La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 25 ottobre 2016

Al referendum voterò NO. Intervista a Ignazio Marino

Intervista a Ignazio Marino di Lorenzo Giarelli
Ignazio Marino si sta prendendo qualche rivincita e togliendo qualche sassolino dalla scarpa dopo quello che gli è accaduto da quando, nel 2013, è stato eletto sindaco di Roma. Aveva dovuto presentare le dimissioni per un'indagine da cui poi è stato assolto, ha visto 26 consiglieri comunali del suo partito dimettersi per farlo decadere e poi ha aspettato a lungo, in silenzio. Adesso, undici mesi dopo aver accusato Matteo Renzi di essere stato mandante di quelle 26 coltellate, Ignazio Marino si è liberato dalle accuse di falso, peculato e truffa - assolto con formula piena dal Tribunale di Roma lo scorso 7 ottobre - e può finalmente dire la sua, ex post.
Lo ha fatto nel suo ultimo libro, Un marziano a Roma (Feltrinelli, 2016, 18€), che sta presentando in giro per l'Italia, e lo fa ripercorrendo la storia dei suoi ultimi tre anni.
Ignazio Marino, il Tribunale di Roma l'ha riconosciuta innocente per la vicenda degli scontrini. Per caso ha ricevuto qualche chiamata dal governo dopo la sentenza?
"Mi hanno telefonato e scritto moltissime persone, tra cui anche diversi membri delle Istituzioni come Giovanni Legnini, il vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Tra i membri del Governo mi ha scritto un affettuoso messaggio Graziano Delrio."
In quegli stessi giorni venivano assolti, per altre vicende, anche Roberto Cota e Vincenzo De Luca. Non crede che chi ricopre cariche pubbliche sia troppo vulnerabile di fronte ad accuse che possono rivelarsi infondate?
"Ritengo che debba esservi una netta separazione tra vicende politiche e vicende giudiziarie. Penso che la Giustizia debba esercitare le funzioni che le sono proprie in totale indipendenza e che la Politica non debba tentare di utilizzare la Giustizia come un suo strumento."
Parliamo invece di quanto sta succedendo a Roma. Che giudizio dà su Virginia Raggi? Non trova che ci siano delle analogie tra i vostri casi?
"Su Virginia Raggi non posso dare nessun giudizio perché ancora, a quasi 150 giorni dalle elezioni, non ha iniziato a governare e deve completare la sua squadra. Noi nei primi 100 giorni dalla mia elezione, invece, avevamo salvato dal cemento 160 aree agricole su cui la Giunta Alemanno aveva autorizzato l’edificabilità, avevamo chiuso la più grande discarica privata di rifiuti del mondo, pedonalizzato i Fori Imperiali, riavviati i lavori della Metro C e avviato il piano di rientro dei debiti miliardari di Comune e azienda dei trasporti."
Per estirpare il connubio malato tra costruttori, politici e industriali che è a Roma crede davvero che basti una buona amministrazione? 
"C'è un problema: come Capitale Roma ha troppi oneri e pochi poteri. Il fondo nazionale dei trasporti assegna alla Regione Lazio ogni anno circa 570 milioni di euro per tram, autobus, metropolitane, treni regionali. Il 70% del trasporto pubblico regionale si concentra su Roma e anche un bambino capirebbe che le risorse dovrebbero essere distribuite di conseguenza, ma non è così: durante l’ultima fase dell’amministrazione Polverini, per dirne una, la Regione Lazio ha assegnato a Roma zero euro per il trasporto pubblico. Il risultato è che gli autobus sono destinati a rimanere nei depositi e le corse vengono ridotte. Trasporto pubblico, smaltimento dei rifiuti, dissesto idrogeologico, manutenzione straordinaria delle scuole sono tutti ambiti in cui la Capitale non ha autonomia dalla Regione Lazio e tuttavia risulta responsabile delle inefficienze nell’erogazione dei servizi."
E allora come se ne esce?
"Bisognerebbe dare a Roma lo status di Capitale non solo nelle parole o cambiando la carta intestata e le divise dei vigili urbani ma nei fatti e, così come hanno fatto molti altri paesi europei, attribuendo fondi e responsabilità."
Riconosce di aver commesso degli errori, durante il suo mandato da sindaco?
"Sì, diversi, ma più di ogni altra cosa non sono riuscito a trasmettere alla cittadinanza la dimensione del cambiamento che avevamo avviato. Paradossalmente le romane e i romani colgono più il senso delle nostre decisioni oggi che quando ero al governo della città."
Lei però avrebbe anche voluto fare le Olimpiadi. Non ha cambiato idea?
"Ne sono ancora convinto: Roma 2024 sarebbe stato un gran progetto per la città e per i romani, un’opportunità per realizzare la Roma del XXI secolo, una città dove il governo eletto dal popolo, e non gli imprenditori, decide il disegno urbanistico. Senza contare che il progetto avrebbe coinvolto e rivitalizzato tre grandi aree: il Foro italico, con il Parco olimpico del Tevere Nord, Tor Vergata con la Città dello Sport e il complesso sportivo dell’Eur e della ex Fiera."
E poi cosa restava?
"Il Villaggio olimpico lo avevamo pensato in modo da realizzare la “Città della Giustizia”: bisognava fare in modo che le stanze che per un mese avrebbero ospitato gli atleti si trasformassero subito dopo in uffici per i giudici, per i procuratori, per i cancellieri, gli avvocati, eccetera. Gli spazi comuni e di servizio sarebbero stati utilizzati per le aule giudiziarie, i depositi per gli archivi. Questa strategia avrebbe reso un grande servizio alla vita dei cittadini romani che quando si devono confrontare con un problema di Giustizia scontano tempi biblici anche perché i magistrati, attualmente, non hanno lo spazio fisico dove accogliere tutti i fascicoli dei provvedimenti."
Lei dice spesso che Alemanno le lasciò una città in condizioni disastrose, ma Roma è stata governata per decenni dal centrosinistra. È allora che nascono i problemi che ci ritroviamo oggi, ad esempio nella gestione dei rifiuti?
"Dagli anni ’60 tutta la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti è stata finalizzata all’esistenza della più grande discarica d’Europa e si è lasciato fare, non sono state prese decisioni che oggi avrebbero potuto aiutare, come investimenti nella raccolta differenziata o in impianti di biodigestione per trasformare i rifiuti organici in energia. I rifiuti, che a Roma ammontano a cinquemila tonnellate al giorno, possono essere un grande problema o una grande risorsa. Si è mantenuto tutto inalterato e questo ha oggettivamente favorito una gestione privata."
E per quanto riguarda i trasporti?
"A Roma vi è un reale bisogno d’investimenti nel trasporto pubblico, specialmente su rotaia. Questo deriva da errori strategici, o forse da scelte consapevoli, compiuti dalle amministrazioni della Democrazia Cristiana che negli anni ’50 favorirono il trasporto privato a scapito di quello pubblico. Un errore proseguito anche con le amministrazioni di centrosinistra nei decenni successivi, quando a Roma furono rimosse molte linee tranviarie. Roma è la città con il maggior numero di veicoli a motore di tutta Europa e questo dipende dalla scarsità dei servizi di trasporto pubblico. Ricordo bene, da adolescente, l’enfasi che era data a Roma dall’istituzione dell’onda verde sulla via Cristoforo Colombo, corso Francia e alcuni lungoteveri. Le amministrazioni di quegli anni volevano favorire l’acquisto delle automobili e quindi proponevano percorsi con i semafori sincronizzati per incoraggiare il traffico privato e scoraggiare, di conseguenza, il trasporto sui mezzi pubblici."
Capitolo referendum: ci dobbiamo aspettare un Marino in campo per il No?
"Confermo, come ho già sostenuto, che voterò NO al referendum per la riforma della Costituzione."
Cos'ha la riforma che non va?
"Già dal 2009 sostengo che il nostro Paese è maturo per avere una sola Camera legislativa e quindi sarebbe stato opportuno abolire il Senato. Questa riforma non solo non abolisce il Senato, ma consegna l’elezione dei senatori al ceto politico, sottraendola al popolo. I consiglieri regionali potranno sedersi intorno a un tavolo e dire: “io faccio il Presidente della Regione, tu fai l’assessore e a lui diamo il posto di senatore così ha l’immunità parlamentare”."
E del titolo quinto che ne pensa?
"Sarebbe utile rivedere i poteri delle Regioni in termini di accesso alle cure delle persone: oggi, infatti, viviamo in un Paese che in teoria dovrebbe garantire le stesse cure a tutti ma ha di fatto 21 servizi sanitari diversi a seconda della Regione in cui si vive. Questa riforma però lascia gli stessi poteri alle Regioni a statuto speciale: e così la Sicilia, che è una Regione a statuto speciale ma ha gravi problemi nel settore della sanità, potrà continuare a legiferare sui temi della salute indipendentemente dallo Stato, mentre non potrà farlo l'Emilia Romagna che ha una sanità ottima, ma i cui poteri varieranno non essendo una Regione a statuto speciale."

Fonte: Linkiesta.it 

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