di Andrea Fabozzi
Adesso è sotto gli occhi di tutti: avremmo potuto votare per il referendum in una qualsiasi delle (cinque) domeniche di ottobre. Non c’erano controindicazioni; la sessione di bilancio in parlamento, come si è visto, comincerà a novembre, perché il governo sta ritardando (oltre i limiti di legge) la presentazione della manovra alla camera. Era la promessa iniziale di Renzi: votare a ottobre, «il più presto possibile», «a naso il 2 ottobre», «di certo non sotto Natale». E invece tra la fine di luglio e l’inizio di agosto gli annunci sono stati smentiti, quando il governo si è reso conto che il Sì aveva da recuperare molto terreno al No. La legge di bilancio è diventata allora un’occasione di propaganda; il referendum è stato spostato a dicembre.
Adesso è evidente anche un’altra cosa: la paralisi del paese a causa della lunghissima campagna elettorale. Dalle leggi ferme in parlamento alla ricapitalizzazione delle banche al rapporto con l’Europa, tutto è bloccato in attesa di sapere se vincerà il Sì oppure il No. È un problema, eppure è esattamente quello che cercava Renzi, prolungando il tormento. Perché le emergenze che si accumulano sono la posta che il premier giocatore vuole mettere nel piatto del 4 dicembre. A quel punto chiederà agli elettori, come ha già cominciato, volete rischiare che crolli tutto?
Dunque serviva a favorire il Sì e non a «mettere in sicurezza la legge di bilancio», la decisione di votare quasi a Natale. Altro che manovra blindata grazie all’approvazione alla camera e in commissione al senato – come desiderava Mattarella o come gli è stato fatto credere. Il governo sta tardando tanto nel presentarla che potrebbe essere a rischio anche il primo via libera di Montecitorio per la fine di novembre: il voto imminente giustificherà un’altra forzatura del governo sul parlamento. Ma la manovra sarà ancora in mezzo al guado. E al referendum ci chiederanno di votare anche su Equitalia.
Fonte: Il manifesto
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