La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 25 ottobre 2016

Renzi: un minotauro populista

di Claudio Riccio
Quando la crisi avanza devi correre più veloce del baratro che si avvicina. Per questo per Matteo Renzi la politica è una rapida successione di scontri, un videogioco con più nemici da abbattere che obiettivi da raggiungere. Come in ogni videogioco siamo arrivati al livello con quello che secondo molti è il mostro finale: la lunghissima campagna referendaria che si configura come "guerra civile simulata"*. Il tono dello scontro - alleggerito solo apparentemente dai richiami a "stare sul merito della riforma" - è oggettivamente molto duro, ma non potrebbe andare diversamente: per essere il centro dell'equilibrio politico e quindi per garantirsi un futuro Renzi deve apparire il credibile garante della continuità del sistema e al tempo stesso sembrare colui che vuole cambiare tutto.
La somma dei voti assoluti delle forze politiche che si oppongono al disegno riformatore renziano è maggiore dei voti assoluti del Partito Democratico. È quindi banale dire che per riuscire nel sorpasso cui aspira Renzi ha bisogno di andare oltre il proprio bacino elettorale.
Esistono però molti modi di essere trasversali e soprattutto molte direzioni in cui sviluppare il proprio posizionamento nello spazio politico; Renzi non si estende solo in orizzontale occupando spazi a destra e sinistra nel tradizionale assetto politico, ma si muove anche lungo l'asse verticale, tra potenti e gente comune: si muove con agilità tra alto e basso.
L'unico modo perché vinca il sì, infatti, è che Renzi unisca i voti dell'alto e quelli del basso, tenendo assieme il sostegno dell'establishment e il consenso dei cittadini incazzati. Potere e rabbia. Carnefici e vittime insieme nella stessa battaglia. 
Ma come è possibile riuscirci? È solo una menzogna, un inganno comunicativo reso possibile da una campagna a tappeto con un budget spropositato*? Ogni inganno, come le leggende, ha un fondo di verità.
Su cosa sono realmente in conflitto alto e basso? Lo scontro tra gli interessi di pochi e i bisogni dei molti si dovrebbe sviluppare sul terreno delle politiche sociali: redistribuzione delle ricchezze, giustizia, privatizzazione dei beni comuni, salvaguardia del pianeta, grandi temi che però hanno a che fare con le difficoltà delle nostre vite quotidiane. Su questi temi lo scontro viene "occultato" dagli scontri provocati in basso, tra ultimi e penultimi, dal razzismo di pancia. La guerra tra poveri è da sempre il miglior modo per condurre la guerra di classe dall'alto.
Esiste però qualche punto di convergenza e incontro tra i desiderata delle classi dirigenti e della gente comune sfiduciata dalla solita politica. Questo incontro non avviene sugli interessi concreti e materiali, ma sul rapporto con la democrazia. Cosa hanno in comune, infatti, gli esponenti della finanza internazionale e i cittadini impoveriti, delusi e incazzati: risponderebbero nello stesso modo alla domanda posta dal manifesto del Pd, vogliono meno politici e meno politica. Poco importa che la gente comune voglia meno corrotti e meno imbroglioni e che chi ha ruoli chiave nella governance globale voglia meno politica e più gruppi dirigenti obbedienti e subalterni al neoliberismo.
Nel fallimentare trionfo del pensiero unico neoliberista, la politica è ridotta a spettacolo e il pilastro su cui si fonda la governance è il "there is no alternative" di thatcheriana memoria. Il campo dell'alternativa non è ammesso, a meno che non sia ridotto a semplice allusione o a pura rappresentazione innocua del conflitto. Tutto il resto deve essere normalizzato.
È consentito evocare il cambiamento, ma solo per illudere gli elettori e garantire la conservazione.
Se la politica rinuncia all'obiettivo di trasformare radicalmente il mondo, diventa mera amministrazione/gestione dell'esistente, la democrazia si riduce a delega in bianco e si rimane schiacciati tra trionfo della tecnica e banalizzazione del governo: tecnocrazia e gentismo sono due facce della stessa medaglia.
Che a governare siano i tecnici esecutori, i politici obbedienti o i cittadini senza programma non cambia nulla: il pilota automatico mantiene rapporti di forza sufficienti a comandare e garantire la tanto decantata stabilità, ovvero la conservazione dell'esistente quindi il persistere delle ingiustizie.
La democrazia dovrebbe invece essere il sistema che consente l'irruzione sulla scena di attori politici disposti a non ubbidire e cambiare il corso della storia. Solo chi non vuole cambiare nulla accetta una riduzione degli spazi di democrazia.
Nonostante la fiducia in Matteo Renzi sia calata notevolmente, nonostante molti abbiano colto le fregature del jobs act, della buona scuola, delle politiche economiche del governo, l'inganno tiene ancora; la coperta è corta, ma non abbastanza, anche perché nessuno nello scenario pubblico ha, al momento, sufficiente forza per togliere la maschera del premier.
Se vogliamo che il NO vinca il referendum non ci basterà essere impeccabili sul merito, spiegare le ragioni per cui si tratta di una brutta riforma che consegna troppo potere nelle mani del partito di maggioranza relativa; servirà svelare l'inganno di Renzi, il populista ambivalente, quasi una figura mitologica: establishment con l'establishment e cittadino tra i cittadini.
Specialmente per chi ambisce a riconquistare la politica come strumento utile a dare risposte al popolo (invece di strumentalizzarne gli umori) serve davvero tornare a dare un senso alla parola vuota cambiamento e riconnettere il rapporto tra politica e realtà, sconfiggendo il Minotauro, ma soprattutto uscendo dal labirinto in cui siamo da troppo tempo intrappolati.

Fonte: Huffington Post - Blog dell'Autore 

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