La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 26 ottobre 2016

I giovani senza attributi e la voglia di cambiamento

di Aldo Carra 
Bamboccioni, choosy e adesso mammoni. La serie degli aggettivi con i quali inquadrare i giovani continua ad arricchirsi. Naturalmente questo non significa aver capito i problemi dei giovani ed esserci attrezzati per affrontarli. Anzi se si considera che essi appaiono addirittura aggravati rispetto agli anni passati sembra sia accaduto proprio il contrario. Questo si può dire per il fenomeno che in questi giorni ha alimentato le prime pagine di molti giornali, la permanenza nelle famiglie di origine dei giovani fino a 34 anni.
Un problema che si scopre ad ogni uscita dei dati Eurostat e che immancabilmente produce le stesse semplificazioni: i giovani si crogiolano quindi sono bamboccioni, non vogliono fare tutti i lavori quindi sono choosy, preferiscono il calore domestico quindi sono mammoni. Così va e dopo svariati anni ritroviamo oggi dati peggiorati e distanze dall’Europa accresciute.
Elaborazioni sui database Eurostat realizzate in passato hanno dimostrato la correlazione del fenomeno con svariati fattori strutturali, culturali ed economici. La precarietà crescente del lavoro non consente di fare progetti di vita per il futuro, sia individuali che di coppia. La difficoltà a trovare case in affitto a prezzi bassi spinge a restare nella casa di famiglia e scoraggia anche i tentativi di cercare un futuro in altre città. Questi e altri fattori si sono aggravati negli ultimi dieci anni per l’esplosione e per il perdurare della crisi. Non é un caso che nel confronto tra paesi i tassi di permanenza maggiori si registrino dove più alti sono i tassi di disoccupazione e gli affitti.
Naturalmente questo non significa che la struttura della famiglia italiana non c’entri niente. I fattori storici – il passato non lontano di società agricola – quelli culturali e ambientali – il senso della famiglia sotto l’aspetto affettivo, sociale, religioso, di unità economica – influenzano certamente i comportamenti di cui parliamo e incidono sulle differenze come quelle ad esempio con i paesi del Nord Europa che registrano tassi di permanenza in famiglia molto più bassi dei nostri.
Ma esiste anche l’altra faccia della medaglia. Questi fattori di resistenza del nucleo familiare hanno fatto in questi anni da ammortizzatore di una crisi lunga e che permane senza che se ne intraveda la fine. É evidente, quindi, che il problema principale non è costituito dai fattori che ci portiamo dietro con i loro aspetti negativi e positivi. È che non abbiamo fatto nulla per favorire la mobilità sociale e territoriale e lo sviluppo culturale dei diversi strati di popolazione in modo da produrre una evoluzione della nostra società. Abbiamo prodotto slogan, ma procedere per aggettivi e schemi semplificati non aiuta perché non esiste un giovane standardizzato da assumere come modello di comodo per affibbiare etichette con le quali pensiamo di aver capito e risolto il problema.
Esistono giovani con comportamenti diversi tra paesi e strati sociali e i modelli di vita più o meno autonoma dalla famiglia sono correlati ai contesti economici, sociali, culturali. Il fatto che la crisi perduri non crea fiducia nel futuro e non spinge certo al cambiamento.
Forse è in questo contesto di sfiducia nella politica e nelle sue parole che si collocano anche i risultati dei sondaggi sul referendum dai quali emerge, nelle intenzioni di voto, un comportamento specifico dei giovani. Emerge, infatti, che il Sì raccoglie più consensi nelle fasce di età elevate (27% contro il 24% dei No ) e meno in quelle giovanili (19% contro il 25% dei No ). Il tutto in uno scenario in cui il 49% dei giovani non voterebbe a fronte del 41% degli anziani. Ma anche qui ci sono giovani e giovani se si pensa che i giovani di Confindustria hanno deciso di impegnarsi per il Sì.
Una relazione con la collocazione sociale si deduce anche dai consensi per titolo di studio ( il Sì avrebbe il 33% tra i laureati ed il 19% tra coloro che hanno la licenza elementare) e per area geografica (il Sì avrebbe il 28% al Centro-nord e il 17% al Sud e nelle isole). Insomma i soggetti che dovrebbero avere più interesse al cambiamento sembrano i meno affascinati dal cambiamento della Costituzione su cui Renzi sta investendo tutto trascinando il paese in uno scontro senza precedenti.
Forse i giovani vorrebbero ben altri cambiamenti più rivolti alle loro condizioni concrete di vita e al loro futuro. Ma prenderne atto richiederebbe una nuova politica economica e realmente redistributiva. A meno che non si pensi che anche i giovani sono conservatori e che stanno con i professoroni.

Fonte: Il manifesto 

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