di Simone Pieranni
Il Sesto Plenum del comitato centrale del partito comunista, ovvero i 357 membri più influenti del paese, è storicamente un meeting dedicato ad ambiti politici interni. Nel conclave laico dell’hotel Jingxi a Pechino i boss del paese devono discutere di questioni interne prima dell’appuntamento degli appuntamenti, ovvero il diciannovesimo congresso del partito previsto tra un anno circa. Il sesto sarà il Plenum che dovrà stabilire come andare avanti in termini di nomine apicali e politiche economiche.
Il meeting di quest’anno è stato preceduto dai consueti articoli sulla stampa di partito che hanno consentito di comprendere quali saranno gli argomenti principali. Quello che emerge, ancora una volta, è un partito sottoposto a stress tremendi a causa delle consuete lotte interne. All’ordine del giorno dovrebbe esserci la discussione di due documenti in particolare: uno che dovrebbe ribadire la strenua lotta alla corruzione, consentendo a Xi Jinping di scardinare, finalmente dal suo punto di vista, il sistema delle aziende di stato.
L’altro dovrebbe riguardare la disciplina interna, per la quale Xi chiede sostanzialmente mano libera. Xi vuole il partito attorno a sé, non a caso in alcuni editoriali si è tornato a parlare di «nucleo» del Partito, intendendo con esso una leadership forte, fuori da ogni discussione e scontro interno. Ma Xi Jinping, che pure ha accaparrato più potere di tutti i suoi predecessori, ha parecchi problemi da gestire. La questione delle riforme delle aziende di stato è ancora in alto mare: c’è da chiedersi dunque se la sua costante ricerca di ruoli e responsabilità riuscirà a dissuadere i papaveri dal partito dal fare resistenza anche di fronte alla sua terribile campagna anti corruzione.
C’è poi la questione relativa alla successione tanto di Xi, quanto dei suoi più fidati funzionari. Il «principino» Xi Jinping ha piazzato molti dei suoi uomini, ha approfittato della debolezza percepita della cosiddetta guida collegiale di Hu Jintao e Wen Jiabao, ma ora si ritrova senza «eredi». Il Congresso del 2017, in teoria, dovrebbe fare capire chi saranno i futuri capi, mandando avanti la «sesta generazione» dei leader nati negli anni ’60, ma al momento non si vede alcun «delfino» di Xi all’orizzonte. Ipotizzabile dunque una doppia mossa, che non è detto, stando ai rumors che giungono da Pechino, possa essere ufficializzata già al termine del sesto Plenum (che si chiuderà il 27 ottobre): innanzitutto dovrebbe essere innalzata l’età per la partecipazione agli organi vitali del paese.
Ad oggi a 68 anni bisogna ritirarsi, ma in questo modo Xi perderebbe già l’anno prossimo Wang Qishan il «Torquemada» cinese a capo del team anti corruzione e braccio destro imprescindibile del presidente. In secondo luogo potrebbe stabilirsi per la prima volta nella storia della Repubblica popolare un mandato oltre i consueti dieci anni per il numero uno. Xi, infatti, sembrerebbe intenzionato a rimanere al potere oltre il 2022, stabilendo così un altro primato e potendo contare su cinque anni in più del normale per preparare la sua successione.
Per la Cina è dunque un momento fondamentale: politicamente questo meeting potrebbe suggellare un definitivo successo della presidenza o dare vita a uno scontro che potrebbe essere letale.
Le riforme, prime fra tutti quelle delle aziende di stato, attendono un segnale politico per partire, ma quella cinese ha tutte le sembianze, al momento, di una palude nella quale contano ancora personaggi che si nascondono negli anfratti più bui della burocrazia pubblica. Xi, richiamando anche alla disciplina totale e riecheggiando toni maoisti (ma solo nella gestione del potere interno), si gioca una fetta importante di futuro, suo e del paese. Il plenum dovrà dunque stabilire nuove regole per una «nuova ripartenza» come scritto dai media di Stato.
Fonte: Il manifesto
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