La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 28 ottobre 2016

Università neoliberale e pensiero critico: il dissenso è ancora possibile?

di Università Critica
Venerdì 14 e sabato 15 ottobre scorso presso la Biblioteca “Amilcar Cabral” di Bologna si è svolto un incontro su Università Neoliberale e Pensiero Critico. Ci siamo ritrovati con lo scopo di dare continuità ad un percorso iniziato in maniera indipendente da diversi gruppi di ricercatori e docenti universitari strutturati e precari e poi confluito, sull’onda del comune bisogno di incontro, riflessione, dialogo circa lo spazio di espressione che pensiero critico e contro-narrazioni trovano oggi nel quadro di crisi incipiente dell’ Università italiana.
Lo stimolo, come per gli appuntamenti che hanno preceduto la due giorni bolognese a Venezia Ca’ Foscari e UniMoRe, è stato dato dalla decisa svolta repressiva che si è abbattuta sull’attività di ricerca in questo ultimo anno, una vera e propria criminalizzazione delle figura del ricercatore come testimoniato dai casi emblematici di Chiroli, Maltese e Alliegro. Se etnografi e antropologi, per via della metodologia di osservazione partecipata che utilizzano, quindi della presenza stessa del ricercatore nello spazio pubblico laddove l’oggetto di studio sia costituito da movimenti sociali, sono stati i primi a fare le spese di tale offensiva repressiva da parte delle autorità statali, forme di pesante censura del dissenso, del sapere critico e della libertà di pensiero paiono pervasive anche all’ interno dell’ istituzione universitaria, che pure tali diritti dovrebbe tutelare. Ad essere in pericolo, dunque, la capacità di espressione di saperi liberi e critici, resistenti alla tassonomia, parcellizzazione e tecnicizzazione della conoscenza e dell’apprendimento tipici dell’ Università neoliberale. Da una parte, la crescente burocratizzazione e cooptazione governativa svuotano di autonomia l’ istituzione universitaria; dall’altra, il consolidarsi, nel perenne sottofinanziamento dell’ Università, di logiche feudali e rapporti di vassallaggio, non solo disincentivano certamente la meritocrazia, termine d’altronde pervertito e abusato nella vulgata tecnocratica corrente, ma soprattutto ostacolano l’indipendenza di pensiero stessa e la creatività nell’approccio alla ricerca. Accanto alla consapevolezza del mutamento epocale che ha interessato il sistema universitario di massa del nostro paese negli ultimi vent’anni, portandolo ad una contrazione drammatica e al depauperamento del suo potenziale di produzione sociale, c’è anche la voglia di ribadire in maniera netta e convinta la necessità di un’ università pubblica, dialogante con la società. Mentre l’Università sembra ormai avere rinunciato alla produzione di sapere pubblico, riteniamo che il dovere dell’intellettuale contemporaneo sia quello di svelare i complessi e pervasivi meccanismi di soggettivazione e auto soggettivazione che lo determinano, contrastandoli con l’adozione di un approccio situato che lo porti a parlare non degli oggetti del suo studio, esercizio di vuoto ventriloquismo, ma con i soggetti del suo studio al fine di produrre un sapere collettivo e cooperativo. Si è sottolineata la necessità di rendere significativo l’agire dello studioso facendo entrare nelle aule la “crisi”, intesa come momento di intensa trasformazione e generazione di percorsi inediti. Un modo per dare rilevanza a saperi che oggi sembrano sempre più imbrigliati entro rigide tassonomie disciplinari, forme di disciplinarizzazione e irreggimentazione settorial-specialistica del sapere, tanto più rilevante quanto conforme, inoffensivo e acritico. In un interessante parallelo con la giornata di Modena, durante la quale si è parlato a lungo di esperienza di ricerca partecipata e con-ricerca, anche a Bologna ci si è soffermati sulla rilevanza di azioni che rompano la fissità dell’ “osservazione partecipata” a favore di pratiche di produzione di sapere condiviso socialmente e finalizzato al miglioramento di condizione economiche ed esistenziali.
Coloro che rivendicano la valenza civica del sapere prodotto nell’Accademia paiono oggi non avere diritto di cittadinanza in una istituzione che è sempre più aziendalizzata e burocratizzata. Al di là di ogni pretesa di eccezionalismo accademico, assistiamo non solo alla limitazione del diritto di ricerca, ma di libertà politiche fondamentali quali quella di espressione. In questo senso, è stato sottolineato, l’attuale stretta repressiva della magistratura nei confronti della libertà di ricerca si configura come una estensione dell’approccio emergenziale, con conseguente limitazione delle libertà personali, che i giudici hanno applicato sin dagli anni ’70 rispetto ai movimenti sociali al tempo della lotta armata.
Mentre la mattinata di venerdì 14 ottobre è stata destinata a questioni natura maggiormente teorica, in sostanziale convergenza con molti degli spunti giù usciti nelle giornate veneziane e modenesi, la sessione di venerdì pomeriggio e quella della mattina del 15 ottobre hanno avuto un taglio prevalente esperienziale. Sono state presentate varie forme di r/esistenza realizzatesi di recente presso diversi atenei e che hanno visto protagonisti studiosi (PACBI e Centro Studi Salute Internazionale e Intercultura) e studenti (Studenti contro il Technion, Collettivo aut organizzato degli Studenti di Scienze Politiche dell’Università di Roma La Sapienza, CUA Università di Bologna). Ci è parso fondamentale poi dedicare spazio all’esperienza degli studenti in quanto soggetti cruciali nel processo di trasformazione di una Università che non educa al desiderio, ma deprime il desiderio, che privatizza gli spazi pubblici e all’occorrenza li militarizza. E proprio la questione dello spazio è stata al centro di una riflessione importante, formulata da una portavoce del collettivo studentesco Link dell’Università di Bologna: partendo da un’osservazione circa la carenza di spazi di incontro in Università e dall’uso di forme di organizzazione dell’attività didattica che “disseminano i corpi” degli studenti ed evitano una loro troppo prolungata concentrazione all’ interno degli spazi comuni dell’ Ateneo, ha messo in evidenza come un certa impostazione demofobica dell’ amministrazione universitaria non sfugga alla componente studentesca.
Le due giornate di dibattito che si sono svolte presso la Biblioteca Cabral di Bologna hanno testimoniato dell’esistenza di un’ampia convergenza tra coloro che condividono una certa idea di Università. A Bologna, come a Modena e precedentemente a Venezia, si è ribadita l’esistenza di una “comunità di rischio” composta da tutti coloro che vogliano impegnarsi nella promozione di una istituzione accademica che non abdichi alla sua missione sociale, ma anzi si proponga come un imprescindibile spazio di produzione sociale.

Questo è un resoconto dei due giorni di dibattito alla Biblioteca “Cabral”, a Bologna, il 14 e 15 ottobre scorsi.

Fonte: Effimera.org 

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