di Maurizio Sgroi
Sembra una buona notizia, ma a ben vedere non lo è: Eurostat ha rilasciato le sue ultime rilevazioni sulla quota di europei a rischio di povertà ed esclusione sociale, sottolineando la circostanza che finalmente siamo tornati al livello pre crisi. Sembra una buona notizia ma non lo è per la semplice circostanza che questo livello quota oggi – e quotava allora – il 23,7% della popolazione, dopo aver raggiunto quasi il 25% fra il 2009 e il 2012.
“la riduzione del numero delle persone a rischio povertà o esclusione sociale è uno degli obiettivi chiave della strategia Europa 2020”, ricorda Eurostat. Ma i risultati per il momento non sono incoraggiati. La curva praticamente piatta che fotografa questa situazione ne è la rappresentazione migliore. L’Europa, malgrado sia una terra ricca, e esporti grandi quantità di ricchezza, non riesce nel suo insieme a offrire una speranza di miglioramento nelle condizioni di vita dei suoi abitanti.
Se dal dato aggregato si va nelle singole economie, il presunto miglioramento finisce col trasformarsi in sostanziale peggioramento per molti paesi, fra i quali il nostro. L’Italia infatti è passata dal 25,5% della popolazione a rischio al 28,6, e ancora peggio è andata ai paesi all’epicentro della crisi, come la Grecia, dal 28,1 al 35,7%, la Spagna, dal 23,8 al 28,6%, a Cipro, dal 23,3 al 28,9 e al Portogallo, dal 26 al 26,6%. Vi parrà strano, ma la situazione è persino peggiorata nel Lussemburgo, dal 15,5 al 18,5%, che però rimane abbondantemente sotto la media. La Germania ha visto un lievissimo miglioramento, dal 20,1 al 20%, mentre sono peggiorati anche Belgio e Olanda, dal 20,8 al 21,1% e dal 14,9 al 16,8%.
I miglioramenti registrati si sono concentrati in un piccolo gruppo di paesi. La Francia, che ha visto la percentuale scendere dal 18,5 al 17,7%, l’Austria, dal 20,6 al 18,3%, la Finlandia, dal 17,4 al 16,8%,. Il risultato migliore si è visto in Polonia, dove si è ridotta dal 30,5 al 23,4, in Romania, dal 44,2 al 37,3, in Lettonia, dal 34,2 al 30,9 e in Bulgaria, dal 44,8 al 41,3%.
Tre di questi paesi sono fuori dall’euro, ma forse è solo un caso.
Fonte: The Walking debt
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