccupati, precari, pensionati, malati, vecchi, invalidi, giovani che nemmeno cercano più un’occupazione e cinquantenni che hanno perso tutto compresa l’identità di persone, dovrebbero dargli retta e, peggio ancora, perché qualcuno, per indole al masochismo o per istinto a preferire il tifo sportivo alla democrazia, gli conceda ancora consenso. Per alcuni ci sarà la speranza che si possa godere della ripetizione su scala e a livello locale della pratica di clientelismo, favoritismo, familismo, corruzione anche di piccolo cabotaggio, del sistema arbitrario di deroghe e licenze, cifre irrinunciabili della politica governativa e che vengono interpretate come l’unica difesa rimasta in tempi segnati da discrezionalità, precarietà, perdita. Per altri resta un’aspirazione a appartenere, sia pure di riflesso, alla cerchia di chi è “arrivato”, sperando di essere contagiato da fortuna e privilegio. Per qualcuno si tratta ancora della nostalgica identificazione e del malinteso riconoscimento in un corpo sociale, in un’organizzazione, che era stata un grembo materno rassicurante, anche ora che sono evidenti slealtà e tradimento, abiura del mandato e della tradizione.
Ma è possibile anche che tanti siano così disperati da volersi far convincere dall’ottimismo farlocco dei profeti del “fare”, da un dinamismo che assomiglia all’iperattivismo di ragazzini viziati, piazzati davanti ai videogiochi, sempre a pigiare sui tasti di telefonini, Iphone, tablet, svogliati e renitenti a letture e giochi che richiedano attenzione e riflessione, talmente ossessionati dal presente, dal possesso istantaneo del tutto e subito da omettere la visione e la speranza del futuro.
Fa paura la loro visione rosea e giuliva del mondo, il loro affaccendarsi intorno e grazie alla nostra fatica, alle nostre rinunce, alla diserzione obbligatoria di desideri e speranze. Fa paura perché l’impronta che vogliono lasciare la loro megalomania e il loro culto dell’illimitatezza dissipata, sarà impressa come un marchio sulla nostra carne, si tratti di giochi, ponti, tunnel o perfino di guerra, occasione storicamente consacrata a crescita e profitto. Fa paura anche la loro “ossessione” per il gioco: azzardo, casinò finanziario, Olimpiadi, calcio, tre carte e wargames.

Fonte: Il Simplicissimus 

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