di I Diavoli
La Francia si è data una settimana di tempo per sgomberare la “giungla” di Calais, il nome lo avrebbero attribuito gli stessi abitanti. È l’anno 2016, nella civile Europa c’è un campo profughi che ospita fra i 6400 e i 10 mila migranti, (a fine agosto, secondo i dati di Médecins du Monde, erano più di 9 mila). La “giungla” è un insediamento cresciuto negli anni, al nord della Francia, al confine con il Regno Unito, diventato simbolo di imbarazzo e vergogna per il governo di Parigi e non solo. Il simbolo di una débâcle delle politiche francesi ed europee, il fallimento delle soluzioni per fronteggiare una crisi migratoria narrata come emergenza ingestibile.
Le elezioni presidenziali del 2017 sono vicine e per il presidente socialista François Hollande è un momento cruciale. Le ruspe abbattono la baraccopoli, ma non rimuovono l’emergenza. Spostano il problema agli occhi del mondo: l’esistenza precaria di migliaia di persone che non sanno come continuerà la loro vita nella civile Europa unita. A Calais non esiste una vera e propria mappa del campo, le condizioni igieniche sono ai limiti, più volte sono statidenunciati episodi di violenza (interni alla “giungla”, ma anche da parte della polizia francese). Il Refugee Rights Data Project stava provando a raccontare i numeri di una crisi ignorata per anni: poi si sono accesi i riflettori delle televisioni internazionali, quando nel 2015 i migranti sono velocemente raddoppiati.
Il ministro dell’Interno francese Bernard Cazeneuve lo aveva già annunciato: «Bisogna sbloccare Calais». Lo sgombero è iniziato al mattino presto di lunedì 24 ottobre. Le immagini di migliaia di persone in fila, in attesa di sapere del loro destino, hanno fatto il giro del mondo. I profughi sono stati condotti vicino all’hangar a 300 metri dal campo, predisposto come “quartier generale” per gestire la situazione. Sono arrivati sessanta bus, 1250 i poliziotti mobilitati, 164 centri di accoglienza disponibili in tutta la Francia. Una volta spostati da Calais, i migranti verranno temporaneamente distribuiti nei centri: massimo 50 persone a struttura, per quattro mesi. Poi, coloro che non chiederanno asilo, saranno rimandati a casa, nel loro Paese di provenienza. Che fine faranno i 1.291 minori senza famiglia? In parte dovrebbero essere dislocati in Gran Bretagna, in 500 sono già considerati “idonei”. Tra i profughi c’è chi dormirà per strada, chi non vuole andare via, chi tenterà di ottenere un permesso per il Regno Unito, la terra del post-Brexit, dove i migranti economici sono diventati quasi una minaccia. A fine settembre Londra ha annunciato l’inizio dei lavori per il “Great Wall”, una barriera lunga circa un chilometro e alta quattro metri, contro il passaggio degli “irregolari” dalla Francia. Ora l’intenzione del governo guidato da Theresa May è quello di restringere il numero di minori cui concedere asilo.
«Oggi dimostriamo che la Francia è un Paese che sa trattare situazioni particolarmente difficili», ha dichiarato Hollande, che sconta gli ultimi difficili mesi, sospesi tra democrazia e sicurezza, spesi nella lotta contro il terrorismo.
Mentre in Francia i populisti d’estrema destra, guidati dalla candidata all’Eliseo Marine Le Pen, soffiano sulla questione migratoria, reputandola l’origine dei mali della République, l’Unione europea resta a guardare. Timidamente il Consiglio d’Europa aveva mostrano «preoccupazione» per le modalità di sgombero della “giungla” di Calais. Il segretario generale Tomas Bocek, dopo una missione nel campo ai primi di settembre, aveva espresso timori rispetto al destino dei minori non accompagnati.
La vaghezza delle autorità francesi sul piano di sgombero della tendopoli aveva già fatto mobilitare le organizzazioni umanitarie transalpine e internazionali, che avevano chiesto il rinvio delle operazioni per evitare un’espulsione «brutale», troppo rapida – e dunque pericolosa –, forse un atto di forza solo ai fini soltanto «elettorali». Christian Salomé, presidente di “L’Auberge des migrants”, già lo scorso anno aveva criticato il governo di Parigi e la gestione di Calais, annunciando: «Se non si fa qualcosa, Calais esploderà». L’Alto commissariato Onu per i rifugiati, l’UNHCR, a metà ottobre aveva dichiarato: «È fondamentale che il trasferimento venga organizzato e pianificato con cura e che vengano trovate sistemazioni alternative all’interno del paese. I richiedenti asilo dovranno inoltre essere informati in anticipo dello smantellamento del campo, ricevere informazioni adeguate e un rapido accesso alle procedure d’asilo».
Lì, davanti a una bidonville al di là della Manica, inizia e finisce l’Europa unita. Staremo a vedere come si chiuderà questa ultima pagina di storia, mentre l’Unione si arrocca, protegge i confini, controlla gli ingressi, si chiude nella sua fortezza e nelle sue paure, dove parole come accoglienza e integrazione nei fatti sembrano sempre più distanti dal progetto europeo.
Fonte: I Diavoli
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